La scena è dominata dal discorso di Achille, costruito secondo una struttura anulare, che conferisce risalto alle parole con cui l’eroe esprime due momenti psicologici contrastanti , ma di uguale intensità. Dapprima, infatti, gli appare dominato dall’esaltazione della vittoria, della grande impresa compiuta . Aver abbattuto Ettore significa aver privato i Troiani della loro principale difesa; essi potrebbero perciò essere indotti alla resa ed è bene verificare quali siano le loro intenzioni.
Ma subito , ecco ricomparire il non sopito dolore per la morte di Patroclo, che assale l’animo di Achille con tutta la sua lacerante intensità, presentandogli l’immagine del misero corpo che ancora attende gli onori del pianto rituale e della sepoltura. Quasi volesse farsi perdonare di essersi momentaneamente distratto dal ricordo dell’amico, Achille insiste con drammatica evidenza sulla profondità dei suoi sentimenti e sulla perenne memoria che lo legherà allo scomparso, anche al di là della morte. Poi il Pelide si abbandona nuovamente al pensiero dell’impresa compiuta, già ricordata all’inizio del discorso, invitando i giovani Achei intonare il peana, l’inno di vittoria in onore di Apollo, per celebrare l’uccisione di Ettore. La conclusione delle parole di Achille è seguita da una breve pausa; abbandonato l’uso del discorso diretta, il poeta riprende il suo ruolo di narratore, anticipando i pensieri dell’eroe, che, ripreso dalla feroce passione della vendetta, si accinge a fare scempio del cadavere di Ettore.
“ὦ φίλοι Ἀργείων ἡγήτορες ἠδὲ μέδοντες
ἐπεὶ δὴ τόνδ' ἄνδρα θεοὶ δαμάσασθαι ἔδωκαν,
ὃς κακὰ πόλλ' ἔρρεξεν ὅσ' οὐ σύμπαντες οἱ ἄλλοι,
εἰ δ' ἄγετ' ἀμφὶ πόλιν σὺν τεύχεσι πειρηθῶμεν,
ὄφρά κ' ἔτι γνῶμεν Τρώων νόον ὅν τιν' ἔχουσιν,
ἢ καταλείψουσιν πόλιν ἄκρην τοῦδε πεσόντος,
ἦε μένειν μεμάασι καὶ Ἕκτορος οὐκέτ' ἐόντος.”