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Nuova concezione eroismo nel teatro euripideo

La tragedia greca si è sempre contraddistinta per la sua drammaticità portata e sopportata da eroi che, come descrive G. Perrotta ne “I tragici greci” in riferimento ai personaggi di Sofocle, sono “tutti presi d’una sola passione e così aderenti ad essa da far tutt’uno con essa”. Ciò cambia, secondo W. Jaeger, nel momento in cui la vita inizia ad “imborghesirsi” dal momento che l’interiorità di uomini comuni e concreti doveva essere l’esteriorità degli attori nei teatri esposti davanti all’intera popolazione.
E il difficile compito di coniugare questi due mondi in questo nuovo periodo è stato portato a termine da Euripide che giunge ad “un’epocale svolta etica”, come viene definita da U. Albini in “Euripide o dell’invenzione”. Un esempio a favore di questo cambiamento lo si ritrova nella tragedia delle Supplici, in special modo è incarnato nel personaggio di Teseo che, dialogando con l’araldo del re Creonte, sostiene una politica periclea basata sulla protezione dell’ordine politico ad opera della classe media e sulla ricerca di un capo politico che mantenga questa struttura. Una svolta non solo riguardante un’integrità governativa ma che ruoti anche intorno a due stati dell’animo degli eroi moderni: la tenerezza e la debolezza come viene suggerito da G. Perrotta. Si suggerisce, quindi, l’idea di eroi che hanno, utilizzando le parole di J. de Romilly, “tutte le debolezze umane” il cui “unico eroismo è quello dei deboli e delle vittime che si lasciano alle spalle sogni e speranze e si avviano incontro al loro destino”, continua U. Albini, mentre “non domandano che la nostra commozione e la nostra compassione” conclude G. Perrotta. Questi concetti emergono nelle Troiane in cui vengono narrati i fatti dopo la caduta in guerra della città di Troia. In questa circostanza gli uomini sono stati uccisi mentre le donne sono diventate dei bottini di guerra per i vincitori divenendo, così, il centro del dramma. Ecuba, infatti, in qualità di anziana regina è sempre presente in scena e deve portare su di sé tutto il peso della sconfitta e della sventura seppur con dignità. Cassandra apparentemente sembra serena dopo aver predetto la morte di Agamennone eppure anche lei è oppressa non tanto dagli esiti del conflitto quanto dal suo essere e vivere nella sua profezia, senza combattere nella realtà. Anche Andromaca è prigioniera del suo destino prima risplendente nel suo ideale tradizionale poi crudele condanna: l’essere moglie affettuosa e fedele. Infine Elena dai bei costumi e dal fascino accattivante. Sembra che la guerra non l’abbia neanche sfiorata eppure è lei la grande colpevole di tutti gli avvenimenti. E proprio nel negare la sua colpa, nell’eccedere di superbia nei confronti delle altre donne la porta ad essere debole, una vinta non dal conflitto ma dalla sua interiorità. Caratteristiche che, seppur nascoste da abiti luttuosi, capelli rasati e un imbruttimento generale della persona, rimangono in un’altra tragedia: “Elena” in cui mette in scena diversi inganni contro Teoclimeno e simula abilmente i suoi sentimenti. Altri personaggi che vengono messi in evidenza dalle loro debolezze e dalla loro staticità nel compiere la loro vita appartengono alla tragedia “Andromaca”: Ermione ed Oreste. La prima viene considerata come una donna dalla fisicità e moralità inalterata, piatta troppo perfetta, basata sull’apparenza e destinata a fallire mentre il secondo ha come suo unico punto di forza la violenza e l’irruenza delle armi senza le quali sarebbe un emarginato.

In realtà, però, il vivere nella propria debolezza, accettando il proprio destino con il solo aiuto della “muta pazienza”, citata da B.M.W.Knox in “Euripide”, è un atto preparatorio, una fase intermedia che gli eroi devono affrontare e sopportare per giungere alla pienezza del loro compimento che coincide con l’apice della poesia di Euripide in cui “ i personaggi hanno il compiacimento della propria tenerezza, la voluttà delle proprie lacrime”, come sostiene l’autore dei “Tragici greci”, ma “acquistano una loro verità viva e dolorosa, una loro sofferta e consapevole umanità”, sottolinea R. Cantarella in “Letteratura greca”.
Una forte espressione di ciò avviene in “Medea” in cui la protagonista è inquieta, selvaggia, furiosa, distrutta dal ripudio del marito Gisone per prendere in sposa Glauce ma decisa a compiere la sua vendetta verso coloro che l’hanno ingiuriata. Una vendetta, però, che avrà un costo molto pesante: l’uccisione dei suoi due figli. Sembrerebbe, a questo punto, che la donna mostri il suo lato più tenero e debole, abbia avuto la consapevolezza della sua realtà materna volendo risparmiare due anime innocenti eppure la verità, la verità del suo cuore è decisa perché ormai a prendere il controllo di tutto è stata la passione. Altre eroine che mostrano la loro conflittualità che, tuttavia, li rende coscienti del loro essere sono Alcesti ed Ecuba.
La prima è una donna che decide di sacrificarsi e morire affinchè suo marito, il re di Fere, possa sfuggire alla morte grazie ad una ricompensa del dio Apollo per la sua ospitalità. In questo atto c’è un affettuoso e forte amore coniugale, un amore dolce per i figli ma allo stesso tempo una grande autostima che la porta a reputarsi la migliore tra le donne e cadere di conseguenza in un sottile egoismo e un particolare attaccamento alle tradizioni che quindi l’avrebbero costretta senza scelta a sacrificarsi. Molte sfumature, quindi, che non si contraddicono bensì si completano a creare un personaggio dalla profonda psicologia.
La seconda, invece, viene inizialmente mostrata arrendevole alle sciagure e dalla sofferenza provocata dalla morte del figlio Polidoro ucciso dal re Polimestore per denaro e dal sacrificio di sua figlia Polissena per far ritornare in patria i soldati greci da Troia. Successivamente non è più vittima del suo dolore ma lo padroneggia trasformandolo in rabbia e sostenitore della sua perfida vendetta contro gli uccisori facendo emergere in lei tutte le sue facoltà logiche ed emotive. In questo modo Euripide analizza l’evoluzione di un male che affligge l’eroe e di come lo stesso lo affronti in una battaglia interna che caratterizza la sua personalità.
A questo punto ci si potrebbe chiedere per quale motivo il tragediografo abbia voluto esaminare così vividamente, attraverso gli eroi, tutte le sfaccettature dei sentimenti provati. Probabilmente una risposta è stata data da J. de Romilly: “Euripide non ci lascia ignorare nulla di ciò che accade loro interiormente e che è sempre qualcosa che potrebbe accadere a qualunque essere umano”. In altri termini, Euripide cerca di trovare quella correlazione tra gli stati d’animo interni della popolazione e l’esteriorità degli attori andando, però, oltre facendo recepire agli ascoltatori i loro stessi sentimenti ma arricchiti da quell’essenza poetica e teatrale che, seppur indefinita e tante volte incomprensibile, li aperti ad una nuova ricerca di senso. In questo modo Euripide si sta allontanando dalla tragedia perché toglie quella patina di solennità e inavvicinabilità che rendeva i personaggi eroi tanto che, secondo J. de Romilly: “Certe scene hanno già i toni del melodramma” fino a toccare i limiti del tragicomico. Esempio di ciò lo si ritrova nell’ Andromaca e in special modo nel personaggio di Peleo in cui la vecchiaia contrasta con il suo animo nobile e virtuoso creando ilarità.
Con Euripide, quindi, si sta sviluppando una nuova società che necessariamente si deve accompagnare con una nuova sensibilità che, seppur prematura da essere compresa da tutte le classi sociali, deve preannunciare gli albori di nuovi eroi e uomini diversi.

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