Concetti Chiave
- Il teatro francese del Seicento mostra una transizione dal gusto patetico e romanzesco della tragicommedia al classicismo, con figure emergenti come Corneille, Racine e Molière.
- La scena teatrale parigina è caratterizzata da una forte rivalità tra compagnie, con Molière al centro della vita teatrale grazie al suo lavoro innovativo e alla protezione reale.
- La tragicommedia, genere popolare all'inizio del secolo, perde terreno a favore della tragedia classica, con l'affermarsi delle regole aristoteliche che limitano la libertà creativa.
- Corneille e Racine dominano la tragedia francese, con Corneille che esplora il dramma della volizione e Racine che approfondisce le passioni umane attraverso un'impeccabile poesia tragica.
- Molière rinnova il teatro comico mescolando farsa, commedia dell'arte e satira sociale, creando opere che riflettono e criticano la società del suo tempo con grande successo e universalità.
Letteratura drammatica francese
Il teatro francese conserva nell’arco di tutto il Seicento una straordinaria vitalità: agli inizi del secolo il gusto inclina verso il patetico e il romanzesco, producendo una grande fioritura nel campo della liberissima tragicommedia, ma poi, con l’affermarsi del classicismo, s’impone il rispetto della naturalezza e della ragione e il teatro trova i suoi campioni, tanto nel genere tragico, prima in Corneille e poi in Racine, quanto nel genere comico con Molière.
Nella capitale francese la vita teatrale è molto intensa: si moltiplicano i teatri, ciascuno con la propria compagnia stabile, dall’Hôtel de Bourgogne, al Marais, dal Petit-Bourbon alla grandiosa sala del Palais Royal, che sarà il regno di Molière, insieme autore, attore, impresario e capocomico.
Le compagnie che gestiscono i teatri sono spesso in lotta per assicurarsi le pièces degli autori migliori e di conseguenza il successo. E’ una rivalità professionale in piena regola, che non esclude i colpi bassi, gli attacchi personali, fino allo sberleffo e all’insulto. Attraverso la rappresentazione del teatro nel teatro gli autori possono prendere posizione, attaccare e difendersi: rispondendo ai suoi detrattori, Molière, nell’Improvvisazione di Versailles, offre una memorabile parodia delle gigionesche tirate degli attori dell’Hôtel de Bourgogne.
Mentre il teatro tragico tende sempre più a indirizzarsi a un’élite colta, il teatro comico mantiene vivi i suoi contatti con il teatro popolare, soprattutto quello dei comici dell’arte italiani che sono in Francia a più riprese, protetti prima da Maria de’ Medici e poi da Mazzarino. Dopo numerose tournées francesi, intorno al 1660 una compagnia di comici dell’arte italiani si stabilisce a Parigi restandovi quasi sino alla fine del secolo ed esercitando sul teatro francese un’influenza profonda e duratura. Ma già Molière aveva lavorato fianco a fianco con gli italiani al Petit-Bourbon, traendo da quest’esperienza insegnamenti preziosi. Al teatro italiano delle maschere si ispiravano anche le farse improvvisate sulle piazze, alle quali il popolo accorreva più numeroso ancora che alla rappresentazione degli scenari della Comédie italienne, graditi anche alla Corte: un attore si distingueva tra gli altri, il mitico Dauphine Tabarin, attivo a Parigi tra il 1618 e il 1625.
Un grande autore di tragicommedie è Rotrou, il cui modello preferito è lo spagnolo Lope de Vega, maestro nella contaminazione degli stili e dei generi.
Nei drammi di Rotrou le finzioni e gli artifici del teatro sono portati al massimo grado di inverosimiglianza, ma talvolta, in quest’atmosfera di schematica ripetitività, filtra la luce della poesia.
Il periodo della libertà nella costruzione della struttura drammatica ha però vita breve: presto i fautori dell’ordine tornano all’attacco esigendo dagli autori il rispetto della ragione che stabiliva partizioni e gerarchie ben definte, aborrendo qualsiasi contaminazione, e soprattutto impoe la fedeltà scrupolosa alle unità di luogo, tempo e azione.
Del 1634 è la rappresentazione della prima tragedia francese "regolare" (cioè scritta nell’assoluto rispetto delle regole aristoteliche), la Sofonisba di Mairet: da questa data, e parallelamente all’affermarsi di una concezione classicistica della poesia, comincia il lento, ma ineluttabile declino della tragicommedia.
Mairet è protagonista, insieme a Scudéry, di un’accesa disputa, la cosiddetta Querelle du Cid: del dramma di Corneille, che lo stesso autore aveva inizialmente definito una tragicommedia, i detrattori, invidiosi del grande successo ottenuto dall’opera, criticano le parti sentimentali e romanzesche, proprio quelle che più erano piaciute al pubblico.
La controversia sul Cid di Corneille viene risolta da un parere dell’Académie française steso da Chapelain, il quale tenta una mediazione che lascia tutti abbastanza scontenti: Corneille, in particolare, rimane assai contrariato dalla lunga polemica e sceglie, per il futuro, di ispirarsi esclusivamente alla storia.
L’opera di Corneille può essere vista come "lo sforzo per la conquista di uno stile tragico in effetti le prime commedie d’intrigo mostrano una fantasia accesa e vivida, una passione per le vicende avventurose e amorose, che poi l’autore volle sempre più sottomettere al vigile freno della ragione.
Corneille tenta una mediazione tra la cieca fedeltà al modello e alle regole degli antichi e l’eccessiva e disordinata libertà dei moderni, ma allorché si rende conto che questo tentativo è destinato al fallimento si chiude nel culto eroico e solitario di una virtù tanto sublime da apparire disumana. Il vero protagonista delle grandi tragedie corneliane non è l’uomo, ma l’eroe, che, con uno sforzo supremo di volontà, persegue la virtù e la gloria, ora attraverso la dedizione alla patria, come nell’Orazio, ora attraverso la magnanimità, come nel Cinna, oppure la conquista per mezzo della santità, come in Poliuto.
Il dramma corneliano è dramma della volizione, che implica quasi sempre un conflitto nell’animo del protagonista sottoposto all’azione di spinte diverse e contrastanti. E questo conflitto dà vita a una sorta di teatro interiore che si realizza attraverso procedimenti stilistici tipicamente barocchi, come l’antitesi e l’iperbole.
Le solenni tragedie della maturità di Corneille rappresentano l’uomo non quale è, ma quale dovrebbe essere e pertanto appaiono talvolta un po’ eccessive, come sforzate. Lo schema su cui si reggono è talora troppo evidente e i personaggi, chiusi nei loro dilemmi oratori, perdono verità e consistenza drammatica. Al 1636 o al più tardi al 1637 risale il capolavoro di Corneille, Il Cid, che dal poema epico spagnolo Cantar de mío Cid, imperniato sulla figura di Rodrigo, El Cid, eroe nella lotta contro i mori, trae spunto per modellare a tutto tondo un potente dramma. Sebbene i critici del tempo accogliessero l'opera con riserve perché a loro avviso non rispettava con rigore l'unità di tempo, di luogo e d'azione, Il Cid ebbe un'accoglienza trionfale. Nel 1647 Pierre, il fratello Thomas, che pure fu autore di teatro, e le rispettive famiglie si trasferirono da Rouen a Parigi, e in quello stesso anno Pierre venne eletto all'Académie Française. La successiva produzione, comprendente Don Sancio d'Aragona (1649), Andromeda (1650) e Nicomede (1651), ebbe una buona accoglienza, ma l'insuccesso di Pertarito (1651) segnò l'inizio di un silenzio che sarebbe durato otto anni. Ormai, la corte di Luigi XIV preferiva la sensibilità più complessa e al contempo differentemente eroica dei personaggi di Jean-Baptiste Racine. Di fronte alla magniloquenza statica e scultorea delle grandi tragedie di Corneille, paiono maggiormente percorsi dal soffio caldo e vivificante della poesia i drammi tardi, composti da un Corneille già amareggiato dall’ascesa incalzante di Racine, in particolare l’ultima, malinconica tragedia, il Surena, in seguito alla cui caduta Corneille abbandonerà definitivamente le scene.
Trasferitosi a Parigi nel 1658 Racine iniziò la carriera letteraria come poeta, riscuotendo il favore della corte. Il fatto di essere poeta di corte lo portò ad avere un'intensa vita mondana; strinse amicizia con importanti personaggi della cultura del tempo, tra cui Jean de La Fontaine e Nicolas Boileau-Despréaux. Il suo primo dramma, La Tebaide o i fratelli nemici, venne rappresentato al Palais Royal dalla compagnia di Molière nel 1664; l'anno successivo andò in scena Alessandro il Grande. Insoddisfatto degli allestimenti del gruppo di Molière, Racine affidò il dramma alla compagnia rivale dell'Hôtel de Bourgogne, che da allora mise in scena tutti i suoi drammi. Il successo fu immediato. E immediata fu anche l'opposizione dei sostenitori di Pierre Corneille, considerato il maggior autore dell'epoca, che sentiva il suo prestigio indebolirsi a causa dell'ascesa di Racine.
Nei dieci anni che seguirono l'allestimento dell'Alessandro, Racine scrisse tutti i suoi capolavori, sette grandi tragedie, di cui sei su temi legati al mondo classico: Andromaca (1667), Britannico (1669), che decretò la netta superiorità di Racine rispetto a Corneille, autore di una tragedia analoga, Berenice (1670), Bajazet (1672), ambientata in un serraglio di Costantinopoli, Mitridate (1673), Ifigenia (1674) e Fedra (1677). Il successo di Fedra fu offuscato dai nemici di Racine i quali commissionarono a un autore minore, Nicolas Pradon, una Fedra che riscosse, secondo un piano programmato, maggior plauso del capolavoro di Racine. Ma il piano per mettere in ombra il grande tragediografo non sortì grandi risultati e Racine, consacrato a corte con la nomina di storiografo ufficiale di Luigi XIV, nel 1672 fece il suo ingresso all'Académie Française. Qualche anno prima aveva scritto una commedia, I litiganti (1668), estrosa presa in giro dei processi nella Parigi secentesca, e due tragedie di argomento biblico, commissionategli da Madame de Maintenon per le educande del convento di Saint-Cyr: Ester (1689) e Atalia (1691).
L’opera teatrale di Jean Racine fiorisce nella già splendida e matura civiltà francese del Seicento, ma il genio di questo grande drammaturgo ha saputo fondere, con insuperata armonia poetica, l’esplorazione delle pieghe più profonde dell’animo umano e delle sue passioni più laceranti con il senso della grande tragedia greca, cui si adegua mirabilmente la severa e impietosa educazione giansenista di un Dio muto e terribile.
L’adesione travagliata al giansenismo imprime nell’acuta e delicata intelligenza del giovane Racine l’idea dolorosa e radicale della miseria dell’uomo e della sua inappellabile condanna.
All’unico testo comico del drammaturgo francese, I litiganti in cui si sente aleggiare l’ombra di Molière, segue la tragedia Andromaca in cui si delineano interamente le disposizioni poetiche e sentimentali di Racine. Con quest’opera egli mette a fuoco il regno delle passioni e la ricerca della verità dell’anima. Su uno sfondo eroico si consuma il dramma e la sofferenza di una donna. Non è più la magniloquenza stoica e feudale di Corneille, ma la passione introversa del cuore infelice.
Dopo il successo, non senza contrasti, di Andromaca, la rivalità tra Racine e Pierre Corneille si fa più aspra. Se Andromaca era stata elogiata da un corneliano come Saint-Evremond, con Berenice, rappresentata nel 1670, Racine si contrappone in modo decisivo a Corneille, il quale, a sua volta, fa rappresentare quasi contemporaneamente alla tragedia di Racine una commedia eroica dal titolo Tito e Berenice.
Il successo va tutto a favore della Berenice di Racine, che viene riconosciuta come tragedia esemplare, e che ha nello stile, più che nell’esile trama, la sua forza e la sua grandezza. E’ uno stile intessuto di reticenze, accenni e silenzi, che traducono una vicenda interiore, ma anche il dramma della rinuncia e della necessità etico-politica della ragion di stato.
Nel 1669 Racine porta in scena il Britannico, straordinaria tragedia storica, in cui le fosche tinte tacitiane si riverberano nei movimenti interiori dei personaggi. La maestria stilistica di Racine rende Nerone, Burro, Agrippina, Britannico complessi e allo stesso tempo lucidi protagonisti di una verità storica che si approfondisce nei contrasti fra elementi contrari. La dolcezza e la ferocia si contendono la scena, ma è quest’ultima a occupare costantemente la scena nei volti speculari di Nerone e Agrippina.
Pradon sembra avere la meglio per l’affluenza e il consenso del pubblico, ma il suo successo resta effimero. La forza della tragedia raciniana s’impone alla fine irresistibile come la voce suprema della sua protagonista. Ma le polemiche che scaturiscono da queste vicende amareggiano così profondamente Racine da indurlo a uscire di scena, a non scrivere più per il teatro. Fedra, tuttavia, resta insieme ad Atalia l’opera più alta del drammaturgo francese. Racine riesce a penetrare nelle ombre di un mito remoto con una intelligenza spietata, tanto da far trasparire in modo audace e quasi crudele la natura incestuosa dell’amore di Fedra per Ippolito. Allo stesso modo Racine si dimostra acutissimo nella resa poetica e nella coscienza tragica dell’impossibilità di vincere il male, che animano il dramma.
Le modulazioni del verso lo rendono duttile e fermo allo stesso tempo, plastico e rigoroso, in accordo con il concerto ritmico dello spartito tragico. L’armonia non si stempera mai nell’enfasi, una misura cristallina forma l’esplosione dei sentimenti e la tragedia tremenda di un amore assoluto, condannato al nichilismo di un dolore senza redenzione.
La straordinaria abilità teatrale di Racine sta proprio nel recupero antieroico ed euripideo della tragedia, dove le circostanze (fatalità, destino, passioni) impongono le condizioni del conflitto umano. Queste circostanze non fanno che amplificare la dimensione umana del teatro raciniano, che in fondo è un rincorrersi doloroso di passioni e sentimenti oppressi dall’impossibilità di una corrispondenza.
L’anima è sola con il proprio corpo e il proprio desiderio.
Lo spostamento continuo della soluzione della vicenda crea poi una sospensione atroce del tempo della tragedia. In questo tempo, che pare un presente immobile, tutti gli eventi precipitano attratti nell’oscura voragine della disfatta o di una risoluzione quasi inumana.
Il teatro di Racine ha una regolarità classica che però non cede mai al gusto di una geometria esterna e astratta. Il crescendo delle peripezie e delle passioni fino alla risoluzione tragica è costruito con una sapienza prodigiosa, che scruta, serena e impassibile, sentimenti e conflitti, luci e ombre del cuore e del suo caos interiore.
La capacità lirica dell’alessandrino raciniano, con la sua musicalità alta e tormentata, dolce e terribile, è certo il più luminoso esempio di poesia pura nella Francia letteraria del XVII secolo.
Anche Cleante macchina qualcosa, ma per realizzarlo ha bisogno di soldi, che un usuraio vuole fargli pagare molto caro: quando scopre che l'usuraio e` suo padre, e questi scopre che a chiedere un simile prestito e` suo figlio, i due litigano accusandosi reciprocamente; con la solita avarizia Arpagone s'inimica poi Frosina, la donna che sta combinando il suo matrimonio con Mariana.
Frosina presenta Mariana ad Arpagone, e questi le presenta i figli, che ora fingono una parziale accondiscendenza: così Mariana apprende che Arpagone e` il padre di Cleante.
Frosina passa pero` dalla parte degli amanti, e progetta di distrarre Arpagone presentandogli una falsa ricca nobile; Cleante rivela ad Arpagone i veri rapporti esistenti tra lui e Mariana, ma non ottiene che l'ira del padre, deciso a scacciarlo, diseredarlo e maledirlo; intanto il suo valletto Saetta è riuscito a rubare l'argento dell'avaro, che si dispera sconsolatamente.
Il commissario ed Arpagone cercano di scovare il ladro, e Mastro Giacomo, bastonato da Valerio, pensa di potersi vendicare denunciandolo: quando Arpagone l'accoglie con gli insulti, Valerio pensa che il suo fidanzamento segreto con Elisa a stato scoperto e confessa tutto; mentre sta per essere arrestato come ladro, interviene Anselmo, che riconosce in Valerio e Mariana i suoi figli smarriti nella precipitosa fuga dalla natia Napoli; poi arriva Cleante, e rivela che la cassetta col denaro e` nelle sue mani, e che la restituirà se suo padre acconsente alle nozze con Mariana, cosi` come Anselmo rinuncia ad Elisa in favore del figlio Valerio: Arpagone accondiscende a tutto, purchè non debba pagare una lira.
Domande da interrogazione
- Quali sono le principali caratteristiche del teatro francese nel Seicento?
- Come si differenziano il teatro d'élite e il teatro popolare in Francia nel Seicento?
- Qual è stato l'impatto della Querelle du Cid sulla carriera di Corneille?
- In che modo Racine ha influenzato il teatro francese con le sue tragedie?
- Quali sono le caratteristiche distintive delle commedie di Molière?
Il teatro francese del Seicento è caratterizzato da una straordinaria vitalità, con una transizione dal gusto per il patetico e il romanzesco della tragicommedia verso il classicismo, che enfatizza la naturalezza e la ragione. I principali esponenti sono Corneille e Racine per la tragedia, e Molière per la commedia.
Il teatro d'élite tende a rivolgersi a un pubblico colto, mentre il teatro comico mantiene un legame con il teatro popolare, influenzato dai comici dell'arte italiani. Molière, ad esempio, ha collaborato con attori italiani, integrando elementi popolari nelle sue opere.
La Querelle du Cid, una disputa accesa sulla tragicommedia di Corneille, ha portato l'autore a ispirarsi esclusivamente alla storia per evitare ulteriori polemiche, segnando un cambiamento nella sua produzione verso una maggiore aderenza alle regole classiche.
Racine ha influenzato il teatro francese fondendo l'esplorazione delle passioni umane con la tragedia greca, creando opere che riflettono la severità del giansenismo e la complessità delle emozioni umane, come in "Fedra" e "Atalia".
Le commedie di Molière sono caratterizzate da una sintesi di vari generi comici, come la farsa e la commedia dell'arte, e da una satira sociale che ridicolizza i difetti umani. Molière utilizza una varietà di stili linguistici per creare un effetto comico e grottesco, rendendo i suoi personaggi archetipi universali.