Concetti Chiave
- La lettera di Rimbaud a Paul Demeny del 1871 espone la sua poetica, criticando la tradizione lirica occidentale e salvando solo il romanticismo e la classicità greca.
- Rimbaud sostiene che l'io autentico dell'uomo è ancora inesplorato e giace nelle profondità dell'anima, richiedendo una nuova direzione poetica.
- Propone che i poeti diventino "veggenti", capaci di vedere oltre la percezione comune, attraverso esperienze trasgressive e maledette.
- Rimbaud suggerisce un "tirocinio" di disordine sensoriale, amore, sofferenza e follia per potenziare la conoscenza del poeta.
- Infine, sfida i poeti a inventare una nuova lingua per comunicare le "cose inaufite e innominabili" scoperte come veggenti.
Rimbaud, Arthur – Il Poeta Veggente
Questa lettera è datata 15 maggio 1871 e indirizzata al poeta Paul Demeny, è diventata conosciuta in quanto costituisce la più compiuta esposizione della poetica di Rimbaud, chiaro punto di riferimento per i suoi futuri seguaci, dai simbolisti agli ermetici. Già all’inizio lo scrittore va a screditare con poche ferme sentenze l’intera tradizione lirica occidentale, salvando da questo contesto solamente il movimento romantico e la tradizione classica greca, successivamente si sofferma invece sul fatto che l’io più autentico dell’uomo in realtà non sia ancora stato scoperto ma continua a giacere sepolto nell’anima, nelle sue zone più profonde.A questo punto segue un’invettiva che si concentra sulla poesia del futuro, Rimbaud spera infatti in un completo abbandono delle vie più scontate dell’illustrazione dei temi canonici, per invece dedicarsi completamente al compito dell’analisi approfondita dell’io, per raggiungere questo scopo però, il poeta avrebbe dovuto calzare il ruolo di un veggente, che lo scrittore simbolista appella come “voyant”, e che classifica come colui in grado di scrutare dove non arriva lo sguardo dell’uomo comune. Tuttavia questa capacità non appare come una sorta di facoltà predisposta naturalmente, e infatti lo stesso Rimbaud a proporre un tirocinio impegnativo di esperienze trasgressive al limite della possibilità umana, e infatti l’estremo maledettismo che incarnavano lui e Baudelaire si presenta non solo come un gesto scandaloso, in quanto il suo vero obiettivo è quello di potenziare le facoltà conoscitive del poeta. Solo chi ha compiuto determinate esperienze, sostiene a questo punto l’autore, riesce a comprendere chi sia veramente l’uomo e la sua anima. Ancora più importante però è il fatto che Rimbaud fornisca un vero e proprio programma di analisi poetica che ovviamente si ispira e trova costanti connessioni con questo stile di vita maledetto, in particolare sottolinea la necessità di praticare: “il disordine di tutti i senti”, sperimentando “tutte le forme d’amore, di sofferenza, di pazzia” e solo in questo modo può aspirare a diventare “il grande inferno, il grande criminale, il grande maledetto” e di conseguenza assumere la somma sapienza. Una volta raggiunto questo traguardo, un secondo problema si pone di fronte al poeta, ovvero trovare le parole adatte per descrivere agli altri la sua condizione di veggente di “cose inaufite e innominabili” e qui Rimbaud lancia una sfida provocatoria che consisterebbe nel pensare a una nuova lingua.
Domande da interrogazione
- Qual è il principale obiettivo della poetica di Rimbaud esposta nella lettera a Paul Demeny?
- Come Rimbaud propone di potenziare le facoltà conoscitive del poeta?
- Quale sfida lancia Rimbaud riguardo alla comunicazione della condizione di veggente?
Rimbaud mira a un completo abbandono delle vie scontate della poesia tradizionale per dedicarsi all'analisi approfondita dell'io, attraverso il ruolo del "veggente" che esplora oltre i limiti della percezione comune.
Rimbaud suggerisce un tirocinio di esperienze trasgressive, sperimentando il "disordine di tutti i sensi" e vivendo tutte le forme di amore, sofferenza e pazzia per comprendere veramente l'uomo e la sua anima.
Rimbaud sfida i poeti a pensare a una nuova lingua per descrivere le "cose inaufite e innominabili" che il veggente percepisce, poiché le parole esistenti non sono sufficienti.