
Da una ricerca recente di Excelsior - Unioncamere è emerso che nell’ultimo trimestre, aprile – giugno 2013, i diplomati hanno trovato lavoro con più facilità dei laureati. È vero che oggi nel mondo del lavoro l’esperienza conta molto di più del titolo di studio? E come fare per crearsela appena terminati gli studi? Skuola.net lo ha chiesto alla Prof.ssa Michéle Favorite, Professor of Business and Communications presso la John Cabot University.
Titolo di studio o esperienza: secondo lei ad oggi cosa conta di più per le aziende?
Direi che le due cose non possono essere separate. Il titolo di studio che non è portatore di esperienza pratica è anacronistico. A cosa serve lo studio puramente teorico? Come può aggiungere valore in azienda un ragazzo che ha solo studiato princìpi, regole, teoremi e non li ha messi in pratica? In questo, il sistema di studio americano dovrebbe esserci di esempio: negli Stati Uniti lo studio ha sempre un risvolto pratico, a tutte le età e in tutte le discipline. Allo studente non viene chiesto “Cosa sai?”, ma “Cosa sai fare?” Alla John Cabot, la maggiore università americana in Italia, l’Università è un laboratorio di pragmatismo. Da un lato, i ragazzi sono spronati a svolgere stage già dal secondo anno. Inoltre, l’insegnamento ha un risvolto nettamente pragmatico. Per esempio, il corso di Storia dell’arte sugli affreschi è accompagnato dal laboratorio artistico, dove gli studenti si cimentano nella realizzazione di un affresco man mano che studiano l’evoluzione degli affreschi nella storia, a partire da Giotto. Stessa cosa avviene nel corso che insegna a gestire una mostra d’arte: gli studenti studiano la teoria e poi la mettono in pratica, organizzando loro stessi una mostra (scegliendo un artista e le opere d’arte, trovando lo spazio e i fondi, ecc.), per non parlare dei corsi di economia e finanza, che sono basati sull’apprendimento di casi aziendali, a quelli di giornalismo, dove i ragazzi scrivono e pubblicano in continuazione.
Molte offerte di lavoro mettono l'esperienza tra i requisiti fondamentali per poter lavorare, ma un ragazzo che ha appena completato gli studi non può averla. Cosa consiglia di fare ai giovani per far fronte al problema?
Non sono d’accordo che un giovane non possa maturare esperienze di lavoro mentre studia. In Italia sarà forse più difficile trovare lavoro quando si è giovani, ma questo non vuol dire che sia impossibile, o che i ragazzi non possano “inventarsi” un lavoro, anche se non retribuito. Lavori disponibili ai giovani ce ne sono: cameriere in un ristorante o bar, animatore in un centro estivo, collaboratore per siti web e blog, ecc. Ma vanno benissimo anche attività di volontariato di vario genere. E poi i lavori si possono anche inventare: fare baby sitting, offrire ripetizioni dopo scuola, creare un blog o sito web per una causa lodevole, ecc. Anche questi piccoli lavori che sembrano poco importanti sono utilissimi: insegnano ai ragazzi ad essere responsabili, a gestire il proprio tempo, ad essere intraprendenti, a lavorare con gli altri. Suggerirei ai ragazzi che si lamentano che non trovano lavoro di diventare più intraprendenti e più umili: negli altri paesi, per esempio gli Stati Uniti, i ragazzi iniziano a lavorare alle scuole medie, inventandosi di tutto (vendendo limonata sul marciapiede del proprio quartiere, lavando le macchine dei vicini, ecc.).
Un consiglio ad un giovane che sta per entrare nel mondo del lavoro...
Il mio consiglio è: non abbiate paura di lavorare e di impegnarvi. Guardate cosa fanno i giovani all’estero: in paesi come la Corea e la Cina, la giornata tipica al liceo dura fino alle 11 di sera. Certo, è un sistema esagerato, ma quei ragazzi non si fermano di fronte a niente e sono poi quelli che entrano nelle migliori università americane con borse di studio piene. I ragazzi americani già a 20 anni hanno curriculum talmente stracolmi di esperienze lavorative che il loro problema è come restringerle in una pagina. Non a caso, questi ragazzi sono anche motivati da un forte senso civico: sentono di avere un debito nei confronti della società e i loro sforzi servono a migliorare il benessere generale. Forse un pizzico di senso civico in più servirebbe anche a spronare i ragazzi italiani.