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Subordinata finale e completiva volitiva - Spiegazione ed esempi Pag. 1
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Sintesi
La proposizione subordinata finale indica lo scopo dell'azione espressa nella principale ed è slegata dalla stessa, nel senso che non è strettamente necessaria per comprenderne il significato.

Esempio: Sono uscito per fare delle commissioni.
Principale Sub.finale

Inoltre, se omettessi la proposizione finale, la reggente non perderebbe significato: posso benissimo dire “Sono uscito” e basta.

Invece, la subordinata completiva volitiva rappresenta un completamento della principale, fondamentale al fine di comprenderne il significato. Inoltre, è detta “volitiva” in quanto dipende dalla volontà del soggetto in questione.

Esempio: Ti chiedo / di fare silenzio.
Principale Sub.completiva volitiva (= oggettiva)

In questo caso, qualora decidessi di omettere la completiva, la principale risulterebbe quasi “incompleta”: “Ti chiedo” (sorge spontaneo chiedersi “che cosa?”).

In latino sono entrambe introdotte dalle particelle “ut”, per la forma affermativa, e “ne”, per quella negativa, seguite da un verbo al congiuntivo, il quale si trova:

al tempo presente, se nella reggente è presente un verbo al presente o al futuro;

al tempo imperfetto, se nella reggente è presente un verbo al passato (imperfetto, perfetto, piuccheperfetto, ecc.).

Esempi:

- Finale
Exeo ut eam ad Marcum (Esco per andare da Marco; presente —> congiuntivo presente).

Exivi ut irem ad Marcum. (Sono uscito per andare a casa di Marco; perfetto —> congiuntivo imperfetto).

- Completiva volitiva
Te moneo ut neglegas officia (Ti esorto a non trascurare i doveri; presente —> congiuntivo presente).

Te monebam ut neglegeres officia (Ti esortavo a non trascurare i doveri; imperfetto —> congiuntivo imperfetto).

Se quanto alla loro formazione tali subordinate sono identiche, per la parte di traduzione il discorso cambia:

- per la subordinata finale, basta tradurre con “affinché (non)”, “perché (non)” + congiuntivo [esplicita], oppure con “per non” + infinito del verbo [implicita];

- per quella completiva volitiva, si traduce con “che (non)” + congiuntivo [esplicita], oppure “di (non)” / “a (non)” + infinito del verbo [implicita].

Consigli utili per la messa in pratica


Nella pratica, quando ci si imbatte nella traduzione di subordinate di questo tipo, è bene tenere a mente questi consigli:

- per distinguere una finale da una completiva volitiva, basta vedere se la subordinata in questione è necessaria o meno per comprendere il significato della principale, come nell’esempio iniziale;

- inoltre, per identificare una volitiva, spesso ci si riconduce a verbi di desiderio (cupio, spero…), ordine (impero, cogo…), richiesta (oro, obsecro, peto, quaero…), preoccupazione (video, curo, provideo…);

- a volte la subordinata finale può essere introdotta da “quo” invece che da “ut” quando contiene un comparativo; talvolta la stessa proposizione può essere espressa anche mediante una subordinata relativa: in questo caso, in fase di traduzione, è sufficiente trasformare il “che” della relativa in “affinché”.
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