Geremia
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Concetti Chiave

  • I verbi "vedere" e "guardare" hanno significati distinti, con "vedere" che implica un coinvolgimento emotivo e una comprensione più profonda rispetto a "guardare".
  • "Vedere" comporta un processo di comprensione e presa di coscienza dell'oggetto osservato, mentre "guardare" si limita a un'osservazione potenzialmente analitica ma non risolutiva.
  • La differenza sostanziale tra i due verbi è il salto qualitativo che "vedere" rappresenta, trasformando un'osservazione in una comprensione responsabile.
  • Il passaggio dall'osservazione alla comprensione implica una responsabilizzazione dell'osservatore, che diviene consapevole del significato dell'oggetto visto.
  • Gli esempi illustrano come un uso improprio dei due verbi possa risultare "stonato" e sottolineano l'importanza della comprensione nel contesto dell'osservazione.

Vedere e guardare: Differenze

Vedere e guardare sono verbi dal significato profondamente diverso e non sempre (io direi quasi mai) fungono da sinonimi. Cerchiamo di capire il perché attraverso un semplice esempio:

- In questi giorni ho visto la differenza tra lui e te.
- In questi giorni ho guardato la differenza tra lui e te.

Partiamo dalle sensazioni.
S’intuisce che le due frasi non sono né equivalenti né interscambiabili. È palese la diversa tensione emotiva che si avverte nella lettura dell’una e dell’altra.

Si sarebbe tentati di dire che nella prima si respira un pathos vivo, partecipe, decisivo per il significato stesso della frase. Nella seconda, invece, l’emozione scompare per lasciare il posto a qualcosa di più freddo, staccato, analitico. Chi guarda, controlla. Chi vede, percepisce.
Nel verbo vedere sembra quindi “inglobato” un coinvolgimento diretto del soggetto osservante nell’oggetto osservato. Coinvolgimento che non trova pari riscontro nel verbo guardare.

Il significato intrinseco.
Guardare e vedere muovono entrambi da un’azione osservativa che risulta uguale nella forma (l’atto del vedere e del guardare sono identici in colui che li compie), ma diversa nella sostanza. In colui che vede infatti, come risulterà dalle nostre riflessioni, si sviluppa (nasce) una presa di coscienza in grado di trasformare colui che guarda in colui che comprende. Tentiamo di spiegare.
Il guardare, per sua stessa natura, non è risolutivo. Noi potremmo guardare qualcosa o qualcuno (oggetto osservato) per un tempo infinito senza arrivare a conclusione alcuna. Colui che guarda può giungere a qualche risultato dell’analisi osservativa, solo nel momento in cui riesce a vedere l’oggetto osservato. E questo, beninteso, non perché l’azione del guardare sia (in sé) superficiale o poco accorta, anzi. Guardare può richiedere sforzo, attenzione, profondità d’analisi. Ma ogni risultato dell’azione osservativa legata al verbo guardare, non ha effetto se l’oggetto osservato non viene, alla fine, realmente visto.
Il verbo vedere, quindi, arricchisce qualitativamente il significato della frase e ne fa assumere una connotazione più alta. La persona che vede, infatti, non ha semplicemente guardato, ma si è spinta oltre raggiungendo l’obbiettivo dell’osservazione: ha capito, ha compreso, l’oggetto precedentemente guardato. Ha visto, appunto.
Guardare è quindi condizione necessaria, ma non sufficiente per poter andare oltre: riuscire, cioè, a vedere. Superare la semplice osservazione richiede un salto qualitativo che coinvolge direttamente la coscienza del soggetto osservante. Colui che si mantiene nella sfera osservativa del guardare, non viene implicato nel soggetto osservato, ma rimane al di fuori di esso, in una posizione di distacco: egli eventualmente osserva, valuta, esamina, controlla. Colui che, compiendo il salto qualitativo (presa di coscienza), riesce invece a vedere, esce dalla propria sfera osservativa ed entra direttamente in quella del soggetto osservato fino a comprenderlo. Il vedere, quindi, presuppone un passaggio finale (comprensione) che il guardare non richiede.
In ultima (ma non meno importante) analisi, potremmo dire che nel momento in cui l’oggetto osservato viene visto, il soggetto osservante diviene responsabile della comprensione acquisita.

Riassumendo: il vedere è il risultato di un’azione osservativa che il soggetto compie:
- a partire dal guardare,
- passando attraverso un salto qualitativo (presa di coscienza),
- giungendo alla comprensione dell’oggetto osservato assumendosi la responsabilità di tale conoscenza.

Riportiamo altri due esempi.

1) “Anna ascoltami: ho appena scritto un’equazione alla lavagna. Ora guardala e dimmi cosa vedi.”
L’insegnante chiede (esplicitamente) ad Anna di vedere e (implicitamente) di capire l’equazione scritta. Non è importante in questo contesto sapere che cosa dell’equazione Anna deve comprendere. A noi interessano i passaggi legati all’eventuale comprensione della cosa stessa, e cioè:
- Azione osservativa: Anna guarda.
- Salto qualitativo: ad Anna accade qualcosa che la porta a prendere coscienza dell’oggetto osservato fino a vederlo.
- Risultato dell’osservazione: comprensione dell’oggetto osservato e responsabilizzazione del proprio sapere (la conoscenza rende responsabili: Anna, ora, deve occuparsi di ciò che ha visto).

2) “Oggi in macchina, vedendo dal finestrino, ho guardato un terribile incidente e mi sono fermato per sapere se qualcuno aveva bisogno d’aiuto”.
La frase risulta “stonata”. I verbi vedere e guardare sono usati in modo improprio, se non addirittura errato. In particolare, se l’affermazione “vedendo dal finestrino” può infastidire la media dei lettori, la prosecuzione “ho guardato un terribile incidente”, risulterà, ai più, del tutto insopportabile. Le ragioni di questo “fastidio” dovrebbero essere a questo punto abbastanza chiare. Aggiungiamo all’esempio specifico solo la seguente riflessione, nel tentativo di rafforzare le idee fin’ora espresse: colui che si limita a guardare difficilmente si ferma: più probabilmente passa oltre. Solo chi si spinge fino a vedere può, eventualmente (non necessariamente: dipende dalla responsabilità che il soggetto si assume), fermarsi allo scopo di occuparsi dell’oggetto visto.
Per comprendere ancora meglio la diversità tra i due verbi, sarebbe molto bello, e utile, poter analizzare come questi vengano utilizzati nella Bibbia. Ma, ahimè, la riflessione richiederebbe uno spazio che esula dallo scopo di questa (pur esauriente, mi auguro) breve spiegazione. Buona ricerca.

Domande da interrogazione

  1. Qual è la differenza principale tra i verbi "vedere" e "guardare"?
  2. "Vedere" implica un coinvolgimento emotivo e una comprensione dell'oggetto osservato, mentre "guardare" è un'azione osservativa che può rimanere superficiale senza necessariamente portare a una comprensione.

  3. Perché le frasi "ho visto la differenza" e "ho guardato la differenza" non sono interscambiabili?
  4. Le due frasi trasmettono emozioni diverse; "vedere" suggerisce un pathos e una comprensione, mentre "guardare" appare più freddo e analitico.

  5. Come si sviluppa la comprensione attraverso il verbo "vedere"?
  6. La comprensione si sviluppa attraverso un salto qualitativo che parte dal "guardare", passa per una presa di coscienza, e culmina nel "vedere" l'oggetto osservato.

  7. Qual è il ruolo della responsabilità nel processo di "vedere"?
  8. Quando un soggetto vede, diventa responsabile della comprensione acquisita, poiché la conoscenza ottenuta implica un impegno verso l'oggetto visto.

  9. Perché l'esempio dell'incidente risulta "stonato" nell'uso dei verbi?
  10. L'uso improprio di "vedere" e "guardare" nell'esempio dell'incidente crea fastidio perché chi guarda tende a passare oltre, mentre chi vede può fermarsi per occuparsi dell'oggetto visto.

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