Fabrizio Del Dongo
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Indice

  1. Introduzione all'argomento
  2. Esempi
  3. Significato letterale e metaforico
  4. La storiella popolare dell’uso del finocchio

Introduzione all'argomento

Si tratta di un verbo molto usato, nel linguaggio quotidiano, con significato di “ingannare”, imbrogliare”, “truffare”, “raggirare”, “abbindolare qualcuno”. Dal punto di vista etimologico, il verbo deriva dal latino” finiculum” che significa “finocchio”.

Esempi

• Roberto è un ingenuo e si lascia infinocchiare da chiunque
• Ti, sbaglia, se credi di potermi infinocchiare!
• Attenzione a non farti infinocchiare da quel tipo.
Risulta chiaro che il termine deriva da “finocchio”; meno chiaro è, invece, che rapporto possa esistere fra la pianta del finocchio e l’inganno.

Significato letterale e metaforico

Il primo significato del verbo “infinocchiare” è quello letterale, cioè cospargere qualche con i semi di finocchio, cioè usare i semi di finocchio per rendere più saporite le vivande o, magare, per nasconderne qualche difetto.
Ma è proprio da questo valore letterale che deriva l’uso figurato di “infinocchiare” nel senso di “ingannare” o “imbrogliare”. Infatti, usando i semi di finocchio, come condimento aromatico, non facciamo altro che alterare il sapore originario e genuino di una vivanda; se poi, nel caso in cui la pietanza ha un odore o un sapore poco attraente o sgradevole, allora la sua alterazione assume una particolare rilevanza. Ecco quindi che il cuoco, se accorto, inganna il nostro olfatto e le nostre papille gustative con il finocchio, cioè “ci infinocchia”. Questa era una pratica molto frequente soprattutto nelle osterie romane, venete e della Toscana.

La storiella popolare dell’uso del finocchio

A sostegno del ruolo ingannatore del finocchio, esiste una storiella popolare che, però, non chiama in causa i semi del finocchio, ma i suoi germogli bulbosi e dolciastri, frequenti sulla nostra tavola. Si racconta che un tale, avendo da poco aperta un’osteria, si recò da un grosso mercante di vini per rifornirsi di botti. Poiché si voleva accattivare la simpatia dei clienti, era intenzionato a cominciar bene e perciò, chiese di vendergli il vino migliore. Il mercante, purtroppo, ne aveva di una sola annata e tutto uguale. Volendo simulare di averne più qualità, gli offerse di assaggiare quello che, a suo parere di persone esperta di vini (oggi si direbbe “sommelier”), aveva il primato su tutti gli altri, proponendogli, nello stesso tempo, di accompagnare l’assaggio da qualcosa da mettere sotto i denti. Così l’oste si trovò a gustare degli ottimi finocchi, fatti portare immediatamente dal mercante, che, come i carciofi, sono molto indicati per favorire la degustazione del vino ed esaltarne i pregi.
Poco esperto in materia, e grazie al finocchio, l’oste trovò il vino ot timo e ne acquistò una grande quantità. Ma assaggiandolo in un secondo tempo nella sua osteria, non gli sembrò più così buono. E così, quando tornò dal mercante per fare un nuovo acquisto e quest’ultimo gli propose dei finocchi prima dell’assaggio, rispose: “Amico, mi hai inocchiato una volta, ma non mi infinocchi più". Da qui, secondo la storiella, il verbo “infinocchiare” ha acquisito il significato che, oggi, tutti conosciamo.

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