Questo appunto di Grammatica Greca tratta della frase πάντα ῥεῖ che significa “tutto scorre”. Se ne presenterà l’analisi morfosintattica e semantica e se ne descriveranno poi l’origine e l’uso.
Πάντα ῥεῖ: analisi morfosintattica
Nella nostra frase πάντα è il nominativo plurale neutro dell’aggettivo della seconda classe con tema in nasale seguita da dentale πᾶς πᾶσα πᾶν.
Costituisce il soggetto della frase e ha funzione sostantivata sicché si traduce “tutte le cose” o semplicemente “tutto”. L’aggettivo πᾶς πᾶσα πᾶν, pur essendo monosillabico al nominativo singolare, ha il genitivo plurale parossitono (πάντων) e il dativo plurale perispomeno (πᾶσι).
Per quanto riguarda il significato è necessario ricordare che quando si accompagna a un sostantivo preceduto dall’articolo l’aggettivo πᾶς πᾶσα πᾶν, in qualunque posizione, significa tutto nel senso di “intero” e corrisponde al latino totus e nel plurale “tutti insieme”. Quindi ἡ πᾶσα πόλις , πᾶσα ἡ πόλις.
Quando il sostantivo non ha l’articolo:
- Se si trova prima del nome significa “ogni”.
- Se si trova dopo il nome significa “tutto”
- Nel plurle significa “tutti” considerati individualmente.
Nella frase analizzata ῥεῖ è la terza persona singolare del presente indicativo attivo del verbo ῥέω che significa “scorrere”. La radice presentava un’approssimante (resa graficamente per mezzo del digamma) labiovelare che è caduta in posizione intervocalica e che si è invece vocalizzata se seguita da consonante dando luogo dunque alle forme di futuro ῥεύσομαι e aoristo ἔρρευσα.
Πάντα ῥεῖ:origine, significato e uso
L’espressione πάντα ῥεῖ è presente nel frammento numero quaranta dell’edizione di Eraclito di Marcovich e la sua traduzione è “tutto scorre”. È anche nota nella forma πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός che significa “tutto scorre”. Si ritiene in genere, tuttavia, che la forma originaria sia quella attestata da Cleante, longevo filosofo stoico che visse tra il 331/330 a.C. e il 322/321 a.C. Si presentano a seguire la citazione presente in Cleante e la relativa traduzione:
ποταμοῖσι τοῖσιν αὐτοῖσιν ἐμβαίνουσιν
ἕτερα καὶ ἑτέρα ὕδατα ἐπιρρεῖ
Per coloro che entrino negli stessi fiumi acque diverse e ancora diverse scorrono.
Sebbene non sia possibile sapere con certezza quale fosse la forma originaria della massima eraclitea, è tuttavia possibile constatare che essa era ampiamente nota nell’antichità. Ad esempio, Platone nel Cratilo (402a) dice:
λέγει που Ἡράκλειτος ὅτι πάντα χωρεῖ καὶ οὐδὲν μένει καὶ ποταμοῦ ῥοῇ ἀπεικάζων τὰ ὄντα λέγει ὡς δὶς ἐς τὸν αὐτὸν ποταμὸν οὐκ ἂν ἐμβαίης.
Eraclito dice che tutto si muove e nulla sta fermo e assimilando gli enti alla corrente di un fiume dice che non potresti entrare due volte nello stesso fiume.
Più avanti, nella stessa opera (440c), l’allievo di Socrate afferma:
Ἀλλ᾿ οὐδὲ γνῶσιν εἶναι φάναι εἰκός, ὦ Κρατύλε, εἰ μεταπίπτει πάντα χρήματα καὶ μηδὲν μένει. εἰ μὲν γὰρ αὐτὸ τοῦτο, ἡ γνῶσις, τοῦ γνῶσις εἶναι μὴ μεταπίπτει,1 μένοι τε ἂν ἀεὶ ἡ γνῶσις καὶ εἴη γνῶσις· εἰ δὲ καὶ αὐτὸ τὸ εἶδος Bμεταπίπτει τῆς γνώσεως, ἅμα τ᾿ ἂν μεταπίπτοι εἰς ἄλλο εἶδος γνώσεως καὶ οὐκ ἂν εἴη γνῶσις· εἰ δὲ ἀεὶ μεταπίπτει, ἀεὶ οὐκ ἂν εἴη γνῶσις, καὶ ἐκ τούτου τοῦ λόγου οὔτε τὸ γνωσόμενον οὔτε τὸ γνωσθησόμενον ἂν εἴη· εἰ δὲ ἔστι μὲν ἀεὶ τὸ γιγνῶσκον, ἔστι δὲ τὸ γιγνωσκόμενον, ἔστι δὲ τὸ καλόν, ἔστι δὲ τὸ ἀγαθόν, ἔστι δὲ ἓν ἕκαστον τῶν ὄντων, οὔ μοι φαίνεται ταῦτα ὅμοια ὄντα, ἃ νῦν ἡμεῖς λέγομεν, ῥοῇ οὐδὲν οὐδὲ φορᾷ. ταῦτ᾿ οὖν πότερόν ποτε οὕτως ἔχει ἢ ἐκείνως ὡς οἱ περὶ Ἡράκλειτόν τε λέγουσι καὶ ἄλλοι πολλοί, μὴ οὐ ῥᾴδιον ᾖ ἐπισκέψασθαι, οὐδὲ πάνυ νοῦν ἔχοντος ἀνθρώπου ἐπιτρέψαντα ὀνόμασιν αὑτὸν καὶ τὴν αὑτοῦ ψυχὴν θεραπεύειν, πεπιστευκότα ἐκείνοις καὶ τοῖς θεμένοις αὐτά, διισχυρίζεσθαι ὥς τι εἰδότα, καὶ αὑτοῦ τε καὶ τῶν ὄντων καταγιγνώσκειν ὡς οὐδὲν ὑγιὲς οὐδενός, ἀλλὰ πάντα ὥσπερ κεράμια ῥεῖ, καὶ ἀτεχνῶς ὥσπερ οἱ κατάρρῳ νοσοῦντες ἄνθρωποι οὕτως οἴεσθαι καὶ τὰ πράγματα διακεῖσθαι, ὑπὸ ῥεύματός τε καὶ κατάρρου πάντα τὰ χρήματα ἔχεσθαι.
Ma non si può nemmeno dire, o Cratilo, che ci sia conoscenza, se tutte le cose cambiano e nulla rimane fisso; poiché se questa medesima cosa, la conoscenza, non cambia dall’essere conoscenza, allora la conoscenza rimarrebbe e ci sarebbe la conoscenza; ma se l'essenza stessa della conoscenza cambia, al momento del passaggio a un'altra essenza della conoscenza non ci sarebbe conoscenza, e se cambia sempre, non ci sarà sempre conoscenza, e per questo ragionamento non ci sarà né nessun sapere né nulla da sapere. Ma se c'è sempre il conoscente e il conosciuto - se esistono il bello, il buono e tutte le altre verità - non vedo come ci sia somiglianza tra queste condizioni di cui parlo ora e il flusso o il movimento . Ora, se questa sia la natura delle cose, o sia vera la dottrina di Eraclito e di molte altre, è un'altra questione; ma sicuramente nessun uomo di buon senso può mettere se stesso e la sua anima sotto il controllo dei nomi, e confidare nei nomi e nei loro creatori al punto da affermare di sapere qualcosa; né condannerà sé stesso e tutte le cose e dirà che non c'è nulla di sano in esse, ma che tutte le cose scorrono come vasi di creta, né crederà che tutte le cose siano proprio come persone affette da catarro, che scorrano e corrano tutto il tempo.
Il riferimento a questa dottrina filosofica è presente altrove in Platone e ricorre spesso in Aristotele e in autori successivi. Sia nel mondo greco sin in quello romano, è possibile individuare un mutamento nel significato che da quello originario riferito a una precisa interpretazione della realtà passa a quello banalizzato in voga ancora oggi: il tempo scorre velocemente e tutto ciò che ci circonda è perituro.
Per approfondimenti su Platone vedi anche qua