Mongo95
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Concetti Chiave

  • La sofferenza viene vista come un segno distintivo che permette di comprendere l'eterogeneità rispetto al mondo e alla coscienza dell'eternità.
  • Nel cristianesimo, la sofferenza fino alla fine è considerata una coscienza dell'eternità, un successo paradossale nella logica cristiana.
  • Il concetto di due fini, temporale ed eterno, è centrale: il successo nel mondo è temporaneo, mentre l'insuccesso può aiutare a raggiungere il fine eterno.
  • Kierkegaard sottolinea l'importanza di avere un'idea chiara e non confusa dei fini, distinguendo tra quelli terreni e quelli eterni.
  • L'accettazione della sofferenza e delle avversità rappresenta un'accelerazione verso il vero successo, che è il conseguimento del fine eterno.

Sofferenza e successo nel fine eterno

Solo il sofferente, grazie alla virtù della sofferenza accettata assunta e fatta propria, marca la propria diversità nei confronti del mondo. La sofferenza è l’espressione qualitativa per la vissuta eterogeneità con questo mondo. In tale eterogeneità, di cui è espressione la sofferenza, consiste anche il rapporto con l’eternità. Dove non c’è sofferenza, non c’è neppure coscienza dell’eternità. Naturalmente, dove c’è coscienza dell’eternità c’è anche sofferenza.

È tramite essa che Dio mantiene un uomo vigilante per l’eternità, eterogeneo con questo mondo. Nell’Antico testamento la sofferenza era riferita ad una prova che durata per un certo periodo, e poi già in questa vita si otteneva la soddisfazione, della eterogeneità di beni in questa terra. Quindi neppure Abramo mostra la coscienza dell’eternità. L’avvento del cristianesimo è invece sofferenza fino alla fine, quindi coscienza dell’eternità. Il dolore non è dunque uno scacco, ma nella prospettiva di un cristiano autentico non inquinato dalla cristianità è paradossalmente un successo. È la logica dell’eternità. Il metodo dell’eternità è appunto considerare tutto al rovescio. Se nel mondo e nel tempo si insegue il successo, certo ciò è ciò che ci conduce al nostro obiettivo terreno, ma proprio l’avversità che sembrerebbe un insuccesso, un rovescio, ha questa capacità di aiuto perché si pervenga davvero al fine. La chiave per comprendere questo paradosso è la logica dei due fini: temporale ed eterno. Se il successo è ciò che permette di raggiungere il mio fine, si tratta comunque di fine temporale. Mentre l’insuccesso che sembra sbandamento ha capacità di aiuto per prevenire davvero al fine eterno. L’insuccesso non porta certamente al fine che si desidera raggiungere nel tempo e nel mondo, ma solo a quello che si deve raggiungere nell’eterno. Occorre per Kierkegaard avere un’idea corrette e non falsata del fine, non confondere tra di loro i due. Quando si è concentrati su sofferenza e avversità vuol dire che non si conosce bene il fine. Solo volgendo lo sguardo verso il fine dell’eternità, assegnandole il fine della propria esistenza e sforzi, allora l’avversità sarà davvero un successo. Chi soffre per le avversità, chi patisce l’insuccesso nel tempo e nel mondo, accelera la strada e la vita per l’altro successo, l’autentico successo, il vero conseguimento del fine, ovvero quello dell’eternità. Questa la grande consolazione dell’eternità per l’umana sofferenza, che rende contento l’afflitto. Che non è terapia, la sofferenza non è tolta ma assunta.

Domande da interrogazione

  1. Qual è il ruolo della sofferenza nel rapporto con l'eternità secondo il testo?
  2. La sofferenza è vista come un'espressione di eterogeneità con il mondo e un mezzo per mantenere la coscienza dell'eternità. È tramite la sofferenza che si sviluppa una vigilanza per l'eternità, rendendo l'individuo diverso dal mondo.

  3. Come viene interpretato il successo nel contesto dell'eternità?
  4. Nel contesto dell'eternità, il successo non è legato al raggiungimento di obiettivi temporali, ma piuttosto al superamento delle avversità. L'insuccesso nel mondo può essere visto come un aiuto per raggiungere il fine eterno, trasformando l'avversità in un successo autentico.

  5. Qual è la differenza tra i fini temporali ed eterni secondo Kierkegaard?
  6. Kierkegaard distingue tra fini temporali, che sono legati al successo nel mondo, e fini eterni, che si raggiungono attraverso l'accettazione della sofferenza e delle avversità. Comprendere correttamente questi fini è essenziale per non confonderli e per vedere l'insuccesso temporale come un passo verso il successo eterno.

Domande e risposte

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