Interpretazioni dei filosofi
Quello che Schopenhauer apprende da
Platone e da
Kant e che, a torto o a ragione, ritiene si possa ritrovare anche nella più antica sapienza indiana, è anzitutto il fatto che il mondo che ci si manifesta attraverso i sensi è un fantasma privo, se non di consistenza, di autonomia e verità: un’illusione analoga a quella di cui restano vittime gli uomini incatenati nel fondo della caverna platonica. Apprende che il mondo è una (mia) rappresentazione e che, come gli insegna in particolare Kant, sono io stesso a produrne quella forma fenomenica che è, peraltro, l’unica di cui possa avere, in senso proprio, conoscenza.
Mondo come volontà e rappresentazione
Il mondo come volontà e rappresentazione annuncia però sin dal titolo che la realtà non è solo o anzitutto questo, giacché il mondo — questa la scoperta principale di Schopenhauer — non ha una sola dimensione. Il fatto che il mondo che ci circonda non abbia «un vero essere», ma sia piuttosto «un incessante divenire» (Mondo, Appendice), il fatto cioè che esso, in quanto è rappresentazione, sia costituito dalla relazione originaria di soggetto e oggetto e abbia perciò una consistenza meramente fenomenica, e senza dubbio una verità valida «per qualsiasi essere vivente e pensante» (Mondo, § 1); e tuttavia il lettore viene subito avvertito del carattere unilaterale di questa verità, che è frutto «di un’astrazione arbitraria» (ibid.), e della necessità di integrarla comprendendo che il mondo ha almeno due verità: Quella che afferma che il mondo è una mia rappresentazione potrà anche risultare, delle due, la più immediatamente certa e autonoma, oltre che meno bisognosa di dimostrazione (quanto meno dopo il tratto di storia del pensiero che va da Descartes a Kant); Ma ce n’è una seconda che, pur non possedendo quegli stessi caratteri e avendo perciò bisogno, per essere scoperta e compresa, di una ricerca più approfondita e di un più alto e complesso livello di astrazione, racchiude, nel bene e nel male, il segreto più profondo dell’essere dell’uomo e del mondo: uomo e mondo non sono affatto, nell’intimo del loro essere, rappresentazione, relazione tra un soggetto che conosce e un oggetto che viene conosciuto, divenire regolato da leggi, molteplicità, bensì un che di radicalmente diverso che li unifica nell’essenza e per indicare il quale col minimo possibile d’imprecisione Schopenhauer propone la parola Wille: Volontà.
Unicità dell’essenza
È un unico mondo, quello di cui ci parla l’unico pensiero di Schopenhauer. Un mondo che, se anche si presenta, sul piano fenomenico, come costituito da individui diversi che coesistono l’uno accanto all’altro (molteplicità) e si manifestano l’uno dopo l’altro (divenire), ha in effetti un’unica essenza permanente, la scoperta della quale smaschera come mera apparenza tanto quella molteplicità quanto quel divenire: ciò che si manifesta in tutti gli individui è «un essere solo e il medesimo, presente e identico in tutti e veramente esistente» (FM, p. 277) […].
Due facce della realtà
Quest’unico mondo ha tuttavia — stiamo dicendo — almeno due facce: «E nella sua intera essenza in tutto e per tutto volontà e, a un tempo, in tutto e per tutto rappresentazione» (Mondo, § 29). In tutto e per tutto: il che significa che una realtà che non sia né rappresentazione né volontà «è il sogno di una non-cosa» (ibid., § 1).