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Fichte
1. La vita.
Nasce a Rammenau nel 1762 da una famiglia povera (guardiano di oche) e potè studiare grazie ad un uomo stupito dalla sua intelligenza. Studiò teologia, divenne precettore ed entrò in contatto con la filosofia di Kant (leggendo la “Critica della ragion pratica” si sente felice). Pubblicò sotto anonimato uno scritto nello spirito del kantismo che venne attribuito a Kant ma poi venne pubblicato col vero nome. Divenne professore di filosofia e scoppiò la polemica sull’ateismo che avrebbe dovuto allontanarlo dalla cattedra. Andò a Berlino e conobbe ambienti romantici e pubblicò un’opera che affermava il primato dei tedeschi (missione culturale, non militare) divenne professore e rettore. Morì di tifo nel 1814. Inizialmente sente l’esigenza di un’azione morale, poi di una fede religiosa (la dottrina della scienza giustifica la fede).
3. L’infinità dell’io.
Kant vs Fichte
l’io penso era il principio supremo di tutta la conoscenza ma limitato dalla sensibilità, da ciò nasce il problema dell’origine della sensibilità. l’io è infinito e assolutamente libero poiché è l’unico principio formale e materiale del conoscere e si occupa del pensiero e della realtà oggettiva
arriva a una deduzione trascendentale (giustifica le condizioni soggettive della conoscenza) che mette sempre in rapporto l’io e l’oggetto fenomenico arriva a arriva a una deduzione assoluta (fa derivare dall’io il soggetto e l’oggetto del conoscere) che crea il soggetto e l’oggetto fenomenici in virtù di un’attività creatrice (intuizione intellettuale)
La “Dottrina della scienza” vuole dedurre necessariamente da questo principio l’intero mondo del sapere per darne un sistema unico e compiuto.
4. La “Dottrina della scienza” e i suoi tre principi
Fichte vuole costruire un sistema che faccia diventare la filosofia un sapere assoluto e perfetto che metta in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza. Il principio della dottrina della scienza è l’Io: l’essere esiste solo sotto la condizione della coscienza (soggetto) che è sotto la condizione dell’autocoscienza, quindi l’autocoscienza è il fondamento della coscienza che è il fondamento dell’essere. Con la “Dottrina della scienza” vuole dedurre dal principio dell’autocoscienza la vita teoretica e pratica dell’uomo e stabilisce i 3 principi fondamentali di questa deduzione:
1. L’Io attività auto-creatrice ed infinita, pone se stesso: la riflessione sulla legge d’identità (A=A) non rappresenta il primo principio poiché implica quello dell’Io. Se A è dato deve essere uguale a se stesso, ma per essere dato ha bisogno dell’esistenza dell’Io che la pone. Il rapporto d’identità, quindi, è posto dall’Io che deve porre se stesso. L’esistenza dell’Io è fondamentale perché senza di essa, l’Io, non può affermare nulla. L’io si pone da se, si auto-crea. La metafisica classica diceva che le persone agiscono in conformità della loro natura e del loro essere, mentre la nuova metafisica idealistica dice che l’essere dell’io è frutto della sua azione e risultato della sua libertà. Questa caratteristica dell’io, viene chiamata da Fichte: Tathandlung, cioè, l’io è attività agente (Ta) e prodotto dell’azione stessa (Handlung). Con ciò porta alla massima espressione metafisica la visione dell’uomo come libero e sovrano artefice di se.
2. L’Io pone il non-io: l’Io oppone a se stesso il non-io che si trova nell’Io (questo principio non è deducibile dal primo). Il non-io deve esistere per far si che la coscienza sia possibile.
3. L’Io è limitato dal non-io e il non-io è limitato dall’Io: si arriva alla situazione concreta del mondo, la molteplicità di Io finiti ha davanti a se una molteplicità di oggetti finiti.
Questi principi mostrano i capisaldi della dottrina di Fichte (nerbo deduzione idealistica: spiegazione della realtà che contrapponendosi all’antica metafisica dell’essere forma una nuova metafisica dello spirito) e stabiliscono:
- l’esistenza di un’Io infinito
- l’esistenza di un’io finito
- la realtà di un non-io (oggetto) che si oppone all’io finito ma è compreso nell’Io infinito
chiarificazioni:
1. I tre principi non devono essere interpretati in modo cronologico ma logico poiché Fichte non vuole dire che prima esiste l’Io infinito, poi quello che pone il non-io e poi quello finito ma semplicemente che esistono e dimostrare che la Natura non è una realtà autonoma che precede lo spirito ma qualcosa che esiste solo come momento dialettico della vita dell’Io.
2. L’Io è finito (limitato dal non io) e infinito (la natura esiste solo in relazione all’Io dentro l’Io)
3. L’Io infinito non è diverso da quelli finiti, l’Io infinito resta mentre quelli finiti nascono e muoiono
4. L’Io infinito (libero) è la meta ideale di quelli finiti. L’uomo è teso verso la libertà
5. Questa missione non verrà mai conclusa perché se l’Io riuscisse a superare tutti gli ostacoli cesserebbe di esistere, e alla vita subentrerebbe la morte. Fichte introduce un concetto dinamico (vs staticità filosofia classica) che pone la perfezione come sforzo indefinito di auto-perfezionamento
6. Essi rappresentano anche la deduzione delle categorie per Fichte:
- Qualità (affermazione, negazione e limitazione): Il porsi dell’io (tesi), l’opposizione del non-io all’io (antitesi) e il limitarsi reciproco dell’io e del non-io (sintesi)
- Quantità (unità, pluralità e totalità): io indivisibile e non io divisibile e molteplice
- Relazione (sostanza, causa-effetto, azione reciproca): l’Io si autodetermina, il non-io determina e l’io empirico che è determinato e un reciproco condizionarsi tra io e non-io
5. La struttura dialettica dell’Io.
L’Io ha una struttura triadica e dialettica articolata nei momenti di tesi-antitesi-sintesi. Coglie l’essenza della vita spirituale. Ogni dire esige un contraddire come limite fecondo che fa fermentare gli elementi vivi della tesi in modo che la sintesi è la riaffermazione della tesi iniziale ed il superamento dell’antitesi. Lo spirito, quindi, vive di opposizione e di lotta e le sue affermazioni devono essere vittorie. La tesi rappresenta l’esordio spontaneo, l’antitesi il dubbio e la negazione e la sintesi la riconquista e la sicurezza del possesso. Ogni sintesi segna una pausa ma ci sarà un nuovo slancio, è un atto di limitazione che porta ad un’insoddisfazione. Ma se non c’è questa, c’è la morte che è una sintesi dell’attività dello spirito.
6. La “scelta” fra idealismo e dogmatismo.
Per Fichte l’idealismo e il dogmatismo sono gli unici due sistemi filosofici possibili. La filosofia è una riflessione sull’esperienza che mira a mettere in luce il fondamento dell’esperienza stessa. Poiché nell’esperienza ci sono la cosa e l’intelligenza essa può essere:
L’idealismo (intelligenza) parte dall’Io per poi spiegare la cosa Il dogmatismo (cosa) parte dalla cosa per spiegare l’Io
nessuno dei due riesce a confutare quello opposto perché non può non presupporre il proprio principio. Per Fichte la scelta deriva da una differenza di inclinazione e interesse:
finisce per strutturarsi come una dottrina della libertà finisce per rendere nulla o problematica la libertà
individuo attivo Individuo fatalista e materialista
essere uomini è sforzo e conquista individui non elevati alla libertà assoluta
L’Io è la realtà originaria e assoluta che può spiegare se stesso, le cose e il rapporto tra se e le cose. Quindi per Fichte l’idealismo è superiore teoricamente ed eticamente.
7. La dottrina della conoscenza.
Dall’azione reciproca dell’io e del non-io nasce la conoscenza e l’azione morale. Per il realismo dogmatico la rappresentazione è prodotta dall’azione di una cosa esterna all’io e, quindi, la cosa è indipendente ed anteriore all’io. Anche per Fichte la rappresentazione è il prodotto di un’attività del non-io sull’io, ma essendo prodotto dall’io stesso è un’attività riflessa. Quindi, Fichte, è idealista (il non-io è un prodotto dell’io) e realista (alla base della conoscenza ammette un’azione del non-io sull’io) allo stesso tempo. Ma questa dottrina genera vari problemi:
- Perché l’io appare come qualcosa di sussistente di per se nonostante derivi dall’Io? teoria dell’immaginazione produttiva che produce i materiali stessi del conoscere (vs Kant: fornisce solo le condizioni formali) ed è l’atto stesso con cui il soggetto crea l’oggetto e quindi è inconscia. La coscienza presuppone un oggetto anteriore al soggetto. Il non-io pur derivando dall’Io è una realtà di fronte a cui si trova ogni io empirico.
- Come fa l’io ad essere causa di una realtà di cui non ha coscienza? sul piano teoretico la riappropriazione del non-io avviene attraverso vari gradi della conoscenza mediante una progressiva interiorizzazione dell’oggetto che si rivela opera del soggetto.
Sensazione registrazione del dato
Intuizione coordinazione spazio-temporale dei dati
Intelletto categorizzazione della molteplicità spazio-temporale
Giudizio articolazione della sintesi intellettiva
Ragione astrazione degli oggetti in generale
- Il non-io non rischia di ridursi a sogno?
8. La dottrina morale.
La conoscenza presuppone l’esistenza di un io che ha davanti a se un non-io ma non spiega il perché. L’io pone il non-io ed esiste come attività conoscente solo per poter agire (agiamo perché conosciamo e conosciamo perché siamo destinati ad agire) quindi l’io pratico è la ragione stessa dell’io teoretico. Con ciò introduce l’idealismo etico, secondo cui noi esistiamo per agire e il mondo esiste solo come teatro della nostra azione. Agire significa imporre al non-io la legge dell’Io. Il carattere morale dell’agire consiste nel fatto che esso assume la forma del dovere con la sottomissione dei nostri impulsi alla ragione e con la plasmazione della realtà esterna secondo il nostro volere. Quindi l’Io ha bisogno del non-io: per realizzarsi l’Io deve agire moralmente ma, come diceva Kant, non c’è azione morale senza sforzo e non c’è sforzo senza un ostacolo. L’ostacolo è il non-io (materia) che è indispensabile per la realizzazione dell’Io come attività morale (si libera dai propri limiti per diventare infinito). Fichte, quindi, riconosce nell’ideale etico il vero significato dell’infinità dell’Io svincolandosi dagli oggetti che esso pone (senza di essi non si realizzerebbe come attività e libertà).
Il dovere morale può essere conseguito dall’io finito insieme agli altri io finiti (esistono in base al principio per cui la sollecitazione e l’invito al dovere possono derivare da esseri esterni). Questi altri esseri intelligenti hanno il mio stesso scopo: la libertà. Perciò ogni io pone dei limiti alla propria libertà e cerca di rendere sempre più libera l’umanità. L’uomo deve vivere in società, da solo non è completo e si contraddice; il fine supremo della società è la totale unità. Per realizzare ciò, Fichte, richiede l’aiuto dei dotti che non si devono isolare ma avere responsabilità sociali e pubbliche. I dotti devono condurre gli uomini alla conoscenza dei loro veri bisogni e farsi educatori del genere umano. Quindi il fine supremo di ogni uomo è il perfezionamento morale di tutto l’uomo.
9. La filosofia politica
Il suo pensiero ha varie fasi evolutive su cui influiscono la rivoluzione francese, le guerre napoleoniche e l’invasione della Germania diffondendo un senso nazionalistico. Per Fichte è fondamentale il tema della libertà di pensiero e lo scopo dello Stato è l’educazione alla libertà, infatti, se esso la nega ognuno ha il diritto di rompere questo patto e formarne un altro con migliori garanzie. La vita comunitaria è l’insieme degli esseri liberi e ragionevoli e lo Stato è un semplice mezzo in vista di essa. Come il compito dei genitori è di rendersi superflui formando adulti indipendenti, lo stesso obbiettivo ha lo Stato che deve formare persone indipendenti. Lo Stato, inoltre, è il garante del diritto che vale anche senza la buona volontà (al contrario della moralità) e concerne le azioni (manifestazioni interne della libertà del mondo sensibile) implicando una costrizione esterna. L’io si pone una sfera di libertà (possibili azioni interne) distinguendosi da tutti gli altri ponendosi come persona. Essa non può agire se non libera e senza i suoi diritti naturali (garantiti da una forza superione: Stato) che sono:
- libertà
- proprietà
- conservazione
lo Stato, quindi, realizza e garantisce il diritto naturale. Per Fichte lo stato non deve limitarsi alla tutela dei diritti naturali ma deve anche garantire ai cittadini lavoro e benessere. Tutti devono essere subordinati al bene comune e collaborare. Con ciò arriva ad uno statalismo socialistico (basato su una regolamentazione statale della vita pubblica) ed autarchico (economicamente autosufficiente). Esso non implica il comunismo (eliminazione società privata) ma crede che gli strumenti di lavoro debbano appartenere a chi li usa (Locke: il diritto al lavoro deriva dal diritto di proprietà, Fichte: il diritto alla proprietà scaturisce dal dovere al lavoro). Lo stato deve sorvegliare la distribuzione dei beni fissando il numero dei lavoratori in modo che siano proporzionati ai beni. Lo stato non deve avere contatti con l’estero sostituendo l’economia liberale di mercato con un’economia pianificata. Questa chiusura è possibile se lo stato ha tutto ciò che gli occorre, se non lo possiede allora deve ricorrere al commercio estero. Questa chiusura, inoltre, evita gli scontri tra gli stati che nascono da interessi commerciali. Nella sua visione lo stato appare sia liberale (sacrificata per il bene della comunità) che socialista (utopistica).
La sua filosofia si evolve in senso nazionalistico nei “Discorsi alla nazione tedesca” dove compaiono elementi di scienza politica, filosofia della storia, pensiero religioso, teoria dell’educazione… il tema fondamentale è l’educazione per la maggioranza della nazione per trasformare la natura fisica e psichica delle persone. Per il filosofo, solo i tedeschi possono promuovere questa nuova educazione poiché sono gli unici ad aver mantenuto la loro lingua (simbolo della cultura di un popolo), a non essersi mescolati a nessun popolo e ad avere una patria. Quindi sono gli unici a potersi considerare un vero popolo. Per far ciò si ispira alla pedagogia di Pestalozzi che mira all’unità di cuore, mente e mano (alcuni bambini, pur avendo tutto, non hanno affetto). Quindi la Germania assume il ruolo del filosofo: educatrice e forza trainante e se fallisse l’intera umanità perirebbe. Ma:
- questo primato non è di tipo politico-militare ma solo culturale
- la Germania deve avere come obbiettivo il bene di tutta l’umanità
- ha come fini i valori etici della ragione e della libertà
quindi non può essere ritenuto razzista pur avendo influenzato la Germania e il terzo Reich.
Il diritto è la condizione preparatoria della moralità che se fosse realizzata universalmente esso sarebbe superfluo. In questa fase accentua la missione educatrice dello stato e risolve l’io empirico nel noi spirituale della nazione.
FICHTE
1. La vita.
Nasce a Rammenau nel 1762 da una famiglia povera (guardiano di oche) e potè studiare grazie
ad un uomo stupito dalla sua intelligenza. Studiò teologia, divenne precettore ed entrò in
contatto con la filosofia di Kant (leggendo la “Critica della ragion pratica” si sente felice).
Pubblicò sotto anonimato uno scritto nello spirito del kantismo che venne attribuito a Kant ma
poi venne pubblicato col vero nome. Divenne professore di filosofia e scoppiò la polemica
sull’ateismo che avrebbe dovuto allontanarlo dalla cattedra. Andò a Berlino e conobbe ambienti
romantici e pubblicò un’opera che affermava il primato dei tedeschi (missione culturale, non
militare) divenne professore e rettore. Morì di tifo nel 1814. Inizialmente sente l’esigenza di
un’azione morale, poi di una fede religiosa (la dottrina della scienza giustifica la fede).
3. L’infinità dell’io.
KANT FICHTE
l’io penso era il principio supremo di tutta la l’io è infinito e assolutamente libero poiché è
conoscenza ma limitato dalla sensibilità, da l’unico principio formale e materiale del
ciò nasce il problema dell’origine della conoscere e si occupa del pensiero e della
sensibilità. realtà oggettiva
arriva a una deduzione trascendentale arriva a arriva a una deduzione assoluta (fa
(giustifica le condizioni soggettive della derivare dall’io il soggetto e l’oggetto del
conoscenza) che mette sempre in rapporto conoscere) che crea il soggetto e l’oggetto
l’io e l’oggetto fenomenico fenomenici in virtù di un’attività creatrice
(intuizione intellettuale)
La “Dottrina della scienza” vuole dedurre necessariamente da questo principio l’intero mondo
del sapere per darne un sistema unico e compiuto.
4. La “Dottrina della scienza” e i suoi tre principi
Fichte vuole costruire un sistema che faccia diventare la filosofia un sapere assoluto e perfetto
che metta in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza. Il principio della dottrina
della scienza è l’Io: l’essere esiste solo sotto la condizione della coscienza (soggetto) che è
sotto la condizione dell’autocoscienza, quindi l’autocoscienza è il fondamento della coscienza
che è il fondamento dell’essere. Con la “Dottrina della scienza” vuole dedurre dal principio
dell’autocoscienza la vita teoretica e pratica dell’uomo e stabilisce i 3 principi fondamentali di
questa deduzione:
L’Io attività auto-creatrice ed infinita, pone se stesso:
1. la riflessione sulla legge d’identità
(A=A) non rappresenta il primo principio poiché implica quello dell’Io. Se A è dato deve
essere uguale a se stesso, ma per essere dato ha bisogno dell’esistenza dell’Io che la pone.
Il rapporto d’identità, quindi, è posto dall’Io che deve porre se stesso. L’esistenza dell’Io è
fondamentale perché senza di essa, l’Io, non può affermare nulla. L’io si pone da se, si
auto-crea. La metafisica classica diceva che le persone agiscono in conformità della loro
natura e del loro essere, mentre la nuova metafisica idealistica dice che l’essere dell’io è
frutto della sua azione e risultato della sua libertà. Questa caratteristica dell’io, viene
chiamata da Fichte: Tathandlung, cioè, l’io è attività agente (Ta) e prodotto dell’azione
stessa (Handlung). Con ciò porta alla massima espressione metafisica la visione dell’uomo
come libero e sovrano artefice di se.
L’Io pone il non-io:
2. l’Io oppone a se stesso il non-io che si trova nell’Io (questo principio non
è deducibile dal primo). Il non-io deve esistere per far si che la coscienza sia possibile.
L’Io è limitato dal non-io e il non-io è limitato dall’Io:
3. si arriva alla situazione concreta del
mondo, la molteplicità di Io finiti ha davanti a se una molteplicità di oggetti finiti.
Questi principi mostrano i capisaldi della dottrina di Fichte (nerbo deduzione idealistica:
spiegazione della realtà che contrapponendosi all’antica metafisica dell’essere forma una
nuova metafisica dello spirito) e stabiliscono:
- l’esistenza di un’Io infinito
- l’esistenza di un’io finito
- la realtà di un non-io (oggetto) che si oppone all’io finito ma è compreso nell’Io infinito
chiarificazioni:
1.I tre principi non devono essere interpretati in modo cronologico ma logico poiché Fichte
non vuole dire che prima esiste l’Io infinito, poi quello che pone il non-io e poi quello finito
ma semplicemente che esistono e dimostrare che la Natura non è una realtà autonoma che
precede lo spirito ma qualcosa che esiste solo come momento dialettico della vita dell’Io.
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2.L’Io è finito (limitato dal non io) e infinito (la natura esiste solo in relazione all’Io dentro l’Io)
3.L’Io infinito non è diverso da quelli finiti, l’Io infinito resta mentre quelli finiti nascono e
muoiono
4.L’Io infinito (libero) è la meta ideale di quelli finiti. L’uomo è teso verso la libertà
5.Questa missione non verrà mai conclusa perché se l’Io riuscisse a superare tutti gli ostacoli
cesserebbe di esistere, e alla vita subentrerebbe la morte. Fichte introduce un concetto
dinamico (vs staticità filosofia classica) che pone la perfezione come sforzo indefinito di
auto-perfezionamento
6.Essi rappresentano anche la deduzione delle categorie per Fichte:
- Qualità (affermazione, negazione e limitazione): Il porsi dell’io (tesi), l’opposizione del
non-io all’io (antitesi) e il limitarsi reciproco dell’io e del non-io (sintesi)
- Quantità (unità, pluralità e totalità): io indivisibile e non io divisibile e molteplice
- Relazione (sostanza, causa-effetto, azione reciproca): l’Io si autodetermina, il non-io
determina e l’io empirico che è determinato e un reciproco condizionarsi tra io e non-io
5. La struttura dialettica dell’Io.
L’Io ha una struttura triadica e dialettica articolata nei momenti di tesi-antitesi-sintesi. Coglie
l’essenza della vita spirituale. Ogni dire esige un contraddire come limite fecondo che fa
fermentare gli elementi vivi della tesi in modo che la sintesi è la riaffermazione della tesi
iniziale ed il superamento dell’antitesi. Lo spirito, quindi, vive di opposizione e di lotta e le sue
affermazioni devono essere vittorie. La tesi rappresenta l’esordio spontaneo, l’antitesi il dubbio
e la negazione e la sintesi la riconquista e la sicurezza del possesso. Ogni sintesi segna una
pausa ma ci sarà un nuovo slancio, è un atto di limitazione che porta ad un’insoddisfazione. Ma
se non c’è questa, c’è la morte che è una sintesi dell’attività dello spirito.
6. La “scelta” fra idealismo e dogmatismo.
Per Fichte l’idealismo e il dogmatismo sono gli unici due sistemi filosofici possibili. La filosofia è
una riflessione sull’esperienza che mira a mettere in luce il fondamento dell’esperienza stessa.
Poiché nell’esperienza ci sono la cosa e l’intelligenza essa può essere:
L’idealismo (intelligenza) parte dall’Io per poi Il dogmatismo (cosa) parte dalla cosa per
spiegare la cosa spiegare l’Io
nessuno dei due riesce a confutare quello opposto perché non può non presupporre il proprio
principio. Per Fichte la scelta deriva da una differenza di inclinazione e interesse:
finisce per strutturarsi come una dottrina della finisce per rendere nulla o problematica la
libertà libertà
individuo ATTIVO Individuo FATALISTA e MATERIALISTA
essere uomini è sforzo e conquista individui non elevati alla libertà assoluta
L’Io è la realtà originaria e assoluta che può spiegare se stesso, le cose e il rapporto tra se e le
cose. Quindi per Fichte l’idealismo è superiore teoricamente ed eticamente.
7. La dottrina della conoscenza.
Dall’azione reciproca dell’io e del non-io nasce la conoscenza e l’azione morale. Per il realismo
dogmatico la rappresentazione è prodotta dall’azione di una cosa esterna all’io e, quindi, la
cosa è indipendente ed anteriore all’io. Anche per Fichte la rappresentazione è il prodotto di
un’attività del non-io sull’io, ma essendo prodotto dall’io stesso è un’attività riflessa. Quindi,
Fichte, è idealista (il non-io è un prodotto dell’io) e realista (alla base della conoscenza
ammette un’azione del non-io sull’io) allo stesso tempo. Ma questa dottrina genera vari
problemi:
Perché l’io appare come qualcosa di sussistente di per se nonostante derivi dall’Io?
- teoria
dell’immaginazione produttiva che produce i materiali stessi del conoscere (vs Kant: fornisce
solo le condizioni formali) ed è l’atto stesso con cui il soggetto crea l’oggetto e quindi è
inconscia. La coscienza presuppone un oggetto anteriore al soggetto. Il non-io pur derivando
dall’Io è una realtà di fronte a cui si trova ogni io empirico.
Come fa l’io ad essere causa di una realtà di cui non ha coscienza?
- sul piano teoretico la
riappropriazione del non-io avviene attraverso vari gradi della conoscenza mediante una
progressiva interiorizzazione dell’oggetto che si rivela opera del soggetto.
Sensazio registrazione del dato
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Ragione astrazione degli oggetti in generale
Il non-io non rischia di ridursi a sogno?
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8. La dottrina morale.
La conoscenza presuppone l’esistenza di un io che ha davanti a se un non-io ma non spiega il
perché. L’io pone il non-io ed esiste come attività conoscente solo per poter agire (agiamo
perché conosciamo e conosciamo perché siamo destinati ad agire) quindi l’io pratico è la
ragione stessa dell’io teoretico. Con ciò introduce l’idealismo etico, secondo cui noi esistiamo
per agire e il mondo esiste solo come teatro della nostra azione. Agire significa imporre al non-
io la legge dell’Io. Il carattere morale dell’agire consiste nel fatto che esso assume la forma del
dovere con la sottomissione dei nostri impulsi alla ragione e con la plasmazione della realtà
esterna secondo il nostro volere. Quindi l’Io ha bisogno del non-io: per realizzarsi l’Io deve agire
moralmente ma, come diceva Kant, non c’è azione morale senza sforzo e non c’è sforzo senza
un ostacolo. L’ostacolo è il non-io (materia) che è indispensabile per la realizzazione dell’Io
come attività morale (si libera dai propri limiti per diventare infinito). Fichte, quindi, riconosce
nell’ideale etico il vero significato dell’infinità dell’Io svincolandosi dagli oggetti che esso pone
(senza di essi non si realizzerebbe come attività e libertà).
Il dovere morale può essere conseguito dall’io finito insieme agli altri io finiti (esistono in base
al principio per cui la sollecitazione e l’invito al dovere possono derivare da esseri esterni).
Questi altri esseri intelligenti hanno il mio stesso scopo: la libertà. Perciò ogni io pone dei limiti
alla propria libertà e cerca di rendere sempre più libera l’umanità. L’uomo deve vivere in
società, da solo non è completo e si contraddice; il fine supremo della società è la totale unità.
Per realizzare ciò, Fichte, richiede l’aiuto dei dotti che non si devono isolare ma avere
responsabilità sociali e pubbliche. I dotti devono condurre gli uomini alla conoscenza dei loro
educatori del genere umano.
veri bisogni e farsi Quindi il fine supremo di ogni uomo è il
perfezionamento morale di tutto l’uomo.
9. La filosofia politica
Il suo pensiero ha varie fasi evolutive su cui influiscono la rivoluzione francese, le guerre
napoleoniche e l’invasione della Germania diffondendo un senso nazionalistico. Per Fichte è
fondamentale il tema della libertà di pensiero e lo scopo dello Stato è l’educazione alla libertà,
infatti, se esso la nega ognuno ha il diritto di rompere questo patto e formarne un altro con
migliori garanzie. La vita comunitaria è l’insieme degli esseri liberi e ragionevoli e lo Stato è un
semplice mezzo in vista di essa. Come il compito dei genitori è di rendersi superflui formando