Concetti Chiave
- I pensieri, secondo Frege, appartengono a un "terzo regno" ontologico, distinto dalla mente e dal mondo fisico, dove si situano le leggi dell'esser vero.
- La logica ha il compito di individuare le leggi dell'«esser vero», separando il concetto di verità dalla psicologia e dal semplice atto di pensare.
- Il pensiero è descritto come il senso di un enunciato, e la verità si applica ai pensieri, indipendentemente dal fatto che siano veri o falsi.
- I pensieri non sono rappresentazioni mentali o oggetti fisici, ma entità condivise che esistono indipendentemente dalla coscienza individuale.
- Il teorema di Pitagora, come esempio, è considerato vero atemporalmente, dimostrando che la verità di un pensiero non dipende dalla sua percezione cosciente.
“Terzo regno” dei pensieri
I pensieri oggetto della logica non sono atti mentali né rappresentazioni, ma appartengono ontologicamente a un altro ambito, distinto sia dalla mente sia dal mondo fisico, che Frege chiama «terzo regno». Scoprire verità è il compito di tutte le scienze: alla logica spetta di individuare le leggi dell’«esser vero». Al fine di escludere malintesi e di evitare che siano cancellati i confini tra la
psicologia e la logica, assegno alla logica il compito di individuare le leggi dell’esser vero, e non quelle del ritener vero o del pensare. Nelle leggi dell’esser vero si dispiegherà il significato della parola «vero».
Verità e pensieri
Da un punto di vista linguistico la parola «vero» si presenta come un termine di proprietà. Da ciò origina il desiderio di delimitare più precisamente l’ambito nel quale la verità può venir affermata, nel quale la verità possa in genere entrare in linea di conto. […] Senza voler con ciò dare una definizione, chiamo pensiero qualcosa per cui possa in generale porsi la questione della verità. Annovero quindi tra i pensieri sia ciò che è falso che ciò che è vero. In base a ciò posso dire: il pensiero è il senso di un enunciato […]. Il pensiero, in sé non sensibile, si riveste dell’abito sensibile dell’enunciato e diviene così afferrabile da parte nostra. Diciamo che l’enunciato esprime un pensiero. Le cose sensibilmente percepibili sono escluse dall’ambito di ciò per cui possa in generale porsi la questione della verità. La verità non è una proprietà che corrisponda a un genere particolare di impressioni sensibili. […] Il significato della parola «vero» sembra essere veramente unico nel suo genere. […]
Pensiero e coscienza
Ritorno alla questione: il pensiero è una rappresentazione? Se il pensiero che articolo nel teorema di
Pitagora può essere riconosciuto vero tanto dagli altri che da me, non appartiene allora al contenuto della mia coscienza, e quindi non ne sono il portatore: posso tuttavia riconoscerlo come vero. Ma se non fosse proprio per niente lo stesso pensiero quello che viene considerato da me e dagli altri come contenuto nel teorema di Pitagora, non si dovrebbe in senso proprio dire «il teorema di Pitagora» ma «il mio teorema di Pitagora», «il suo teorema di Pitagora», e questi sarebbero differenti: infatti, il senso fa necessariamente parte dell’enunciato. Quindi il mio pensiero sarebbe un contenuto della mia coscienza, e il pensiero d’un altro un contenuto della sua. Può essere che il senso del mio teorema di Pitagora sia vero e che sia falso quello del teorema di un altro? […] E in conseguenza di ciò la verità sarebbe limitata al contenuto della mia coscienza e resterebbe il dubbio se qualcosa di simile si presenti mai nella coscienza degli altri. Se ogni pensiero ha bisogno di un portatore alla cui coscienza appartenere, è un pensiero di questo portatore soltanto, e non vi è mai una scienza comune a molti e alla quale in molti possano lavorare. […] Sembra che quindi il risultato sia che i pensieri non sono né cose del mondo esterno né rappresentazioni. Un terzo regno va riconosciuto. […] Così il pensiero che articoliamo nel teorema di Pitagora è vero atemporalmente, vero indipendentemente dal fatto che qualcuno lo ritenga vero.