Concetti Chiave
- Derrida esplora il posizionamento di Freud nella storia della follia di Foucault, interrogandosi se sia visto come un oppressore o un liberatore.
- Foucault analizza l'età classica come un periodo che va dal XV al XVII secolo in Francia, segnato dalla transizione dalla visione positiva della follia a un approccio di colpevolizzazione.
- Durante l'età classica, la follia è associata al concetto di colpa, influenzata dalla Riforma Protestante, dove il folle è visto come dannato e quindi punibile.
- Cartesio introduce l'idea di una ragione assoluta, relegando la follia a una condizione di "sragione", giustificando l'internamento dei folli.
- Il "grande internamento" segna l'inizio della psichiatria, che diventa uno strumento di controllo, isolando i folli come "malati dell'anima" da trattare in modo speciale.
Indice
Derrida e Foucault: dialogo sulla follia
Derrida riprende il testo di Foucault Storia della follia nell’età classica, in una sorta di dialogo a distanza, con l’obiettivo di comprendere come Freud venga collocato in questa storia: dalla parte dei folli o di chi vuole internarli e controllarli?
La follia nell'età classica
Foucault, per età classica intende l’ambito culturale francese che va dal XV al XVII secolo, concludendosi nella Rivoluzione. Cioè l’età della filosofia prepositivistica. Nell’opera vengono combinate filosofia, psicologia e tanto altro, senza mai porsi problemi sulla legittimità delle commistioni. A ciò si aggiunge un’immagine positiva del folle di età antica-medievale, che in età classica viene demolita.
Il folle come vittima del destino
Prima del razionalismo secentesco, c’è stata un’età millenaria in cui la follia,cioè la deviazione dai canoni sociali e comportamenti, era vista come forma di possessione da parte degli dei/spiriti, fonte di sapere misterioso da rispettare e comprendere. Nel folle è possibile trovare una verità di tipo diverso. O più in generale, il folle come vittima del destino tragico dell’essere umano, costretto prima o poi a scontrarsi con i limiti della propria conoscenza, accettandoli. Il folle è colui che compie questo percorso prima degli altri, impazzendo perché ha guardato in faccia qualcosa che possiamo vedere tutti, ma capendone molto poco. Quindi il concetto di colpa non entra mai in gioco, perché il folle non sceglie la sua condizione ma, posseduto, viene coinvolto in una vicenda più grande di lui. Pertanto non ci sono internamenti.
La colpa e la follia
Questa situazione si conclude con la fine del medioevo, quando durante l’età classica si inizia a guardare alla follia in due modi collegati.
1. Le si lega il concetto di colpa, come risultato della riforma protestante.
Il folle viene accomunato ad altri individui marginali (criminali, poveri, …). Infatti, per predestinazione, non possiamo sapere sia siamo dannati o graziati, quindi si giunge ad una condizione ansiosa in cui si interpreta il proprio successo mondano come segnale dell’elezione divina. La conseguenza è che se il ricco è colui che è stato salvato da Dio, allora il misero (e anche il pazzo) è dannato. La colpa originaria della dannazione divina inserita nel concetto di follia, con il folle che non è vittima tragica universale, ma colpevole. Come tale va quindi punito e, se possibile, corretto per la salvezza, con mezzi legati al lavoro.
2.
Cartesio e la ragione assoluta
Cartesio dà una chiara indicazione del fatto che la ragione deve essere assoluta autotrasparenza e consapevolezza
Il procedimento con cui ci si libera dei dubbi sfocia in libertà chiare e distinte. Ma questa teoria dà un canone di perfezione troppo alto e la ragione diventa un criterio assoluto escludente. Ragione che sa di sé ma non vuole sapere nulla di ciò che è al di fuori di se stessa. Follia che allora non è più misterioso sapere, ma “sragione”.
Il pazzo è da una parte misteriosamente colpevole, dall’altra non ha più nessuna aspirazione al senso. Quindi viene internato, per essere sorvegliato e punito, togliendolo dalla strada, dove potrebbe lanciare i suoi messaggi contraria alla ragione. In seguito al “grande internamento” c’è la nascita della psicologia clinica, o meglio psichiatria, che si inserisce pienamente nel processo di controllo del folle, differenziato dalle altre categorie di marginali, con trattamenti particolari per i “malati dell’anima”. Disfunzioni particolari fatte oggetto di un sapere particolare che non è detto sia benintenzionato.
Domande da interrogazione
- Qual è l'obiettivo di Derrida nel dialogo con il testo di Foucault?
- Come viene vista la follia nell'età antica-medievale secondo Foucault?
- Quali sono i due modi in cui la follia viene interpretata nell'età classica?
- Come cambia il trattamento dei folli con l'avvento dell'età classica?
- Qual è il ruolo della ragione secondo Cartesio nel contesto della follia?
Derrida cerca di comprendere come Freud venga collocato nella storia della follia: dalla parte dei folli o di chi vuole controllarli.
La follia era vista come una forma di possessione da parte degli dei o spiriti, fonte di sapere misterioso da rispettare e comprendere.
La follia è legata al concetto di colpa, influenzata dalla riforma protestante, e vista come "sragione" secondo la filosofia cartesiana.
I folli vengono internati per essere sorvegliati e puniti, e nasce la psicologia clinica o psichiatria per controllarli.
La ragione deve essere assoluta autotrasparenza e consapevolezza, escludendo tutto ciò che è al di fuori di essa, trasformando la follia in "sragione".