Concetti Chiave
- Platone critica il principio sofistico secondo cui ciò che appare è vero e ciò che piace è buono, sostenendo che questo non porta a una conoscenza solida né a armonia tra i desideri.
- Critica l'idea di Callicle nel "Gorgia" che il più forte debba prevalere, mostrando che questo principio è contraddittorio e svuota il concetto di giustizia di significato.
- Sostiene che un criterio oggettivo di giustizia è necessario per guidare e giudicare le esperienze, preferendo subire ingiustizia piuttosto che commetterla.
- Platone combatte il verbalismo, l'eristica e la retorica che si basano sull'apparenza e non sulla verità, evidenziando la necessità di significati e risultati stabili.
- Propone di andare oltre l'immediato per fondare discorsi e azioni sulla "giustizia in sé" e sulla "verità in sé", dando loro un fondamento stabile e consistente.
Platone
L'eredità socratica e l'origine del concetto di "idea"
La polemica contro i sofisti
Secondo Platone è necessario scalzare definitivamente quel principio sofistico secondo cui sarebbe vero, semplicemente, ciò che appare, buono ciò che piace, ecc. Se, infatti, ci si affida soltanto a ciò che "pare", all'immediato delle impressioni e dei desideri singoli, non si potrà stabilire una conoscenza salda, né conciliare i desideri di tutti in un insieme armonioso.
Se, ad esempio, fosse vero quanto Callicle afferma nel Gorgia: esser giusto "per natura" che il più forte prevalga, noi non sapremmo affatto che cosa sia giusto oggettivamente.
In termini più generali, se ci si limita a considerare il puro fatto - il riuscire o non riuscire nei propri intenti - la parola "giusto" si svuota di ogni significato, e non c'è nessun modo di giudicare e di guidare le cose d'esperienza. Occorre un criterio diverso dal fatto per giudicare il fatto, e per dar ordine a ciò che si fa. In forza di questo criterio oggettivo di giustizia, Socrate, nel Gorgia, trova una verità che, per chi si affida solo alle inclinazioni e impressioni immediate, è paradossale: è preferibile subire ingiustizia piuttosto che commetterla; e. avendola commessa, è preferibile pagarne il fio, per tornare ad essere nel giusto, che sfuggire alla pena e restare nell'iniquità.
In modi analoghi a questo Platone combatte (nel Cratilo) il verbalismo, che non pone nessun significato oggettivo nelle parole; combatte (nell'Eutidemo) l'eristica di chi discute non per sostenere il vero, ma solo per prevalere; e combatte (nello stesso Gorgia) la retorica in genere, quando questa si accontenti di persuadere con l'apparenza, senza interessarsi della verità. Per i sofisti contava solo il risultato immediato, comunque ottenuto: ma un tale risultato non ha stabilità né consistenza. Al discorso, come all'azione, occorre dare un fondamento, e per questo si deve risalire al di là dell'immediato, alla "giustizia in sé", alla "verità in sé" ecc.
Domande da interrogazione
- Qual è la critica principale di Platone nei confronti dei sofisti?
- Come Platone affronta il concetto di giustizia rispetto al pensiero sofistico?
- In che modo Platone combatte le pratiche verbali e retoriche dei sofisti?
Platone critica i sofisti per il loro principio secondo cui ciò che appare è vero e ciò che piace è buono, sostenendo che questo approccio non permette di stabilire una conoscenza solida né di conciliare i desideri in modo armonioso.
Platone sostiene che il principio sofistico di Callicle, secondo cui il più forte prevale per natura, è falso e contraddittorio. Egli propone un criterio oggettivo di giustizia, affermando che è preferibile subire ingiustizia piuttosto che commetterla.
Platone combatte il verbalismo, l'eristica e la retorica dei sofisti, che si concentrano sull'apparenza e sul prevalere piuttosto che sulla verità, sostenendo che il discorso e l'azione devono avere un fondamento nella "giustizia in sé" e nella "verità in sé".