Studente Anonimo
di Studente Anonimo
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Concetti Chiave

  • Anassimandro, contemporaneo di Talete, è noto per aver scritto un'opera in prosa intitolata "Sulla natura".
  • L'unico frammento rimasto dell'opera di Anassimandro introduce il concetto di "illimitato" come principio e fine di tutte le cose.
  • Il termine "àpeiron", centrale nel pensiero di Anassimandro, significa "privo di limite" e si riferisce a un'origine infinita.
  • Anassimandro suggerisce che tutte le cose nascono dall'illimitato e vi ritornano, in un ciclo di generazione e dissoluzione.
  • Nel nascere e affermarsi, le cose commettono un'ingiustizia, che pagano tornando all'illimitato, legando cosmologia ed etica.

Indice

  1. Anassimandro e la sua opera
  2. Il frammento misterioso
  3. Interpretazione del pensiero

Anassimandro e la sua opera

Mentre Talete non scrive probabilmente nulla, il suo concittadino Anassimandro (610- 540 a.C.) compone quasi certamente un’opera in prosa, poi intitolata, secondo un uso destinato a imporsi nei secoli successivi, Sulla natura.

Il frammento misterioso

Di questa sua composizione letteraria possediamo un unico frammento, che restituisce dunque le prime parole del pensiero occidentale. Esse suonano misteriose e piene di fascino: «Principio degli enti è l’illimitato […] e ciò da cui le cose hanno generazione, proprio lì si dissolvono, secondo la necessità. Esse infatti si rendono reciprocamente giustizia della loro ingiustizia secondo l’ordine del tempo».

Interpretazione del pensiero

Non è molto semplice intuire il senso di questa strana affermazione che sembra parlare di una questione fisico-cosmologica (generazione e dissoluzione delle cose) con un linguaggio etico e giuridico (giustizia e ingiustizia): il termine centrale è senz’altro àpeiron, che significa “privo di limite” (composto dal prefisso privativo a e dal sostantivo pèras, “limite”), ossia appunto “illimitato” e forse “infinito”. Probabilmente Anassimandro intende sostenere che tutte le cose nascono da una sorta di magma originario, l’illimitato appunto, e in esso sono destinate a tornare, forse per rigenerarsi ancora. Egli poi sembra sostenere che nel momento stesso in cui nascono, e dunque si affermano nella loro individualità, le cose commettono una sorta di ingiustizia (forse a danno dell’illimitato, forse delle altre cose) e per questo pagano una pena, consistente nel ritorno all’illimitato originario.

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