Concetti Chiave
- I beni ambientali sono pubblici, non rivali nel consumo e non escludibili nei benefici, creando costi sociali piuttosto che individuali.
- La mancanza di un mercato per i beni ambientali deriva dall'impossibilità di esercitare diritti di proprietà su di essi.
- Si propone di tassare le attività dannose per l'ambiente come deterrente, ma una tassa potrebbe implicare che un certo livello di inquinamento sia accettabile.
- Interventi pubblici spesso hanno privilegiato lo sviluppo economico a scapito della tutela ambientale.
- I fallimenti del mercato nella protezione ambientale sono spesso accompagnati da fallimenti statali simili.
Beni senza mercato
Ma perché, nonostante vi sia ormai una coscienza diffusa dei danni prodotti da un uso intensivo e sconsiderato delle risorse naturali, non si riesce a individuare una efficace strategia di riduzione dei danni?
La risposta risiede in buona misura nella natura pubblica dei beni ambientali, i quali sono quindi non rivali nel consumo e non escludibili nei benefici, in modo da non presentare alcun costo individuale, ma soltanto costi sociali.
La natura pubblica dei beni ambientali li rende di fatto privi di mercato, perché non esiste possibilità alcuna di esercitare il diritto di proprietà su di essi. Nasce da tale considerazione la proposta di assoggettare le attività dannose per l’ambiente a una tassazione, che possa svolgere un ruolo deterrente verso chi utilizza a proprio vantaggio un patrimonio comune. L’introduzione di una tassa, però, non farebbe altro che avallare il principio per cui un certo livello di inquinamento, purché adeguatamente compensato, è accettabile.
D’altronde, non mancano esempi di interventi pubblici che, anziché andare nella direzione della tutela del patrimonio ambientale, hanno favorito politiche di segno opposto, per stimolare lo sviluppo economico.
Possiamo così sostenere che, per quanto riguarda la tutela dell’ambiente, non di rado i “fallimenti del mercato” sono stati accompagnati da analoghi “fallimenti dello Stato”.