Concetti Chiave
- Dante e Virgilio salgono il monte Purgatorio, e Dante causa stupore tra le anime dei negligenti per la sua ombra, segno che è ancora in vita.
- Virgilio esorta Dante a non distrarsi e a mantenere il suo obiettivo, paragonando la mente umana a una torre solida contro il vento dei pensieri.
- Le anime dei morti violenti, pentite all'ultimo, chiedono a Dante di portare messaggi e richiedere preghiere sulla terra per la loro salvezza.
- Bonconte da Montefeltro racconta la sua morte e la scomparsa del suo corpo, spiegando come un solo atto di pentimento lo abbia salvato dalla dannazione.
- Pia de' Tolomei chiede a Dante di ricordarla dopo il suo ritorno nel mondo, alludendo alla sua tragica morte e alla sua vita passata.
Indice
L'ombra di Dante
Io mi ero ormai allontanato da quelle ombre (le anime dei negligenti), e seguivo le orme della mia guida, quando alle mie spalle, indicandomi,
una di esse gridò: « Osserva che il raggio del sole non si vede rilucere alla sinistra (Dante e Virgilio, mentre salgono, volgono le spalle a levante e il Sole, perciò, li colpisce a destra) di quello che sta sotto (Dante infatti segue Virgilio), e come sembra si comporti come un vivente!»
Quando udii queste parole volsi lo sguardo, e vidi le anime guardare con stupore me, solo me, e i raggi dei sole che erano interrotti (dal mio corpo).
Risonanze poetiche
Quella che ad una prima lettura può apparire come una zona poetica di passaggio o tutt'al più come un motivo preparatorio dell'intervento didascalico di Virgilio (versi 10-18), si arricchisce di risonanze profonde se consideriamo che nota caratteristica (poeticamente validissima) della seconda cantica è l'attenzione precisa con la quale il Poeta dispone già all'inizio la tonalità dominante del canto. Deciso è il movimento di Dante (e il già posto nel primo verso segna uno stacco quasi violento dal gruppo dei negligenti), ma altrettanto scattanti sono quel dito e quella voce che grida, colpita dalla vita presente nell'atteggiamento di Dante (e come vivo par che si conduca!), sul quale si ripercuote questa agitazione (li occhi rivolsi): è una breve rappresentazione drammatica che - ampliata dall'intervento di Virgilio e dalla corsa delle due anime (versi 28-29) che si trasforma in una corsa collettiva di tutte le altre (verso 42) - fa da prologo a quella ben più vasta e grave della seconda parte del canto.
« Perché, il tuo animo si lascia distrarre a tal punto » disse il maestro, « che rallenti i tuoi passi? che importanza può avere per te ciò che queste anime mormorano?
Vieni dietro a me, e lascia parlare la gente: comportati come una torre solida, la cui cima non si muove mai per quanto i venti possano soffiare;
poiché accade sempre che l'uomo nel quale continuamente un pensiero germoglia dall'altro, allontana da sé il raggiungimento della meta, in quanto l'impeto del nuovo pensiero indebolisce l'altro. »
Che cosa potevo rispondere, se non « Io vengo »? Così infatti risposi, un poco soffuso di quel rossore che talvolta (quando la vergogna non induce all'ira per essere stato colto in errore e quando la colpa non è troppo grave) rende l'uomo degno di essere perdonato.
Frattanto lungo la costa (del monte) in direzione trasversale (rispetto ai due poeti) avanzava un gruppo di anime che ci precedevano di poco, cantando il salmo « Miserere » a versetti alternati.
Quando si accorsero che non lasciavo passare attraverso il mio corpo i raggi del sole, il loro canto si trasformò in un « Oh! » lungo e fioco;
e due di loro, in qualità di messaggeri, corsero incontro a noi e ci chiesero: « Informateci della vostra condizione ».
E il mio maestro: «Voi potete ritornare e riferire a coloro che vi hanno mandato che il corpo di costui è ancora vivo.
Se essi si sono fermati perché hanno visto la sua ombra, come penso, hanno avuto una sufficiente spiegazione: lo accolgano con gentilezza, perché potrà essere prezioso per loro (chiedendo preghiere ai vivi, dopo essere ritornato nel mondo) ».
Non vidi mai stelle cadenti fendere il cielo sereno all'inizio della notte, né, al tramonto del sole, (vidi mai) lampi fendere le nuvole d'agosto tanto rapidamente,
Vapori accesi: poiché la scienza medievale riteneva che le stelle cadenti e i lampi avessero origine da una stessa causa, l'accensione dei vapori, essa li indicava con uno stesso termine.
Anime in cerca di preghiere
che quelli non tornassero in minor tempo alla loro schiera; e, dopo esservi giunti, tornarono indietro con gli altri verso di noi come una schiera che si lancia in una corsa sfrenata.
« Queste anime che si accalcano intorno a noi sono numerose, e vengono per pregarti » disse Virgilio: « tuttavia tu continua a procedere e mentre cammini ascolta. »
« O anima che compi questo viaggio per purificarti con quel corpo al quale fosti legata fin dalla nascita » gridavano, « arresta un poco i tuoi passi.
Guarda se mai hai visto qualcuno di noi, in modo da riportare notizie di lui sulla terra: perché cammini? perché non ti fermi?
Noi un tempo fummo tutti uccisi con la violenza, e fummo peccatori fino all'ultirno istante della notra vìta: in punto di morte la grazia divina ci rese consapevoli dei nostri peccati,
in modo che, pentendoci (dei nostri peccati) e perdonando (i nostri nemici), morimmo riconciliati con Dio, che ci consuma col grande desiderio di vederLo. »
Ed io « Per quanto vi osservi attentamente, non riconosco alcuno di voi; ma se voi desiderate qualcosa che io possa fare, o spiriti destinati alla salvezza,
ditemelo, ed io lo farò in nome di quella pace che debbo cercare attraverso i regni dell'oltretomba seguendo questa guida »
Ed uno di quegli spiriti cominciò a parlare: «Ciascuno di noi si fida del tuo servigio senza bisogno di giuramenti, a meno, che una impossibilItà indipendente impedisca dì realizzare il tuo proposito.
Perciò io, che parlo da solo davanti agli altri, ti prego, se mai tu possa vedere la Marca Anconetana (quel paese che siede tra Romagna e quel di Carlo: posto a sud della Romagna e a nord del regno di Napoli, governato nel 1300 da Carlo Il d'Angìò),
di essere generoso nelle tue richieste per me nella città, di Fano, cosicché per me si preghi da persone in grazia di Dio affinché possa espiare le mie gravi colpe.
Nacqui in questa città, ma le ferite mortali dalle quali sgorgò il sangue nel quale risiedeva la mia anima (in sul quale io sedea: era pensiero comune, ai tempi di Dante, che il sangue fosse la sede dell'anima), mi furono prodotte nel territorio di Padova (in grembo alli Antenori: Antenore fu il troiano fondatore di Padova, secondo Virgilio - Eneide I, versi 247 sgg.).
là dove, io ritenevo di essere più sicuro (essendo fuori del territorio estense): fui ucciso per volere di Azzo VIII, che mi aveva in odio assai più di quello che fosse giusto.
Ma se io fossi fuggito verso Mira (borgo tra Padova e Oriago), quando fui raggiunto (dai sicari) nelle vicinanze di Oriago, sarei ancora nel mondo dei vivi.
Invece corsi verso una palude, e le canne palustri e il fango mi avvilupparono a tal punto, che caddi; e in quel luogo vidi il mio sangue formare in terra un lago »,
Poi parlò un altro spirito: « Possa realizzarsi quel desiderio (il ricongiungimento a Dio) che ti porta verso l'alto monte del purgatorio, (in nome di questo augurio) cerca di aiutare il mio (che è identico al tuo) con preghiere efficaci !
Appartenni alla casata dei Montefeltro, sono Bonconte: Giovanna (vedova di Bonconte) o altri miei parenti non si preoccupano di me; per questo cammino fra costoro a fronte bassa ».
Bonconte da Montefeltro fu figlio di Guido, da Dante posto nell'inferno fra i consiglieri fraudolenti (canto XXVII, versi 19 sgg.), e come il padre fu acceso ghibellino. Ebbe molta parte nella cacciata dei Guelfi da Arezzo (1287) e nella sconfitta che gli Aretini inflissero ai Senesi alla Pieve del Toppo (1288). Comandò i Ghibellini di Arezzo nella guerra contro Firenze, che culminò nella battaglia di Campaldino (1289), nella quale Bonconte morì; il suo corpo non fu più ritrovato.
E io gli risposi: « Quale forza (umana o divina) o quale caso fortuito ti trascinò così lontano da Campaldino, che non si conobbe mai la tua sepoltura? »
« Oh! » rispose, « ai piedi dei monti del Casentino scorre nella valle un torrente chiamato Archiano, che nasce sull'Appennino sopra l'eremo di Camaldoli.
Arrivai, ferito alla gola, nel punto in cui esso perde il suo nome ('l vocabol suo diventa vano: perché si getta nell'Arno), fuggendo a piedi e insanguinando la terra.
Qui i miei occhi si velarono, e la mia voce si spense pronunciando il nome di Maria, e qui caddi e il mio corpo rimase inanimato.
La grandiosità della figura di Bonconte nasce non dallo scontro delle potenze infernali con quelle angeliche per il possesso della sua anima, ma dallo sfondo paesistico sul quale si distende non più la piccola palude di Jacopo, ma la lunga catena dei monti del Casentino, mentre lontano domina, nella sua superba solitudine, quasi simbolo ammonitore di una pace ottenuta solo nel distacco dal mondo, l'eremo di Camaldoli. La corsa affannosa di Bonconte, nel vano tentativo di salvarsi dall'odio dei nemici, non è nascosta subito dal fango, ma campeggia in tutto il piano, diventando qualcosa di epico: il suo sangue è "una striscia che riga la pianura con straziante evidenza" (Puppo), in contrapposto al lento allargarsi della pozza di sangue di Jacopo. Il paesaggio, prima così nitido e preciso, osservato quasi con gli occhi di un capo militare, ancora padrone di sé, si vela improvvisamente davanti a lui, mentre appare il lume del ciel, finché anche per lui "il cadere e il morire è tutt'uno. Non rimane che il peso inerte della carne; sola perché senz'anima; sola anche materialmente, un piccolo mucchio nella vasta campagna. I due versi precedenti costituiscono un'unità ritmica che si arresta sul caddi: poi, il rimanente del verso terzo ha suono martellato e solenne" (Bosco), segnando in tal modo "tre gradi della morte: il velarsi della vista, lo spegnersi sulle labbra della parola, il cadere".
Il destino di Bonconte
Ti racconterò cose vere e tu le riferirai nel mondo dei vivi: l'angelo di Dio prese la mia anima, mentre il diavolo gridava: "Perché mi privi di quest'anima peccatrice, tu che sei un angelo del cielo?
Porti via con te l'anima di costui per una lagrimuccia che me la sottrae; ma userò per il corpo (dell'altro) un trattamento ben diverso!"
L'episodio di Bonconte s'inoltra nella parte più propriamente fantastica, dove il Poeta risolve in termini inventivi quella che era l'ipotesi comune intorno alla scomparsa di Bonconte, e di molti altri, dopo la battaglia di Campaldino: che i loro corpi fossero stati travolti dalle acque dell'Arno in piena.
La critica, concordemente accosta questo contrasto fra l'angelo e il diavolo (uno dei tanti "contrasti" della tradizione letteraria e figurativa del Medioevo) a quello fra San Francesco e il diavolo per l'anima del padre di Bonconte, Guido, nel canto XXVII dell'Inferno. Poiché la ricerca di simmetria ha un suo profondo valore in Dante, nella convergenza o divergenza di significati, occorre rilevare - d'accordo col Sapegno - che mentre quel primo contrasto voleva indicare l'inutilità di un lungo periodo di penitenza, se esso è interrotto da un peccato senza pentimento, questo sottolinea come un solo attimo di penitenza basta a salvare un'anima, essendo il giudizio di Dio indipendente dalla opinione umana.
La scomparsa di Bonconte
Tu sai con chiarezza come nell'aria si raccoglie il vapore acqueo che si trasforma di nuovo in acqua, non appena sale nella regione fredda del cielo.
Sopraggiunse il diavolo che desidera soltanto il male con il suo intelletto, e provocò il vapore acqueo e il vento con quel potere che gli proviene dalla sua natura.
Poi, non appena giunse la notte, coperse di nebbia la valle (di Campaldino) dal monte Pratomagno alla Giogaia di Camaldoli; e provocò nel cielo un così grande ammasso di vapori,
che l'aria satura di nubi si convertì in acqua: cadde la pioggia e quella parte di essa che la terra non riuscì ad assorbire si raccolse nei fossi;
e quando raggiunse i torrenti, si convogliò verso l'Arno (fiume real: secondo l'espressione usata nel Medioevo per indicare i fiumi che sfociano in mare) con tanta velocità, che nessun ostacolo potè trattenerla.
L'Archiano in piena trovò il mio cadavere alla sua foce, e lo spinse nell'Arno, e sciolse dal mio petto la croce
che avevo fatto delle mie braccia quando mi aveva sopraffatto il dolore del pentimento: mi voltò lungo le rive e sul fondo; poi mi coperse e mi nascose con i suoi detriti. »
« Quando sarai tornato nel mondo, e ti sarai riposato del lungo cammino », disse un altro spirito dopo il secondo,
«ricordati di Pia: Siena mi diede i natali; la Maremma mi diede la morte; (come morii) lo sa colui che prima mi aveva dato l'anello nuziale
prendendomi in moglie. »
Nei versi 135-136 Dante allude a una sola cerimonia: la promessa dì prendere in moglie e la consegna dell'anello, mentre le nozze vere e proprie erano celebrate più tardi in casa dello sposo. Parla Pia, una senese appartenente forse alla famiglia dei Tolomei. Sposò Nello d'Inghiramo dei Pannocchíeschi, signore del castello della Pietra in Maremma. Secondo alcuni antichi commentatori sarebbe stata uccisa dal marito che voleva sposarsi con Margherita Aldobrandeschi, secondo altri sarebbe stata uccisa per una sua infedeltà, secondo altri ancora per sospetto di infedeltà.
Se tuttavia la critica romantica ha creato il mito dì una Pia vittima innocente, contrapposta alla peccatrice Francesca, non è inutile ricordare che Dante la pone fra coloro che furono peccatori infino all'ultima ora.
L'apparizione di questa figura, nella quale la preghiera sicura di sé di Jacopo e quella più incerta e sofferente di Bonconte, si purifica nella dolce preoccupazione per Dante (quando tu sarai... riposato della lunga via), avviene dopo che il crescendo ritmico della bufera si era placato in uno di quei versi (verso 129) che il Bosco definisce "definitivi" e che "così caratteristicamente suggellano in Dante un motivo drammatico", segnando nella "sinfonia lo stacco tra il terzo tempo, così mosso e drammatico, e il quarto, un pianissimo elegiaco". Ma anche se, sempre secondo l'analisi del Bosco, la poesia dei due episodi precedenti è « fatto », perché è soprattutto costituita dal paesaggio, dal gesto, dal colore, è "un visibile parlare e soffrire", non si possono dissolvere le parole di Pia in una semplice suggestione musicale, come tende a fare anche il Momigliano. Il verso 134 ha una sua forza interiore che ripropone ancora una volta il tema del distacco (disfecemi) innaturale dell'anima dal corpo, anche se il movimento drammatico dei due episodi precedenti "si contrae e si smorza nell'ultimo, che da questa smorzatura musicale acquista il suo fascino poetico" (Puppo), anche se Pia, più ancora che Jacopo e Bonconte, vela la sua vita e la sua morte, e, nell'accenno a colui che fu causa della sua fine, accanto al perdono, fa vibrare pur sempre un sentimento di amore.
Domande da interrogazione
- Qual è il significato dell'ombra di Dante nel contesto del testo?
- Come viene descritta la reazione delle anime alla presenza di Dante?
- Qual è il destino di Bonconte da Montefeltro secondo il testo?
- Qual è il ruolo del paesaggio nella narrazione della morte di Bonconte?
- Chi è Pia e quale è la sua richiesta a Dante?
L'ombra di Dante rappresenta la sua presenza fisica e vivente nel regno dei morti, suscitando stupore tra le anime che notano come i raggi del sole siano interrotti dal suo corpo, un segno della sua vitalità.
Le anime, stupite dalla presenza di Dante, si accalcano intorno a lui, cercando di pregare e chiedere notizie da riportare sulla terra, poiché riconoscono in lui un'anima vivente che può intercedere per loro.
Bonconte da Montefeltro, ferito mortalmente, muore invocando il nome di Maria. La sua anima viene contesa tra un angelo e un diavolo, ma viene salvata grazie al suo pentimento finale, mentre il suo corpo viene travolto dalle acque dell'Arno.
Il paesaggio del Casentino, con i suoi monti e torrenti, amplifica la drammaticità della morte di Bonconte, trasformando la sua fuga e morte in un evento epico, con il suo sangue che segna la terra in modo evidente.
Pia è un'anima che chiede a Dante di ricordarsi di lei quando tornerà nel mondo dei vivi. È una figura che, pur essendo stata peccatrice fino all'ultimo, esprime una dolce preoccupazione per Dante, chiedendo di essere ricordata con pietà.