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Concetti Chiave

  • Le tenebre dell'inferno rappresentano una metafora della cecità spirituale, con fumo denso che simboleggia le difficoltà e l'imperfezione del discernimento umano.
  • Le anime iraconde nel purgatorio, circondate da fumo, recitano preghiere di pace e misericordia, contrastando la loro passata discordia con un'armonia ritrovata nella penitenza.
  • Marco Lombardo discute la corruzione del mondo, attribuendo la causa principale al malgoverno dei pontefici e non agli influssi astrali, sottolineando l'importanza del libero arbitrio.
  • L'analogia dei due soli riflette la separazione tra autorità spirituale e temporale, evidenziando la confusione e il declino della giustizia quando sono unite in una sola figura.
  • Il declino del valore in Italia è illustrato attraverso esempi di virtù passata, con figure storiche che incarnano ideali di giustizia e liberalità ormai perduti.

Indice

  1. Le tenebre dell'inferno
  2. Il fumo dell'ira
  3. Camminando nel fumo
  4. Preghiera delle anime iraconde
  5. Dialogo con le anime
  6. Il viaggio ultraterreno di Dante
  7. Incontro con Marco Lombardo
  8. La corruzione del mondo
  9. L'anima e la giustizia
  10. Il malgoverno dei pontefici
  11. I due soli
  12. Declino del valore in Italia
  13. Esempi di virtù passata
  14. Critica alla Chiesa di Roma
  15. Legislazione ebraica e i Leviti
  16. Gherardo da Camino
  17. Fama di Gherardo e Gaia
  18. Conclusione del dialogo

Le tenebre dell'inferno

Le tenebre dell'inferno e di una notte priva di luna e di stelle, osservata da una stretta valle con orizzonte limitato, e oscurata quanto più possibile da nuvole,

non stesero mai sui miei occhi un velo così denso, né così pungente e fastidioso a sentirsi, come quel fumo che lì ci avvolse,

così che gli occhi non riuscirono a restare aperti: perciò la mia guida esperta e sicura si accostò a me e mi offerse (come appoggio) la sua spalla.

Il fumo dell'ira

Il motivo delle tenebre che nella terza cornice del purgatorio avvolgono le anime degli iracondi e che renderanno difficoltoso il procedere dei due pellegrini è introdotto, nella prima terzina, attraverso un succedersi incalzante di determinazioni, mentre la seconda terzina, porgendo, in forma negativa (non fece... né a sentir), il medesimo tema, determina un effetto di iperbole. Il fummo, che nel primi tre versi è stato riallacciato a una serie di riferimenti oggettivi, è qui considerato nel suo riflettersi nella memoria del narratore: anche se sommati insieme, tutti i raffronti suggeritigli dalla sua esperienza nel mondo dei vivi appaiono a Dante inadeguati a rendere l'assolutezza del buio in cui sì trovò immerso nel terzo girone e la sua sgradevole materialità. Dalla situazione presentata con tanto scrupolo di oggettiva evidenza nei primi sei versi, scaturisce naturalmente l'azione: Dante non è più in grado di avanzare da solo, ha bisogno di ricorrere, nel significato più immediato della parola, al sostegno della sua guida, è nelle condizioni di un cieco. Il motivo delle tenebre dell'ira assumerà nel corso del canto, interiorizzandosi, un significato sempre più ampio e traslato, si trasfigurerà in quello, spirituale e ricco di echi biblici, della cecità che il vivere stesso comporta, dell'imperfetto discernimento di chi è gravato dal peso della carne.


Camminando nel fumo

Allo stesso modo in cui un cieco segue la sua guida per non smarrire la via e non urtare contro qualcosa che gli faccia male, o forse anche lo uccida,

io camminavo attraverso quel fumo acre e nero, ascoltando la mia guida che mi diceva di continuo: "Sta attento a non separarti da me".

Io udivo delle voci, e ciascuna sembrava pregare per ottenere pace e misericordia l'Agnello di Dio che toglie i peccati.

Sempre "Agnello di Dio" era il loro inizio; tutte recitavano la stessa preghiera e con la stessa intonazione, cosicché tra di loro appariva il più perfetto accordo.

Preghiera delle anime iraconde

La preghiera che le anime recitano o cantano è quella liturgica dell'Agnus Dei, che, come durante la celebrazione della Messa, viene ripetuta tre volte per chiedere a Cristo-Agnello di Dio, che si sacrificò per l'umanità (Giovanni I, 29), misericordia (nei primi due versetti) e pace (nell'ultimo).

Le anime che in vita si lasciarono trasportare alla violenza e alla discordia dall'ira, non più guidata dal freno della ragione e volta a fini morali, appaiono, per la pena del contrappasso, circondate da un denso fumo, mentre le loro voci, nell'accordo più perfetto (ogne concordia), chiedono, invece delle divisioni e delle lotte di un tempo, pace e misericordia.

Un'efficace contrapposizione si stabilisce tra il tema del fummo dell'ira - passione che preclude ogni forma di comunicazione, di amore - e quello del coro delle anime espianti. Canto 16 Purgatorio - Prosa articoloNella dura, compatta trama sintattica dell'esordio, già il primo accenno al motivo della cecità ha insinuato un ritmo più trepido, umano. Il coro degli spiriti afferma ora - esaltando, nelle cadenze dell'inno latino, il volontario olocausto del Figlio di Dio - la fertile, inesauribile positività del dolore. Nelle terzine 16 e 19 ogni particolare risulta sfumato, ogni stridente forma di individuazione è abolita (io sentia voci, e ciascuna pareva... sì che parea...); il Poeta appare esitante nel definire in termini troppo decisi la consistenza fisica, sensibile delle forme da lui udite; l'accento è posto sul dato interiore, sulla mitezza ed unanimità del sentire, sulla concordia raggiunta nella rinuncia e nella dedizione.


Dialogo con le anime

"Maestro, quelli che io ascolto sono anime?" domandai. E Virgilio mi rispose: "Tu hai colto nel segno, e si stanno purificando dal peccato dell'iracondia".

"Chi sei tu che passando tagli il nostro fumo, e parli di noi proprio come se tu fossi ancora vivo (partissi ancor lo tempo per calendi: dividessi ancora il tempo per mesi)?"

Così fu detto da una voce; perciò il mio maestro, mi disse: « Rispondi, e chiedi se da questa parte si può salire».

E io: « O creatura che ti purifichi per tornare; ridiventata bella, al tuo Creatore, se mi accompagni udrai da me cosa degna di meraviglia ».

« Io ti accompagnerò fin dove mi è permesso » rispose; « e se il fumo non ci permette di vederci, invece della vista ci terrà uniti l'udito. »

Allora cominciai a dire: « Sto salendo verso l'alto con quel corpo che la morte dissolverà, e sono arrivato qui attraversando i tormenti dell'inferno.

E se è vero che Dio mi ha avvolto nella sua Grazia, tanto da volere che io salga a contemplare la corte celeste in un modo del tutto inusitato nel nostro tempo,


Il viaggio ultraterreno di Dante

Il viaggio attraverso il mondo ultraterreno era stato concesso solo ad Enea (cfr. Virgilio - Eneide, canto VI) e a San Paolo (II Epistola ai Corinti), come Dante ha già ricordato nel II canto dell'Inferno (versi 13 sgg.).

Incontro con Marco Lombardo

non nascondermi chi tu fosti prima della morte, ma dimmelo, e dimmi anche se sono sulla via giusta per il passaggio (che conduce al girone superiore): e le tue parole saranno la nostra guida ».

« Fui lombardo, e mi chiamai Marco: fui esperto delle cose del mondo, e amai quella virtù al cui possesso oggi nessuno tende più l'arco del suo desiderio.

Sei nella direzione giusta per salire. » Cosi rispose, e soggiunse: « Ti supplico di pregare per me quando sarai lassù in cielo ».

E io gli dissi: « Mi impegno con giuramento a fare quello che mi chiedi; ma sono tanto angustiato da un dubbio che io scoppio, se non me ne libero.

Prima il mio dubbio era semplice, ma ora si è fatto più grave per le tue parole, che mi convincono, udendole qui da te e altrove da altri, di quella corruzione del mondo alla quale si riferisce il dubbio stesso.

La corruzione del mondo

Il mondo è proprio tutto spoglio di ogni virtù, così come tu mi dici, e saturo e coperto di malvagità;

ma ti prego d'indicarmi la causa, in modo che io la possa vedere e mostrare agli altri, poiché alcuni la pongono nell'influsso degli astri, e altri nella volontà degli uomini ».

Prima di rispondermi emise un sospiro profondo, che il dolore trasformò in un lamento; e poi cominciò: «Fratello, il mondo è cieco, e tu vieni proprio da lui.

Voi mortali attribuite la causa di tutto solo al cielo, proprio come se esso con il suo movimento determinasse necessariamente tutto (tutto movesse seco di necessitate).

Se così fosse, in voi sarebbe distrutto il libero arbitrio, e non ci sarebbe giustizia nell'avere la beatitudine eterna se si fa il bene, e la dannazione eterna se si fa il male.

L'influsso dei cieli accende gli istinti; e non dico tutti, ma anche se lo dicessi, vi è stato dato il lume della ragione per distinguere il bene e il male,

e una volontà libera (di scegliere l'uno o l'altro); essa, anche se incontra difficoltà nel combattere gli impulsi suscitati dagli influssi celesti (nelle prime battaglie col ciel), vince poi ogni contrasto, se viene ben educata.

Pur restando liberi, voi siete soggetti a una potenza più grande e a una natura migliore (cioè a Dio); e Dio crea in voi l'anima intellettiva, che non è sottoposta all'influsso dei cieli ('l ciel non ha in sua cura).

Perciò, se il mondo presente esce fuori dal giusto cammino, la causa è in voi, e in voi si ricerchi; e io stesso te ne sarò verace rivelatore (vera spia).

Esce dalle mani di Dio che la contempla prima che essa esista, comportandosi come una fanciulla che si rattrista e si rallegra (senza ragione) come i pargoli,

l'anima ingenua la quale è ignara di tutto, salvo che, mossa da Dio, somma felicità, si volge volentieri a ciò che la diletta.

Gusta dapprima i beni limitati della terra; e qui cade in inganno, e corre dietro ad essi, se una guida o un freno non indirizzano sulla retta via il suo amore.

Perciò fu necessario stabilire la legge come un freno; fu necessario avere un sovrano per guida, il quale sapesse discernere almeno la giustizia del mondo ideale.

L'anima e la giustizia

L'anima, sempre secondo la dottrina tomistica, dopo essere stata creata da Dio (esce di mano a lui), che la contempla da sempre nel suo pensiero (prima ancora che essa esista) e si compiace della sua bellezza (la vagheggia), entra nel mondo priva di ogni conoscenza, aperta ad ogni impressione, ma pronta, per sua natura, essendo stata plasmata da Chi è sommo bene e somma gioia, a volgersi verso ciò che le dà piacere e diletto. Per questo accade che, dopo aver accostato qualche bene terreno, lo segua, "e perché la sua conoscenza prima è imperfetta, per non essere esperta né dottrinata, piccioli beni le paiono grandi" (Convivio VI, XII, 16). Perciò è necessario l'intervento della legge e dell'autorità imperiale: queste, regolando l'umana convivenza, realizzano nel mondo la giustizia, che, portando la pace, costituisce la base necessaria per conseguire la perfezione umana.

Secondo quanto Dante afferma nel Convivio, soltanto l'imperatore sarebbe in grado di attuare in terra la giustizia, essendo libero dalla cupidigia che spinge gli uomini alla sopraffazione, all'inganno, alle guerre. La giustizia è simbolicamente designata, nel verso 96, come la torre della vera città. Quest'ultima è l'agostiniana civitas Dei, che molti interpreti hanno voluto senz'altro identificare con il regno dei cieli, per analogia con quanto è detto nel verso 95 del XIII canto del Purgatorio. In realtà, come fa giustamente notare il Maccarrone basandosi su un passo del De Civitate Dei, la civitas di cui parla Sant'Agostino "ha in questa terra la sua prima fase". La vera città deve quindi essere interpretata come l'ordinamento politico ideale, quello che consente agli uomini di raggiungere il massimo di perfezione in terra e li predispone, indirettamente, alla felicità eterna.

Il malgoverno dei pontefici

Le leggi esistono, ma chi opera per farle osservare? Nessuno, perché il pastore che guida il gregge, è capace di interpretare la Scrittura, ma non possiede il retto discernimento del bene e del male nell'amministrare la giustizia (non ha l'unghie fesse: non ha le unghie divise, cioè non distingue il bene dal male)

e perciò l'umanità, che vede la sua guida tendere solo a quei beni materiali di cui essa stessa è avida, si pasce soltanto di tali beni, e non chiede altro.

Puoi ben vedere come il malgoverno dei pontefici sia la causa che ha reso peccatore il mondo, e non la natura umana che in voi sia corrotta (dall'influsso degli astri).

Roma, che un tempo diede al mondo la pace e la giustizia, soleva avere due autorità, le quali indicavano le due strade, quella della felicità materiale (del mondo) e quella della felicità spirituale (di Deo).

In seguito l'autorità papale ha spento l'autorità imperiale; e il potere civile è congiunto (nella stessa persona) con quello religioso, ma uniti insieme con un atto arbitrario devono necessariamente svolgersi male,

perché, stando uniti nelle stesse mani, l'uno non rispetta più l'altro: se non vuoi credere alle mie parole, considera i frutti che ne derivano, poiché ogni pianta si conosce dal frutto.

I due soli

Anche l'immagine dei due soli è di origine biblica. Così è descritta nella Genesi (I, 16) la creazione del sole e della luna: "E Iddio fece i due grandi luminari: il luminare maggiore per presiedere al giorno e il luminare minore per presiedere alla notte". Nel Medioevo il simbolo dei "due luminari" servì a designare le massime autorità in terra, quella dell'imperatore e quella del pontefice, e venne usato ampiamente dai trattatisti di parte imperiale e di parte papale. Dante stesso ne fece uso nei suoi scritti teorici.

Qui il simbolo acquista una concretezza ed un risalto anzitutto lirici. I "due luminari", trasferiti su un piano di acceso profetismo, di concreta visione, si convertono, nelle appassionate parole di Marco Lombardo, in due soli. L'astratto teorizzare della trattatistica medievale sfocia così in un quadro di cosmica ineluttabilità, di apocalittico sovvertimento dì ogni legge naturale: un sole, che dovrebbe essere unicamente sorgente di luce, ha spento l'altro sole, è divenuto fonte di offuscamento, di indebita confusione tra ordini di cose l'uno all'altro irriducibili (è giunta la spada col pasturale), in dispregio alle leggi stabilite da Dio, alla' logica intrinseca delle cose.

Dopo aver collocato in un passato lontano e indeterminato, in una età felice della quale sembra quasi essersi perduta la memoria, in un clima di mito (soleva Roma...) il tempo in cui due soli illuminarono concordi il cammino dell'umanità, la parola di Marco Lombardo si fa aspra, tradisce un profondo affanno, un orrore sbigottito per l'innaturale accoppiamento di spada e pasturale, insiste dolorosamente sull'idea di questa mostruosa congiunzione (è giunta la spada... però che, giunti... ).

Declino del valore in Italia

Nella regione che l'Adige e il Po bagnano, si era soliti incontrare valore militare e liberalità, prima che Federico II avesse contrasti con la Chiesa:

ora invece chiunque evitasse (di passare nell'Italia settentrionale) per vergogna di parlare con le persone oneste o di avvicinarle può passare per quella regione sicuro (di non incontrarne alcuna).

Vero è che ci sono ancora tre vecchi nei quali la generazione passata rimprovera la nuova, ma (vi si trovano tanto a disagio che) sembra loro tardare troppo l'ora in cui Dio li chiamerà a una vita migliore:

Corrado da Palazzo e il valente Gherardo da Camino e Guido da Castello, che è più conosciuto col soprannome, foggiato alla francese, di leale Lombardo.

Esempi di virtù passata

Corrado III da Palazzo, nobile bresciano, fu vicario di Carlo I d'Angiò a Firenze nel 1277 e due anni dopo guidò i suoi concittadini contro Trento: infine nel 1288 fu podestà di Piacenza. Era ancora vivo nel 1300.

Gherardo da Camino, la cui famiglia raccolse la signoria degli Ezzelini, fu capitano di Belluno e Feltre; poi ebbe la signoria di Treviso dal 1283 fino al 1306, anno della sua morte.

Guido da Castello, ghibellino appartenente a uno dei tre rami della famiglia dei Roberti di Reggio Emilia, nato nel 1235, viveva ancora nel 1315. Cacciato dai Guelfi, riparò presso gli Scaligeri di Verona, dove sembra lo abbia conosciuto Dante, che nel Convivio (IV, XVI, 6) ne parla con ammirazione. Il soprannome di il semplice Lombardo prende rilievo dal fatto che per i francesi « lombardo » significava italiano astuto e avaro, dedito alla mercatura, e « semplice », nell'uso francese, era sinonimo di leale, onesto.


Critica alla Chiesa di Roma

Puoi concludere ormai che la Chiesa di Roma, confondendo in sé i due poteri, cade nel fango e insozza se stessa e il potere civile che si è assunto ».

Io dissi: « O Marco mio, tu parli bene; e ora capisco perché i figli di Levi furono esclusi dall'eredità di beni materiali.


Legislazione ebraica e i Leviti

Nella legislazione ebraica i Leviti, i discendenti di Levi, erano esclusi da ogni possesso di beni materiali (cfr. Numeri XVIII, 20-24; Giosuè XIII, 14 e XXI, 1-22) perché essi costituivano la classe sacerdotale.

Gherardo da Camino

Ma chi è quel Gherardo che tu dici essere rimasto come un esempio della generazione passata, quasi vivente rimprovero del vizioso tempo presente? »

Mi rispose: « O io m'inganno nell'interpretare le tue parole, o esse mi tentano (per farmi ancora parlare), perché, pur parlando toscano, pare che tu non sappia nulla riguardo all'eccellente Gherardo.


Fama di Gherardo e Gaia

II nome di Gherardo da Camino doveva essere molto conosciuto in Toscana, perché aveva dato il suo appoggio a Corso Donati nelle lotte contro i Bianchi.

Conclusione del dialogo

Io non saprei indicarlo con altra denominazione se non con quella desunta da sua figlia Gaia (cioè dall'essere egli il padre di Gaia). Dio vi accompagni, perché non posso venire oltre con voi.


Di Gaia sappiamo soltanto che andò sposa a Tolberto da Camino e morì nel 1311. Secondo alcuni commentatori fu assai nota per la sua onestà e le sue virtù e Dante la ricorderebbe per sottolineare ancora di più la fama del padre, secondo altri per la sua bellezza e i suoi vizi e in tal caso Dante metterebbe ancora una volta in luce la corruzione delle corti dell'Italia settentrionale e la degenerazione dei figli nei confronti dei padri. Questa seconda interpretazione, inserendosi più facilmente nel discorso polemico di Marco, è la più accettabile.

Vedi come la luce del giorno che traspare attraverso il fumo incomincia a biancheggiare, e io devo tornare indietro - là c'è l'angelo - prima che gli compaia davanti».

Così detto si volse, e non volle più ascoltarmi.

Domande da interrogazione

  1. Qual è il significato del fumo che avvolge le anime degli iracondi nel Purgatorio?
  2. Il fumo rappresenta le tenebre dell'ira, una condizione di cecità spirituale che impedisce il discernimento e la comunicazione, riflettendo la condizione delle anime che in vita furono dominate dall'ira.

  3. Come si manifesta la preghiera delle anime iraconde nel Purgatorio?
  4. Le anime recitano l'Agnus Dei, chiedendo pace e misericordia, in un perfetto accordo che contrasta con la discordia della loro vita terrena.

  5. Qual è il ruolo di Marco Lombardo nel dialogo con Dante?
  6. Marco Lombardo discute con Dante sulla corruzione del mondo, attribuendo la causa alla mancanza di giustizia e al malgoverno dei pontefici, piuttosto che agli influssi astrali.

  7. Cosa simboleggiano i "due soli" menzionati nel testo?
  8. I "due soli" rappresentano le autorità spirituale e temporale, che un tempo illuminavano il mondo in armonia, ma che ora sono in conflitto a causa della fusione dei poteri nella Chiesa di Roma.

  9. Chi sono gli esempi di virtù passata menzionati nel testo e quale significato hanno?
  10. Corrado da Palazzo, Gherardo da Camino e Guido da Castello sono citati come esempi di virtù passata, rappresentando un rimprovero vivente alla degenerazione morale del tempo presente.

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