Introduzione
Il secondo sogno di Dante nel Purgatorio è preannunciato alla fine del canto precedente. La suspense così creata è segno dell'importanza che il poeta attribuiva al sogno stesso. La descrizione è preceduta da una di quelle elaborate indicazioni orarie (1-0) che ben conosciamo, anch'essa segno del rilievo che Dante vuol dare a questa parte della narrazione: come quelle che precedono il primo e il terzo sogno, ha inizio, certo non per caso, con lo stesso stilema: «Ne l'ora...».Come abbiamo visto, il sogno non è che la riproposta figurata della necessità, affermata nei canti XVII-XVIII, di scoprire e respingere il brutto e il male che possono nascondersi sotto le apparenze di bello e di bene che le nostre inclinazioni ai piaceri terreni ci propongono.
Già Andrea Cappellano, come ci ricorda ad altro proposito il Nardi (Dante, p. 7), aveva scritto che l' «amante, stimolato dalla impressione entrata in lui per la vista, si costruisce un mondo interiore d'immagini e colla sua 'facoltà cogitativa' crea l'oggetto del suo amore, spesso tanto differente da quello che si dice reale». Non diversamente i lirici duecenteschi.
Femmina balba
Tutto ciò è figurato nel sogno in una brutta donna, che tutti chiamiamo la «femmina balba», dal primo attributo che il poeta le conferisce, ma che in verità, oltre che balbuziente, è strabica, coi piedi storti, le mani monche, di colorito gialiastro, malsano; il ventre emana fetore.Guardandola («Io la mirava»), Dante la trasforma invece in una creatura affascinante nell'aspetto e suadente nel canto; l'uomo non può o trova grande difficoltà a distaccarsene («con pena / da lei avrei mio intento rivolto»; «qual meco s'ausa, / rado sen parte; sì tutto l'appago»).
Il poeta, pur facendo la femmina personificazione di tutti e tre i peccati d'incontinenza (58-59), pensa essenzialmente alla lussuria, cioè al peccato tra essi più comune e pericoloso, anche per l'aspetto particolarmente lusinghiero e persino nobile che può assumere, conformemente alla lunga tradizione che ora Dante ripudia.
Del resto, essenzialmente alle seduzioni amorose si riferivano gli exempla di donne fascinose ma fetide, assai vicine a questa femmina dantesca, che la tradizione edificante medievale offriva al nostro poeta. Il sogno non vuole solo rilevare al sognante la facilità con cui si cade in peccato, ma anche il modo in cui ci si può liberare da esso («vedesti come l'uom da lei si slega», 60).
L'intervento della ragione
Sì, in definitiva, a scoprire le magagne nascoste della «femmina», basta che Virgilio, la ragione, intervenga; ma la ragione stessa può esser distratta e rimaner esitante dinanzi ad aspetti e a sentimenti fascinatori e apparentemente incolpevoli (come soprattutto nel caso dell'amore, specie di quello cortese): interviene allora, vigile, la Grazia con una sua inviata, come già altre volte (If II, If IX, Pg VII), a rampognare la ragione per un momento inerte; questa subito riacquista la sua lucidità ed energia e rivela all'uomo le turpitudini nascoste.Nella lettera del racconto del sogno, Virgilio figge gli occhi solamente e continuamente («pur») nella «donna... santa e presta» sopraggiunta a salvezza, distogliendoli dunque dalla femmina da cui per un momento egli pure, come il suo discepolo, era rimasto ammaliato: del resto, Virgilio personaggio era stato per un momento distratto anche da un altro allettamento, terreno anche se nobile, dal canto di Casella. E anche in quel caso la ragione era stata richiamata al suo dovere da Catone, per volere evidentemente di Dio.
L'intervento della Grazia
Che questo intervento particolare della Grazia sia considerato da Dante necessario proprio in relazione ai peccati più lievi come sono quelli d'incontinenza, non meraviglia, giacché proprio essi per la loro apparente inoffensività sono i più difficili a vincere: la ragione anche senza particolari incitamenti religiosi può riconoscere la turpitudine, poniamo, d'un furto, ma può esitare a scoprire la peccaminosità del risparmiare oltre un certo limite, del gustare un cibo, del desiderare una donna.Anche questo è spiegato dallo stesso Dante: «le cose defettive possono aver li loro difetti per modo, che ne la prima faccia non paiono, ma sotto pretesto di perfezione la imperfezione si nasconde... E quelle cose che prima non mostrano li loro difetti sono più pericolose, però che di loro molte fiate prendere guardia non si può» (Cv IV XII 2-3). La ragione di Dante, e anche in un primo momento la ragione per antonomasia, Virgilio, non avevano 'preso guardia'; non avevano tenuto, dinnanzi ai falsi beni, la « soglia» dell' «assenso» (Pg XVIII 63).