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Concetti Chiave

  • Il quinto girone del Purgatorio punisce gli avari e i prodighi, ma la rappresentazione si concentra principalmente sugli avari, come illustrato da Dante attraverso esempi di virtù contraria e punizione.
  • Le anime punite per avarizia sono immobilizzate e costrette a guardare verso il basso, riflettendo il loro attaccamento terreno e la mancanza di amore per i beni spirituali.
  • La pena inflitta agli avari è umiliante, colpendo la dignità umana e risultando particolarmente amara per figure di alta statura sociale, come papi e re.
  • Dante critica duramente l'avarizia nei potenti, considerandola più grave a causa della loro influenza e responsabilità, identificandola con la cupidigia e il desiderio di potere.
  • Il testo sottolinea la diffusione del peccato di avarizia, evidenziando la presenza di numerosi peccatori, in particolare tra gli ecclesiastici, che sono spesso associati alla simonia e alla corruzione.

Indice

  1. Introduzione
  2. Le caratteristiche delle anime punite
  3. Il carattere umiliante della pena
  4. L'avarizia

Introduzione

Col v. 70 siamo tra gli avari e prodighi: «Com'io nel quinto giro fui dischiuso». In verità, che accanto agli avari siano qui puniti anche i prodighi, colpevoli del peccato analogo anche se di segno opposto, secondo una legge applicata solo in questa coppia di peccati, lo apprenderemo solo da Stazio in Pg XXII 19-54: ma ciò resta in tutti e tre i canti del quinto girone una semplice notizia, senza riflessi nella rappresentazione concreta, la quale riguarda esclusivamente gli avari.

Sino a che Stazio chiarirà d'essere stato non un avaro ma un prodigo, Virgilio, e con lui il lettore, aveva tutte le ragioni di crederlo punito per avarizia. Si direbbe addirittura che Dante, quando descriveva il girone, non pensasse affatto ai prodighi: agli avari, e solo a essi, si riferiscono gli esempi di virtù contraria e di punizione che immaginerà di ascoltare nel canto seguente; avari sono i personaggi (Adriano V, Ugo Capeto); non certo alla prodigalità si adegua il contrapasso, inconsuetamente spiegato nei particolari dal poeta stesso (118-126).

Le caratteristiche delle anime punite

Come l'attaccamento alle ricchezze e al potere attrasse in vita tutta l'attenzione di queste anime, impedendo loro di amare i veri beni e di operare per questo amore, così ora la giustizia di Dio le tiene legate, piedi e mani, impedendo ogni movimento; guardarono alla terra e ora, finché dura l'espiazione, non possono far altro; amarono cose che avrebbero dovuto spregiare, e ora aderiscono al pavimento, a ciò che è fatto per essere calpestato.

Si pensi anche al salmo recitato dai penitenti («Adhaesit pavimento...»), alla beatitudine cantata dall'angelo, che si riferisce alla sete di oro e non di giustizia, alla maledizione della lupa (Pg XX 10-12): tutto ciò non può essere commisurato alla prodigalità se non per mezzo di eccessive sottigliezze. D'altra parte, mentre il contrapasso per gli avari-prodighi dell'inferno è specifico, questo, che si riferisce all'attaccamento alla terra, potrebbe riferirsi a tutti e tre i peccati degli ultimi gironi, anzi addirittura a ogni peccato: anche gli invidiosi, per es., non seppero guardare in alto, come il poeta dice esplicitamente.

Il carattere umiliante della pena

Piuttosto, è da rilevare una particolarità della pena: il suo carattere umiliante: papa Adriano dice (117) che tra le pene del Purgatorio essa è tra le più amare; non diss-milmente, della pena dei golosi infernali, giacenti per terra nella sporcizia, Dante aveva detto essere tale, «che, s'altra è maggio, nulla è sì spiacente». È la dignità della persona umana che nei due casi è colpita, nell'essere costretti a terra, di là dalla sofferenza fisica; la pena è particolarmente amara in relazione all'alta dignità rivestita in terra dai personaggi introdotti: in questo canto un papa, nel seguente, attraverso le rampogne del suo capostipite, un'intera dinastia. (Ci sarà nel girone anche un altro personaggio, il poeta Stazio: ma è un prodigo, e la sua presenza nella Commedia ha diverso significato).

L'avarizia

Come nell'Inferno il poeta aveva immaginato di non riconoscere alcuni degli avari ivi puniti, ma aveva ben individuato una massa di «chercuti», di «papi e cardinali, / in cui usa avarizia il suo soperchio» (If VII 37-54), e nei quali, dato il loro ministero, essa è più condannabile, cosi qui introduce, per più persuasiva esemplarita, i massimi potentati, un papa e un re. In essi l'avarizia e assai più riprovevole che nei privati: intesa la parola, come frequenti dichiarazioni di Dante in verso e in prosa e dei suoi maestri ci dicono, come desiderio non solo di accumulare o conservare ricchezze; ma anche come cupidigia di dominio e di potere.

Quest'ultima essenzialmente Dante imputa a papa Adriano, e quanto ai Capetingi, come vedremo nel canto seguente, essa e tutt'uno con la bramosia di oro. L'avarizia s'identifica con la cupidigia, con la lupa, causa di tutti i mali del mondo.

È stato notato come il gran numero dei peccatori è espressamente fatto rilevare, come qui, anche nei canti infernali degli avari-prodighi (VII) e dei colpevoli del peccato all'avarizia assai affine, la simonia (XIX; si vedano le Introduzioni a quei due canti); tra questi sono particolarmente esecrati gli ecclesiastici, sebbene naturalmente siano simoniaci non solo i venditori ma anche gli acquirenti, che possono essere laici, di cose sacre.

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