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Indice

  1. Introduzione
  2. Il peccato dell'ira
  3. Contrappasso dell'ira

Introduzione

Come alla pena dei superbi, così a questa degli iracondi e poi a quella dei lussuriosi, Dante partecipa, andando chino come i primi (Pg XII 1-9), avanzando nel buio del fumo dei secondi e diventando temporaneamente cieco com'essi, attraversando il fuoco dei terzi (Pg XXVII 10-54); sono altrettante confessioni che Dante fa d'essersi macchiato di quei peccati; e per la superbia la confessione è anche esplicita (Pg XIII 136-138).

Quanto all'ira, il lettore della Commedia non fa davvero fatica a immaginare l'uomo Dante soggetto ai suoi impeti e scatti. Il poeta, con tutta la tradizione cristiana, distingue peraltro l'ira provocata da cause giuste e nobili, al cui impulsi obbedì persino Cristo quando scaccio i mercanti dal tempio, da un'ira «mala»: pronunciando o cantando la 'beatitudine' evangelica Beati pacifici, l'angelo dantesco della mansuetudine specificherà: «che son sanz'ira mala» (Pg XVII 68-69).

Il peccato dell'ira

Evidentemente, però, dal momento che si rappresenta partecipe della punizione purgatoriale, Dante si riconosceva colpevole anche d'ira peccaminosa, o per lo meno di aver talvolta esagerato un po' nell'esercizio dell'altra: di ciò ci resta una singolare testimonianza in un passo del Convivio (IV xiv 11), opportunamente richiamato da qualche lettore, in cui lo scrittore afferma che alla «bestialitade» di coloro che hanno sulla nobiltà concezioni diverse dalle sue, si deve «rispondere... non con le parole ma col coltello».

Contrappasso dell'ira

Il contrappasso dell'ira è quanto mai ovvio: anzi non è che la trasposizione in figura di metafore della lingua comune, ancora oggi cosi usuali da aver quasi perduto il valore metaforico ('fumo dell'ira' accecato dall'ira).
Questo moto dell'anima era stato detto da Orazio, e ripetuto da innumeri, un «furor brevis», una breve pazzia che solo la ragione può dominare e guidare; e infatti Virgilio-ragione offre al discepolo l'omero perché vi si appoggi e possa cosi procedere sicuro nel buio.

La densità del quale è data da questo particolare, oltre e più che dalla descrizione d'apertura (1-3), per la quale il poeta richiama l'oscurità dell'Inferno e accumula tutte le circostanze che in terra producono il buio più fondo (una notte non illuminata da astri, un punto di vista angusto che permetta di vedere solo una piccola parte di cielo, ottenebrato da nuvole nella misura maggiore): così come, per rendere l'idea della luminosità dei sette candelabri nella processione del Paradiso terrestre accumulerà tutte le condizioni che rendono più luminosa la notte: «più chiaro assai che luna per sereno / di mezza notte nel suo mezzo mese» (Pg XXIX 53-54).

Gli effetti di luce son dal poeta qui accuratamente indicati: il buio avanza (fine del canto XV); diventa assoluto (inizio XVI); un primo albore s'irradia nel fumo (fine XVI); infine il progressivo diradarsi del fumo che permette la visione ancora incerta del disco solare e quindi la riconquista piena dei suoi raggi (inizio XVII). Gli accecati per l'ira recitano, come gli altri penitenti, una preghiera, che è l'Agnus Dei, per essi particolarmente adatta, sia perché rivolta a Cristo mansueto, pronto al sacrificio, come «l'agnello nella tradizione ebraica», sia perché invocante pace e misericordia.

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