Concetti Chiave
- Il poeta descrive una luce abbagliante proveniente dall'angelo della mansuetudine, che lo invita a salire al girone superiore e che supera l'intensità della luce solare.
- La legge della riflessione della luce viene usata per spiegare come la luce dell'angelo colpisca il poeta, paragonandola a una luce riflessa per sottolinearne l'insostenibilità.
- Viene favorita l'interpretazione che la luce angelica sia riflessa, simile a specchio, rappresentando la luce divina che abbaglia Dante.
- La luce riflessa da specchi, come quelli di Archimede, viene usata come metafora per la luce soprannaturale, mostrando la sua intensità e calorificità.
- Nel percorso del poeta, la capacità di sostenere la luce divina aumenta man mano che si sale nel cielo, un tema ricorrente nel Purgatorio e nel Paradiso.
Introduzione
Il poeta procede nella direzione del sole cadente, la cui luce gli batte sul volto; ma a un tratto si aggiunge una nuova e più abbagliante luce: essa emana, come sapremo, dall'angelo della mansuetudine, che si fa incontro ai pellegrini per invitarli a salire al girone superiore; ed è così intensa, che contro a essa non giova l'essersi fatto «il solecchio», non basta uno schermo; il poeta deve distogliere gli occhi: «non posso / schermar lo viso tanto che mi vaglia...».La legge della riflessione della luce
Per darci un'idea concreta di questa luce, il poeta ricorda (16-21) la legge della riflessione della luce, secondo cui l'angolo incidente è, rispetto alla perpendicolare alla superficie, uguale a quello di riflessione; e aggiunge (22-23): « così mi parve da luce rifratta [= riflessa] / quivi dinanzi a me esser percosso». Molte le interpretazioni; le principali son queste due: prima, Dante dice che la luce dell'angelo lo colpì direttamente, ma, per farci comprendere la sua insostenibilità, la paragona a una luce riflessa; seconda, la luce angelica è data dal poeta come effettivamente riflessa, sottintendendosi che la luce di Dio colpisce l'angelo, e questo, simile a specchio per la sua pura diafanità, la riflette sul poeta, abbagliandolo.Questa seconda è l'interpretazione giustamente favorita, soprattutto perché l'altra attribuirebbe a Dante l'opinione d'una maggiore intensità della luce riflessa rispetto a quella diretta: cosa che, come mi confermano due miei giovani e valorosi amici, studiosi di filosofia e di scienza medievali, A. Maieru e G. Stabile, è inammissibile anche per la scienza del tempo di Dante, la quale anzi sapeva già che la superficie d'incidenza assorbe una parte della luce che vi incide. Per converso, la maggiore luminosità della luce dell'angelo è ovvia, data la sua provenienza da Dio; ed è anche qualitativamente diversa, a questo punto del viaggio non sostenibile dall'occhio umano di Dante.
La luce riflessa grazie ad uno specchio
Questo motivo della non sostenibilità della luce emanante dagli esseri celesti e frequente nel Purgatorio (oltre che in questo canto, in II 37-40, VIII 34-36, TX 79-84, XXVIT 59-60), per diventare essenziale nel Paradiso (si veda almeno fra i molti esempi che si potrebbero addurre, Pd XXV 118-120). Via via che salirà nel cielo, la possibilità di fissare la luce aumenterà.Insomma, il poeta paragona la luce soprannaturale riflessa dell'angelo alla luce riflessa naturale; ma perché quest'ultima sia insostenibile, occorre che sia riflessa da una superficie atta a concentrarla, da uno specchio; e ad uno specchio, infatti, il poeta fa qui essenzialmente riferimento, pur menzionando per scrupolo scientifico, relativo alla legge generale, anche l'acqua.
Egli pensa in sostanza a una luce che per gioco o per altre ragioni ci sia diretta contro, per mezzo d'uno specchio: la maggiore intensità e calorificità di essa - dovuta alla concentrazione - era fenomeno ben noto alla scienza antica (si pensi agli specchi ustori di Archimede) e di comune esperienza. Allo stesso modo, per la gioia di poter dare al pronipote un fondamentale ammaestramento, la luce di Cacciaguida diventa più sfavillante, «corusca, / quale a raggio di sole specchio d'oro» (Pd XVII 122-123).