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  1. Oderisi da Gubbio
  2. Sottofondo autobiografico dell'episodio di Oderisi

Oderisi da Gubbio

La parte più rilevante del canto consiste tutta nel discorso d'un miniatore, Oderisi da Gubbio: alla menzione che Dante fa della sua gloria artistica, egli risponde che essa è già finita, è passata a un altro: così, aggiunge, è avvenuto della gloria di Cimabue, oscurata da quella di Giotto, o di Guido Guinizzelli, vinto nella nominanza da Guido Cavalcanti; e l'uno e l'altro Guido saranno forse vinti da un altro ancora, da Dante stesso; e si sottintende che nella perenne vicenda anche lui, Dante, passerà presto in secondo piano.

All'esempio personale (82-84), Oderisi da seguire una prima esclamazione: "Oh vana gloria de l'umane posse..." (91-93), a sua volta seguita (94-99) dagli esempi di Cimabue, di Guinizzelli, di Cavalcanti, di Dante. Quindi, una nuova e più ampia considerazione dell'essenziale vanità della fama (100-108); un altro esempio, tratto questo dal campo dell'azione politica, quello di Provenzano Salvani (109-114), e ancora un'esclamazione: "La vostra nominanza è color d'erba..." (115-117): si direbbe che il poeta non riesca a staccarsi da un tema affascinante. la conclusione è l'esplicita confessione di Dante di essersi, attraverso una meditazione che ora egli ha messa sulle labbra di Oderisi, liberato dalla superbia che gli veniva dalla sua gloria di poeta: "Tuo vero dir m'incora bona umiltà, e gran tumor m'appiani" (118-119).

Sottofondo autobiografico dell'episodio di Oderisi

Anzitutto, questi è un amico di Dante: un moto d'affetto li spinge l'uno verso l'altro: per Oderisi il vederlo il riconoscerlo il chiamarlo è tutt'uno (76), egli si torce sotto il masso per guardare Dante, questi si piega e procede piegato per porsi al livello dell'amico ("tenendo li occhi con fatica fisi a me che tutto chin con loro andava" 77-78). Un moto non dissimile da quello degli episodi di Casella, di Belacqua, di Nino, poi di Forese (Purgatorio XXIII 46 ss.): tutti morti da poco, come Oderisi.

Con tutti questi amici Dante riprende per un momento vecchie abitudini di vita comune. Come con Forese rievocherà, per allontanarle da sé, la vita e la poesia men degne che aveva avute in comune con l'amico, così ora allontana da sé la superbia per l'eccellenza artistica, che era stata anche di quest'altro amico, e forse rievoca dolorose considerazioni in proposito fatte insieme. Dice Oderisi che, per la superbia, è desiderio smodato di eccellenza ("superbia dicitur esse amor propriae excellentiae, in quantum ex amore causatur inordinata praesumptio alios superandi", Tommaso, Summa theol.), non avrebbe mai in vita riconosciuto la superiorità d'un altro (85-87); risponde Dante confessando il tumor suo proprio (118-119).

Oderisi è certo il portavoce di Dante.

Questo sfondo autobiografico ci porta a prender posizione tra color che nel passo "e forse è nato chi l'uno e l'altro caccerà del nido (98-99)", vedono un'allusione di Dante a sé stesso. L'obiezione che si muove a questa opinione è che sarebbe strano che Dante affermasse la sua eccellenza proprio in un girone dove espiano coloro che s'inorgoglirono di tale eccellenza, e per nocca d'uno di essi. Ma l'obiezione è persuasiva solo in apparenza; in realtà è estremamente fragile, dal momento che il poeta propone, e larvatamente, sé stesso come esempio non già di gloria duratura, ma d'un momento di gloria destinato a dileguare presto. Nè a dire, con alcuni, che lasciando assolutamente indeterminato, senza allusione ad alcuna persona, il successore di Guinizzelli e di Cavalcanti, la regola della fugacità della fama sarebbe rinforzata; al contrario, come ha ben visto il Sapegno, essa è ribadita da un esempio tratto da sé stesso, e, si aggiunga, dal fatto che il porta si dichiarò presto convinto di quella fugacità: e questa meditazione non poteva non prendere in considerazione anche la fama sua propria e la sua probabile proiezione nel tempo.

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