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Concetti Chiave

  • La figura dell'aquila, formata da anime beate, parla in prima persona, simbolizzando giustizia e pietà divina, unendo le voci di grandi uomini che si ispiravano a questi valori.
  • La giustizia divina è presentata come inseparabile dall'amore, rivelando una visione più alta della giustizia rispetto a quella umana, e sottolinea la sottomissione alla volontà divina.
  • L'unione degli spiriti è paragonata a un'unica voce di carità, mentre l'aquila chiarisce che l'intelletto umano non può comprendere appieno la giustizia divina senza la guida della Sacra Scrittura.
  • Il libro della giustizia divina annota le azioni dei sovrani, illustrando le conseguenze delle loro scelte e la giustizia divina che supera le valutazioni umane.
  • Il destino di Ungheria e Navarra è prefigurato come soggetto a tirannia, riflettendo sulle condizioni politiche e morali del tempo, e il ruolo dell'aquila come simbolo di giustizia universale.

Indice

  1. La visione dell'aquila
  2. Giustizia e amore divino
  3. L'unione degli spiriti
  4. Il libro della giustizia divina
  5. Le azioni dei re
  6. Il destino di Ungheria e Navarra

La visione dell'aquila

Davanti a me si mostrava con le ali aperte la bella figura dell’aquila che era formata dalle anime riunite insieme, liete nel godimento della loro beatitudine:

ogni anima sembrava un piccolo rubino nel quale risplendesse un raggio di sole così vivo, da riflettere nei miei occhi il sole stesso.

E quello che ora devo raccontare, non fu mai detto, né scritto, né concepito da alcuna fantasia,

perché io vidi e anche udii il becco dell’aquila parlare, e dire con la sua voce “ io ” e “ mio ”, mentre logicamente avrebbe dovuto dire “ noi ” e “ nostro ”.

E l’aquila cominciò: “ Per aver esercitato (sulla terra) giustizia e pietà io sono qui innalzata alla gloria celeste che supera (non si lascia vincere) ogni umano desiderio;

e sulla terra lasciai una tale memoria di me, che perfino le genti malvage del mondo sono costrette a lodarla, anche se non imitano le opere da me compiute (la storia)”.

Giustizia e amore divino

Parlano, ad una sola voce, i grandi uomini dell'Impero, per affermare di essersi ispirati, nella loro attività terrena, alla giustizia e alla carità, le due vie attraverso le quali opera Dio (Paradiso VII, 103-105) e quindi opera l'1mpero, da Dio stabilito nel mondo ( cfr. Canto   19 Paradiso - Parafrasi articoloMonarchia 1, Xl, 13-14; Epistola V, 7). La giustizia vera, dunque, è inseparabile dall'amore: si ripete, nell'affermazione alta e squillante dell'aquila (per esser giusto e pio ), il senso di esultante scoperta e di fervido approdo che il Poeta ha sperimentato all'apparire dell'aquila (o dolce stella, quali e quante gemme...). Lì Dante aveva trovato, in uno splendore di rivelazione, la certezza che la giustizia divina è l'unica vera fonte di ogni giustizia umana, qui prende coscienza che questa giustizia è anche amore: " Il pellegrino... ritrova ora un senso assai più alto della giustizia di quello per cui aveva tanto combattuto nel mondo. E' per lui un sollevarsi dalla parzialità e dagli errori del mondo a una visione assai più alta e luminosa" (Montano).

A completamento e approfondimento di quanto' il Poeta è venuto affermando, l'aquila spiegherà che la giustizia vera è quella per la quale l'uomo si sottomette a Dio. conformandosi alla volontà divina, anche là dove questa volontà appare simile al fondo inconoscibile di un grande mare (versi 58-63). Anche se il comandamento della giustizia è rivolto ai reggitori della terra, il concetto di giustizia del cielo di Giove va ben oltre il campo dei semplici valori politici o della virtù civica di cui avevano parlato Aristotile e tutto il mondo classico, Non si tratta più di stabilire la condotta del giusto mezzo secondo natura e secondo ragione, ma di instaurare un rapporto personale fra l'uomo e Dio, in base al quale la creatura accetta come giusto solo ciò che viene da Lui, perché il resto è tenebra, od ombra della carne, o suo veleno (versi 65-66).

L'unione degli spiriti

Come da molti carboni accesi proviene un unico calore, così ora da parte di molti spiriti ardenti di carità usciva un’unica voce dalla figura dell’aquila.

Perciò io subito dopo dissi: “ O fiori immortali della gioia eterna, che mi fate sembrare una sola tutte le vostre voci, allo stesso modo in cui da molti fiori emana un unico profumo,

scioglietemi, parlando, il grave dubbio che da lungo tempo mi tormenta, non trovando per esso sulla terra alcuna soluzione soddisfacente.

Io so bene che se la giustizia divina in cielo si specchia direttamente in un altro ordine di intelligenze, tuttavia anche (nella vostra sfera) si manifesta senza essere offuscata da alcun velo.

Voi sapete come mi preparo ad ascoltarvi con attenzione; voi sapete qual è il dubbio che costituisce per me un tormento così antico ”.

Come il falcone che viene liberato dal cappuccio, alza il capo e muove festoso le ali, dimostrando il desiderio (di alzarsi in volo) e aggiustandosi le penne col becco,

così vidi atteggiarsi l’aquila , che era formata di anime che lodavano la grazia divina, con canti che conosce solo chi è beato lassù.

Poi comincio: “ Dio, colui che creando girò il compasso a tracciare gli estremi confini del mondo, e in questo dispose ordinatamente tante cose occulte e visibili,

non poté imprimere la sua infinita perfezione in tutto l’universo in modo tale, che l’idea della sua mente non restasse infinitamente superiore rispetto alle cose create.

E ciò è confermato dal fatto che Lucifero, il quale fu la più alta creatura, per non aver atteso la luce della Grazia, precipitò imperfetto dal cielo:

e di qui appare chiaro che ogni creatura inferiore (a Lucifero) è un vaso troppo piccolo per contenere Dio, il Bene infinito, il quale non può essere misurato se non con se stesso.

Dunque la nostra intelligenza, che deve essere un raggio riflesso della mente divina di cui sono piene tutte le cose,

non può, sua natura, essere tanto potente da non dovere riconoscere che la mente di Dio, suo principio, va molto al di là di quello che essa può vedere.

Perciò l’intelletto che voi mortali ricevete (dal Creatore), si può addentrare nella giustizia divina, come l’occhio può vedere nelle profondità del mare;

il quale occhio, benché dalla riva riesca a scorgere il fondo, non lo vede più quando si trova in alto mare; e tuttavia il fondo c’è, ma lo nasconde la sua profondità.

Non c’è (per l’intelletto umano) luce di verità, se non viene dalla luce eternamente serena (della mente divina); quella che non viene di là è ignoranza , o nozione offuscata dai sensi (della carne), o velenoso errore provocato da essi.

Adesso ti è possibile guardare nella segreta profondità che ti celava la giustizia del Dio vivente, per cui ti ponevi una domanda così frequentemente ripetuta;

poiché tu dicevi: “Un uomo nasce sulle rive del fiume Indo, e qui non c’è né chi parli né chi insegni né chi scriva di Cristo;

e tutti i suoi sentimenti e i suoi atti sono buoni, per quanto può giudicare la ragione umana, senza peccato nelle opere o nelle parole.

Costui muore senza battesimo e senza la fede: che giustizia è questa che lo condanna? dove sta la sua colpa, se egli non crede?”

Ora chi sei tu che vuoi salire sul seggio del giudice, per dare un giudizio su cose lontane da te mille miglia con la tua vista che non vede al di là di un palmo?

Certamente avrebbe motivo di dubitare colui che fa sottili ragionamenti riguardo al mistero della giustizia ( meco: l’aquila è simbolo della giustizia), se a guidarvi non ci fosse la Sacra Scrittura.

Oh uomini che vivete come bruti! oh ottuse menti umane! La volontà divina, che è buona per sua natura, non si allontana mai dal principio con il quale si identifica, il sommo Bene.

E’ giusto tutto quello che si conforma a lei: nessun bene creato può‘ attrarre a se la volontà divina, anzi proprio essa, irradiandosi, genera il bene creato ”.

Come la cicogna dopo aver nutrito i figli gira volando sopra il nido, e come il cicognino che si è pasciuto volge gli occhi verso di lei,

così fece la benedetta figura dell’aquila, che agitava le ali mosse dalle molteplici volontà concordi (degli spiriti da cui era formata), io (come il cicognino) alzai gli occhi a guardarla.

Girando intorno cantava, e diceva: “ Come riescono incomprensibili le parole del mio canto a te, che non sei capace d’intenderle, così è incomprensibile il giudizio divino a voi mortali ”.

Dopo che quelle luci, che erano fiamme di carità accese dallo Spiríto Santo, si fermarono sempre disposte nella figura dell’aquila che rese i Romani degni di riverenza davanti al mondo,

l’aquila riprese: “ In paradiso non salì mai nessuno che non avesse creduto in Cristo, sia prima sia dopo che egli fosse inchiodato sulla croce.

Ma considera questo: molti che gridano “Cristo, Cristo!”, nel giorno del giudizio finale saranno assai meno vicino a Lui del pagano che non lo ha conosciuto;

e (anche) un infedele etiope potrà condannare siffatti cristiani, quando (nel giorno del giudizio) si divideranno le due schiere (collegi, l’una destinata all’eterna ricchezza (del paradiso), e l’altra destinata all’eterna miseria (dell’inferno) .

Che cosa non potranno dire gli infedeli persiani ai vostri principi, quando vedranno aperto il libro nel quale sono registrate tutte le loro azioni spregevoli ?

Il libro della giustizia divina

In quel libro si vedrà scritta, tra le imprese dell’imperatore Alberto I, quella che presto indurrà la penna divina a registrarla, e a causa della quale sarà devastato il regno di Boemia con Praga, la sua capitale.


L'imperatore Alberto d'Asburgo (cfr. Purgatorio VI, 97 sgg.) invase e devasto il regno di Boemia, conquistandone la capitale, Praga, nel 1304 e togliendola a Venceslao IV, suo cognato.

In quel libro si vedrà il doloroso danno che, falsificando la moneta arrecherà alla Francia Filippo il Bello che morirà per il colpo di un cinghiale.

In quel libro si vedrà la superbia sitibonda di dominio, che acceca il re di Scozia e quello d’lnghilterra, in modo che nessuno dei due può sopportare di rimanere entro i propri confini.

Si vedranno la lussuria e la vita effeminata del re di Spagna e del re di Boemia, che mai seppe né mai volle sapere che cos’è la virtù.

Si vedranno segnate le opere dello Zoppo di Gerusalemme, le opere buone con una I, mentre quelle malvage con una M.

Nel libro della giustizia divina Carlo II d'Angiò, lo Zoppo, re di Napoli (cfr. Purgatorio XX, 79-81), insignito del titolo di re di Gerusalemme, vedrà le proprie opere buone indicate con I, cioè " uno", e quelle malvage con M, cioè " mille".

"Le due lettere sono la prima e l'ultima della parola Jerusalem, che quasi certamente deve aver suggerito a Dante la bizzarra trovata del rapporto numerico tra i meriti e le colpe del Ciotto, anche in dispregio di quel vano titolo regale." (Chimenz)

Le azioni dei re

Si vedranno l’avarizia e la viltà di colui che regna sulla Sicilia, l’isola del fuoco etneo, dove Anchise terminò la sua lunga vita;

e per far capire che uomo dappoco egli sia, la scrittura che lo riguarda sarà in parole abbreviate, che noteranno in poco spazio molte opere malvage.

E saranno visibili a ognuno le opere vergognose dello zio e del fratello di Federico, che hanno disonorato la così nobile stirpe degli Aragonesi e le due corone d’Aragona e di Sicilia.

Ignobili sono anche le azioni dello zio di Federico, Giacomo, re di Maiorca, e del fratello, Giacomo II, re di Sicilia e d'Aragona (cfr. Purgatorio VII, 119, 120) .

Barba, " zio ", è termine dialettale, in uso particolarmente nell'Italia settentrionale.

E lì si saprà chi furono il re di Portogallo e quello di Norvegia, e il re di Rascia, che per proprio danno conobbe la moneta veneziana.

Oh felice l’Ungheria se non si lascia più malmenare dai suoi re ( come nel passato)! e felice il regno di Navarra se si fa scudo dei Pirenei che lo circondano!

Mentre Dante scriveva questi versi era re d'Ungheria Carlo Roberto d'Angiò (1301-1342), "signore di grande valore e prodezza" (Villani, Cronaca XII, 6), figlio di Carlo Martello (Paradiso V111, 46 sgg.).

I Pirenei non furono sufficienti al regno di Navarra per difendersi dalla egemonia francese. Infatti dopo la morte di Enrico I il regno fu governato dalla figlia Giovanna, che nel 1284 andò sposa a Filippo il Bello, re di Francia. Alla morte di lei ( 1304) salì sul trono di Navarra il figlio, Luigi X, che alla morte del padre, nel 1314, divenne anche re di Francia.

Il destino di Ungheria e Navarra

E ognuno sappia che ora, come saggio (di quello che accadrà all’Ungheria e alla Navarra), Nicosia e Famagosta si lamentano e gridano per la tirannia del loro re bestiale,

il quale non si scosta dall’esempio degli altri re, simili a bestie come lui.

Presto anche l'Ungheria e la Navarra soffriranno sotto il dominio francese le vessazioni che già sono costrette a subire Nicosia e Famagosta, le due città più importanti dell'isola di Cipro, sotto il governo di Arrigo II di Lusignano (1285-1324), principe di origine francese.

Anche se l'indagine storica potrebbe contestare la validità di alcune affermazioni del Poeta a proposito dei malvagi reggitori cristiani d'Europa, il quadro dantesco, "in virtù della sintesi, tocca l'essenza del problema politico e il punto programmatico di una visione della storia" (Fallani). L'lmpero vacante (tale esso era per Dante dal 1250, anno della morte di Federico II) e la politica della Chiesa, desiderosa di affermare la propria autorità anche in campo temporale, hanno provocato l'anarchia in tutta l'Europa favorendo, a danno della feudalità, l'ingrandirsi dei Comuni, la lotta fra città e città, nazione e nazione, e le mire espansionistiche della casa di Francia. Il Mattalia così conclude le sue precise osservazioni su questo canto: "La scritta formata dalle anime, si ricordi (cfr. Paradiso XVIII, 91-931, era indirizzata ai reggitori dei popoli, protagonisti e responsabili massimi della giustizia in terra. Insegna universale, nesso simbolico della diade Dio- Impero , superiore coscienza etica e speculativa, l'aquila rappresenta il problema della giustizia nella sua istanza più alta ed ampia, la sua giurisdizione estendendosi a tutta l'umanità: e perciostesso è la più alta corte di giustizia alla quale si possano chiamare al " redde rationem " i principi contemporanei, imperatori compresi .

Domande da interrogazione

  1. Qual è la visione dell'aquila descritta nel testo?
  2. La visione dell'aquila è una figura formata da anime beate che appaiono come piccoli rubini riflettenti la luce del sole. L'aquila parla con una voce unica, rappresentando giustizia e pietà, e lascia una memoria di sé che anche i malvagi sono costretti a lodare.

  3. Come viene descritta la giustizia divina nel testo?
  4. La giustizia divina è inseparabile dall'amore e rappresenta la vera fonte di ogni giustizia umana. È una giustizia che richiede sottomissione alla volontà divina, anche quando questa appare incomprensibile, e va oltre i semplici valori politici o virtù civiche.

  5. Cosa rappresenta l'unione degli spiriti nell'aquila?
  6. L'unione degli spiriti nell'aquila è paragonata a molti carboni accesi che producono un unico calore. Da questi spiriti ardenti di carità esce una sola voce, simile a un unico profumo da molti fiori, che risolve i dubbi del Poeta sulla giustizia divina.

  7. Quali azioni dei re vengono criticate nel testo?
  8. Il testo critica le azioni di vari re, tra cui l'imperatore Alberto I per la devastazione della Boemia, Filippo il Bello per la falsificazione della moneta, e i re di Scozia e Inghilterra per la loro sete di dominio. Vengono menzionate anche le azioni vergognose dei re di Spagna, Boemia, e Sicilia.

  9. Qual è il destino previsto per Ungheria e Navarra?
  10. Il destino di Ungheria e Navarra è descritto come soggetto a sofferenze sotto il dominio francese, simili a quelle già subite da Nicosia e Famagosta sotto il governo di un re tirannico. Il testo sottolinea l'anarchia in Europa causata dall'assenza di un impero forte e dalla politica espansionistica della Francia.

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