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Canto primo

VERSI 1 – 12: D – Dante si ritrova, a metà del

ANTE SI SMARRISCE IN UNA SELVA OSCURA

cammino della vita, in una selva oscura. L’orrore di essa, selvaggia, irta, intricata di

pruni, rinnova il timore al solo pensarvi. Né il poeta si è accorto di esservi entrato,

perché il suo animo era assonnato e intorpidito.

1 Nel mezzo del cammin di nostra vita

2 mi ritrovai per una selva oscura

3 ché la diritta via era smarrita.

4 Ah quanto a dir qual era è cosa dura

5 esta selva selvaggia e aspra e forte

6 che nel pensier rinova la paura!

7 Tant'è amara che poco è più morte;

8 ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,

9 dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

10 Io non so ben ridir com'i' v'intrai,

11 tant'era pien di sonno a quel punto

12 che la verace via abbandonai.

Il mezzo del cammin di nostra vita è il trentacinquesimo anno, perché come si legge

“Tutte le terrene vite … convengono essere quasi ad immagine d’arco

nel Convivio:

assomiglianti … lo punto sommo di questo arco … ne li più credo sia tra il trentesimo e

quarantesimo anno, e io credo che ne li perfettamente naturati esso ne sia nel

trentacinquesimo anno” (Convivio IV – XXIII 6-10).

La nascita di Dante nel 1265 pone il momento dell’azione del poema nel 1300 (data

che anche per altre indicazioni è ormai comunemente accolta).

Mi ritrovai il poeta ha coscienza di aver deviato dalla retta via e si rende conto della

propria condizione.

selva oscura

La raffigura la vita peccaminosa e, poiché il significato allegorico del

poema è duplice, personale e universale (in quanto Dante rappresenta sé stesso e

selva,

l’umanità), la nel significato allegorico personale, viene a raffigurare la vita

peccaminosa del poeta dopo la morte di Beatrice e, nel significato allegorico

universale, la vita peccaminosa dell’umanità per la confusione del potere temporale e

spirituale.

diritta via

La è la via del bene che il poeta dice di avere smarrito, non perduto, poiché

spera di ritrovarla.

Dante (in cui il simbolo tende sempre a farsi realtà) vuole darci un’idea più concreta di

quella selva, di cui sente ancora tutto l’orrore.

selvaggia, aspra,

La selva è denominata perché incolta e disabitata; perché intricata e

forte, selva selvaggia

spinosa; perché difficile a traversare. ( = è una figura retorica

della paronomasia, che unisce due parole di suono uguale o affine, conforme al gusto

retorico medievale – v. 5).

Ma Dante, per cui la selva è cagione di un’amarezza quasi mortale (essa, rappresenta

il peccato, rappresenta la morte momentanea dell’anima) ne tralascia ben presto la

descrizione, che potrebbe spaventare il lettore, e ci mostra invece in qual modo egli

riuscì a sottrarsi da essa (v. 7-9).

Il bene che egli trovò nella selva non può che essere Virgilio, sebbene egli lo ritrovasse

non proprio dentro la selva, ma ai piedi del colle luminoso. Virgilio è l’aiuto

sovrannaturale che libera il poeta dalla condizione di smarrimento: le altre cose scorte

saranno le tre fiere, cioè l’impedimento da cui Virgilio lo libererà.

I

Invece, se si vuole dare al bene trovato un significato più vasto (improvvisa presa di

coscienza da parte del peccatore del proprio stato, il tendere verso un totale

rinnovamento spirituale, un’esperienza interiore del personaggio di Dante) allora

dovremmo intendere quelle altre cose come tutto ciò che è avvenuto nella selva: il

tentativo di salire il colle luminoso, l’apparizione delle fiere, quella improvvisa e

provvidenziale di Virgilio e, infine, la decisione di un diverso viaggio da compiere per il

raggiungimento del fine sperato. io

Si noti in questi, e nei versi successivi, la frequente ripetizione del pronome , con cui

il poeta insiste sulla sua personale esperienza, poiché egli è nello stesso tempo autore

ed attore.

Dante non sa dire come s’addentrasse tanto nella selva, perché, appena abbandonata

la via della virtù, l’anima si lascia di torpore e diventa a poco a poco prigioniera dei

vizi; ma sa bene che, appena uscito dalla selva, ebbe una luminosa visione (v. 10-12).

sonno

Al v.11 con si intende il torpore dell’anima, generato dallo stato peccaminoso.

verace via

Mentre al verso successivo, la è la diritta via del v.3, quella che porta a Dio,

da cui il poeta aveva deviato a causa del traviamento spirituale, che gli sarà

apertamente rimproverato da Beatrice nel Paradiso terrestre.

VERSI 13 – 30: I – Il poeta, giunto al limite della selva,

L COLLE ILLUMINATO DAL SOLE

scorge un colle, la cui cima è illuminata dal sole. Come il naufrago che, uscito dal

pericolo, si volge al mare da cui è riuscito a salvarsi, Dante volge lo sguardo verso la

selva rimasta alle sue spalle e, dopo un breve riposo per rinfrancare le forze, riprende

il cammino verso l’erta del colle.

13 Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,

14 là dove terminava quella valle

15 che m'avea di paura il cor compunto,

16 guardai in alto, e vidi le sue spalle

17 vestite già de' raggi del pianeta

18 che mena dritto altrui per ogni calle.

19 Allor fu la paura un poco queta

20 che nel lago del cor m'era durata

21 la notte ch'i' passai con tanta pièta.

22 E come quei che con lena affannata

23 uscito fuor del pelago a la riva

24 si volge a l'acqua perigliosa e guata,

25 così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,

26 si volse a retro a rimirar lo passo

27 che non lasciò già mai persona viva.

28 Poi ch'ei posato un poco il corpo lasso,

29 ripresi via per la piaggia diserta,

30 sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.

colle

Il si contrappone alla selva oscura; infatti esso è illuminato dai raggi del sole, che

simbolicamente significano la Grazia illuminante. Il colle simboleggia la vita virtuosa,

pianeta

che conduce alla felicità naturale: il (cioè il sole, che secondo l’astronomia del

tempo, era uno dei sette pianeti) simboleggia la luce di Dio, che illumina e assiste chi

vive virtuosamente.

La vista del colle illuminato dal sole riconforta un poco il poeta, che si sente ormai

liberato dalle tenebre del peccato e avviato verso la redenzione e che, intuendo la

solennità del momento, si sofferma ad analizzare il suo stato d’animo mediante

un’efficace similitudine (la prima delle 597 similitudini del poema).

II

valle,

La ai piedi del colle, è identificabile con la selva oscura.

Dal v.21 si comprende che il poeta ha trascorso tutta la notte errando per la selva.

Anche la notte andrà intesa, al di là del significato letterale, come condizione spirituale

di Dante che si è allontanato dalla retta via. Perciò la selva e la notte vengono a

contrapporsi, sia nel significato letterale, sia in quello metaforico, al colle e al sole.

E come quei … guata

Ai v.22-24 – – è una similitudine perfettamente intonata allo

stato psicologico di Dante che, uscito dalla selva, si volge indietro a guardare il luogo

da cui è sfuggito. lo passo che non lasciò già mai persona viva

Bisogna poi precisare che , è il luogo

attraverso cui il poeta è passato, ossia la selva; e poiché la selva rappresenta la vita

peccaminosa, essa (il senso allegorico prevale qui su quello letterale) conduce alla

morte dell’anima, alla dannazione eterna.

Gli ultimi tre versi ci dicono che dopo avere un momento riposato il corpo affaticato

per il lungo e vano errare nella selva, il poeta s’incammina verso il colle luminoso per

un pendio solitario.

piaggia

La è il pendio che si stende tra la selva e il colle, e che, allegoricamente,

rappresenta lo stadio di transizione tra la vita peccaminosa e la vita virtuosa.

diserta,

Essa è ossia solitaria, perché pochi sono coloro che si ravvedono per seguire la

via della virtù. (si che ‘l piè fermo sempre era ‘l più basso

L’ultimo verso ) è tra i più discussi del

poema: si tratta di un verso alquanto infelice per il senso letterale, che forse è da

intendere solo sul piano allegorico. Nel senso letterale vorrà forse indicare un

cammino in salita, ma l’espressione è da completare con la conclusione a cui giunse il

“Non salivo con passo franco e spigliato, bensì mettendo

D’Ovidio, che parafrasa:

avanti il piede con poca vigoria e sicurezza piè

”. Sulla base poi di alcuni testi, dando al

fermo il valore di “piede sinistro”, allegoricamente significante gli appetiti dell’anima,

l’espressione nel suo senso metaforico vorrà dire che il cammino di Dante, che sembra

aver ritrovato la via che porta al bene, è ancora impedito dalle passioni terrene.

VERSI 31 – 60: A : D – Proprio

PPARIZIONE DI TRE FIERE ANTE RETROCEDE VERSO LA SELVA

mentre il poeta inizia la salita gli si para dinanzi una lonza leggera e veloce che gli

sbarra il cammino. Il momento favorevole dell’ora e della stagione (la mattina

dell’equinozio di primavera) sembra ridare momentaneamente al poeta la speranza di

raggiungere la sommità del colle, speranza che svanisce del tutto all’apparizione di un

leone che avanza minaccioso ruggendo e di una lupa magra e affamata. Questa anzi,

movendo contro Dante, lo ricaccia poco a poco nella selva oscura.

31 Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,

32 una lonza leggiera e presta molto,

33 che di pel macolato era coverta;

34 e non mi si partia dinanzi al volto,

35 anzi 'mpediva tanto il mio cammino,

36 ch'i' fui per ritornar più volte volto.

37 Temp'era dal principio del mattino,

38 e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle

39 ch'eran con lui quando l'amor divino

40 mosse di prima quelle cose belle;

41 sì ch'a bene sperar m'era cagione

42 di quella fiera a la gaetta pelle

43 l'ora del tempo e la dolce stagione;

44 ma non sì che paura non mi desse

45 la vista che m'apparve d'un leone.

46 Questi parea che contra me venisse III

47 con la test'alta e con rabbiosa fame,

48 sì che parea che l'aere ne tremesse.

49 Ed una lupa, che di tutte brame

50 sembiava carca ne la sua magrezza,

51 e molte genti fé già viver grame,

52 questa mi porse tanto di gravezza

53 con la paura ch'uscia di sua vista,

54 ch'io perdei la speranza de l'altezza.

55 E qual è quei che volontieri acquista,

56 e giugne 'l tempo che perder lo face,

57 che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;

58 tal mi fece la bestia sanza pace,

59 che, venendomi 'ncontro, a poco a poco

60 mi ripigneva là dove 'l sol tace.

Ma ecco che appena il poeta sta per mettere il piede sulla salita del colle, gli appaiono

davanti agli occhi, una dopo l’altra tre fiere, una lonza (nome ambiguo per la zoologia

medievale, forse una pantera o un leopardo), un leone e una lupa, che, suo malgrado,

gli impediscono di procedere e lo respingono verso la selva.

Il significato simbolico di ciascuna di queste è dagli antichi commentatori quasi

lussuria superbia

universalmente indicato nella per la lonza, nella per il leone e nella

cupidigia avarizia

o per la lupa. al cominciar dall’erta),

Dante è appena al principio della salita ( quando gli appare una

leggera e presta molto,

lonza della pelle screziata, la quale gli impedisce il cammino in

modo così risoluto da indurlo più volte a ritornare indietro. E’ il principio del mattino e

il sole si trova nella costellazione dell’Ariete, come quando Dio creò gli astri, così per

l’ora mattutina e la dolce stagione di primavera lo inducono a sperare bene di quella

(alla gaetta pelle);

fiera dalla pelle screziata ma ecco apparire improvvisamente un

con la test’alta e con rabbiosa fame

leone che gli viene incontro e, dopo il leone, una

che di tutte brame – sembiava carca nella sua magrezza

lupa, e che già avevo reso

molti infelici. Quest’ultima specialmente, con il suo aspetto pauroso, gli incute tanto

timore che egli perde la speranza di raggiungere la cima del colle:

La lonza, che ha l’aspetto agile e guizzante e la pelle screziata di vari colori, si pone

immobile dinnanzi al poeta, tanto che questi è tentato più volte di tornare indietro; ma

l’ora mattutina (l’ora più bella del giorno) e la dolce stagione di primavera (la stagione

più bella dell’anno, quando, essendo il sole in Ariete, Dio creò il mondo) suscitano in

lui una gradevole impressione, tanto che egli non perde ogni speranza.

Il leone, che sembra avanzare in modo minaccioso (si noti la vigorosa

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