Concetti Chiave
- Dante esprime il suo rammarico per l'esilio imposto dai cittadini di Firenze, che ha causato sofferenza e povertà.
- L'esilio ha portato Dante a viaggiare come un mendicante, mostrando la sua sfortuna, e ha influenzato negativamente la percezione delle sue opere.
- Dante paragona la sua situazione a una nave senza vela, portata dalla povertà verso destinazioni sconosciute e sfavorevoli.
- Il commento moderno evidenzia come il tono e la gravità del Convivio siano un mezzo per Dante di ottenere autorità nonostante l'umiliazione dell'esilio.
- Il tema dell'esilio è centrale nell'opera di Dante, rappresentando sia una perdita personale che un'occasione per riaffermare la propria dignità.
Indice
Lamentazioni di Dante sull'esilio
“Ahi, piaciuto fosse al dispensatore de l’universo che la cagione de la mia scusa mai non fosse stata! ché né altri contra me avria fallato, né io sofferto avria pena ingiustamente, pena, dico, d’essilio e di povertate. Poi che fu piacere de li cittadini de la bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno – nel quale nato e nutrito fui in fino al colmo de la vita mia, e nel quale, con buona pace di quella, desidero con tutto lo cuore di riposare l’animo stancato e terminare lo tempo che m’è dato –, per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contra mia voglia la piaga de la fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata.
Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertad; e sono apparito a li occhi a molti che forseché per alcuna fama in altra forma m’aveano imaginato, nel cospetto de’ quali non solamente mia persona invildo, ma di minor pregio si fece ogni opera, sì già fatta, come quella che fosse a fare”.Dante e la sua condizione di esule
Nei capitoli precedenti, Dante dice che la materia del Convivio sarà piuttosto dura e faticosa: di ciò si scusa, adducendo come motivo la sua condizione di esule. In altre parole, con la gravità e il tono sostenuto della sua opera, egli mira ad acquisire quella autorità che non gli può certo derivare dalle sua umiliante condizione di esiliato.
“Ahimè, se a Dio, dispensatore dell’universo, fosse piaciuto di evitargli l’esilio, e se altri non avessero commesso errori, né io avessi sofferto l’ingiusta pena dell’esilio e della povertà!,[ ora io non avrei avuto alcun motivo di lamentarsi]. Poiché i cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, Firenze, hanno avuto il piacere di allontanarmi con la forza dal suo dolce seno - in cui nacqui e vissi fino al sommo dell’arco della mia vita [Dante era stato esiliato nel 1300, dopo 36 anni trascorsi a Firenze. Poiché a quel tempo la durata della vita era indicata a 70 anni, arrivare a 35/36 anni era come dire di essere arrivato al culmine dell’esistenza. D’altra parte la Divina commedia inizia con il verso: “Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai in una selva oscura…” che corrisponde ai 35 anni.] e in cui non essendo rientrato con la violenza, desidero con tutto cuore riposare l’animo stanco e terminare i giorni che mi sono dati ancora da vivere – per tutte quelli parti di questa opera in cui ho fatto uso di questa lingua, nelle vesti di esule, quasi chiedendo l’elemosina, ho girovagato, mostrando controvoglia, il ruolo sfavorevole avuto dalla fortuna nei miei confronti, la cui responsabilità [di quanto è successo, della sconfitta subita] viene ingiustamente addebitata all’esiliato [e in senso più generale al vinto].
A dire il vero, io sono stato come una nave senza vela e senza timone, trasportato verso porti, foci di fiumi e lidi diversi da un vento sfavorevole esalato dalla povertà; agli occhi di molti sono apparso come colui che, forse, mi immaginavano famoso per un certo motivo e sotto un’immagine diversa; a cospetto di costoro non soltanto la mia persona perse prestigio, ma ogni opera [da me compiuta fino ad allora] e quelle che avrei portato a termine in seguito, fu deprezzata.”
Il sogno di Dante di tornare
In letteratura, il tema dell’esilio è ricorrente. Per Dante, esso ha due conseguenze negative: estromissione da tutto ciò che è legato agli affetti del luogo e la diminuzione della reputazione e lo svilimento delle proprie opere, passate e future. Tuttavia, il poeta conserva ancora il sogno di un rientro in patria e di una riabilitazione del suo valore. Si tratta di un tema che nell’opera di Dante ricorre spesso, come nel canto XXV del Paradiso in cui la speranza di ritornare a Firenze come poeta non lo ha ancora abbandonato.
Rifiuto di Dante di umiliarsi
Tuttavia, quando nel 1315, gli venne offerta la possibilità di un ritorno in patria, a patto che accettasse di umiliarsi pubblicamente, Dante rifiutò in nome della consapevolezza e della difesa della propria dignità.
Domande da interrogazione
- Qual è il motivo principale delle lamentazioni di Dante sull'esilio?
- Come descrive Dante la sua condizione di esule?
- Qual è il sogno di Dante riguardo al suo esilio?
- Perché Dante rifiutò l'opportunità di tornare a Firenze nel 1315?
- Quali sono le conseguenze negative dell'esilio per Dante?
Dante lamenta l'esilio e la povertà ingiustamente subiti, desiderando che la causa della sua scusa non fosse mai esistita, poiché ciò lo ha costretto a vivere come un mendicante lontano da Firenze.
Dante si paragona a una nave senza vela e senza timone, trasportata da un vento sfavorevole causato dalla povertà, che lo ha portato a perdere prestigio e a vedere le sue opere svalutate.
Dante sogna di poter tornare a Firenze e riabilitare il suo valore, un tema ricorrente nella sua opera, come nel canto XXV del Paradiso.
Dante rifiutò di tornare a Firenze perché non voleva umiliarsi pubblicamente, scegliendo di difendere la propria dignità.
L'esilio comporta per Dante l'estromissione dagli affetti del luogo e la diminuzione della reputazione, oltre allo svilimento delle sue opere passate e future.