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foreste che poneva un freno allo sfruttamento indiscriminato delle foreste tropicali; una convenzione
sulla biodiversità, che introduceva il principio della conservazione della diversità biologica, l'uso
sostenibile di tutte le sue componenti e una distribuzione equa dei benefici derivanti dall'utilizzo delle
risorse genetiche; una convenzione sul cambiamento climatico che conteneva un programma di
abbattimento graduale dei gas serra e una serie di indicazioni pratiche per realizzarlo.
Questa convenzione, firmata da numerosi Stati, non venne firmata dagli Stati Uniti, i maggiori
produttori di anidride carbonica, perché l'allora presidente George Bush non volle danneggiare
gli interessi dell'industria petrolifera.
Il protocollo di Kyoto
Il tema del contenimento dei gas serra fu ripreso nel 1997 in Giappone, quando numerosi paesi
industrializzati si accordarono sul Protocollo di Kyoto.
Questo documento, firmato a tutt'oggi da oltre cento paesi ma non da Stati Uniti e Australia, prevede
che entro il 2008-2012 le emissioni di anidride carbonica vengano ridotte, rispetto al 1990, di un valore
compreso fra il 6 e 1'8%. Pur trattandosi di obiettivi modesti, insufficienti a contrastare il riscaldamento
globale del pianeta, ben pochi dei paesi firmatari stanno oggi mantenendo i propri impegni, per
raggiungere i quali sarebbe necessario ridurre fortemente il consumo di combustibili fossili e
incentivare l'utilizzo di fonti energetiche alternative. Anche il nostro paese, che in un primo momento
appariva fra i più diligenti nel mantenere gli impegni assunti a livello internazionale, negli ultimi anni
ha mostrato una tendenza all'aumento delle emissioni di gas serra.
La Conferenza di Johannesburg
Dopo dieci anni dalla conferenza di Rio, nel 2002 si è tenuta a Johannesburg, in Sudafrica, il Vertice
mondiale sullo sviluppo sostenibile, con l'obiettivo di verificare i progressi realizzati in campo
ambientale e di elaborare norme che potessero migliorare la qualità della vita nel rispetto dell'ambiente.
Fin dalle prime fasi si è dovuto constatare che i risultati realizzati nel decennio precedente sono molto
lontani dalle aspettative. Per esempio, gli aiuti allo sviluppo invece di crescere si sono ridotti, passando
dallo 0,32% allo 0,22% del Pil dei paesi ricchi. La diminuzione dei gas serra risulta molto inferiore a
quanto ci si era prefissati e alcuni paesi che pur avevano firmato la convenzione del 1992 hanno
aumentato le proprie emissioni.
A differenza del vertice di Rio, quello di Johannesburg non si è concluso con grandi dichiarazioni e
importanti trattati. I partecipanti hanno infatti preferito puntare su una serie di azioni concrete. Fra
queste, l'obiettivo di dimezzare entro il 2015 il numero di persone che non hanno accesso all'assistenza
sanitaria; di riportare la pesca ai massimi rendimenti sostenibili, eliminando nel contempo le pratiche
più distruttive; di ridurre in maniera significativa la perdita di biodiversità. Non si è invece trovato
accordo fra Nord e Sud del mondo su molti temi di carattere finanziario e commerciale, e soprattutto è
venuto a mancare, da parte del governo statunitense, qualsiasi impegno volto a ridurre i propri
insostenibili livelli di produzione e di consumi.Il Vertice di Johannesburg, conclusosi con la
presentazione del Piano di attuazione attribuisce al compimento del processo di Agenda 21 il ruolo
fondamentale per la realizzazione dello sviluppo sostenibile, riconosce, perciò, che operare verso lo
sviluppo sostenibile è principale responsabilità dei Governi e richiede strategie, politiche, piani a livello
il programma di azioni indicato dalla Conferenza di Rio per invertire l’impatto
nazionale. Agenda 21 è
antropiche sull’ambiente. L'Agenda definisce attività da intraprendere, soggetti
negativo delle attività
da coinvolgere e mezzi da utilizzare in relazione alle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile
(Ambiente, Economia, Società); pertanto saranno sempre più rilevanti temi come la pianificazione
strategica integrata, la concertazione, la partecipazione della comunità ai processi decisionali, la ricerca
e la sperimentazione di strumenti operativi adeguati, alla cui soluzione si stanno impegnando da alcuni
decenni e con prevedibili difficoltà, le Comunità internazionali e nazionali, ai diversi livelli. 17
18
FILOSOFIA AMBIENTALE.
La crisi ecologica del nostro tempo richiede un tavolo di confronto serio e leale perché è vero che le
scelte ultime sono di pertinenza della filosofia e dell’etica, ma le scienze naturali, sopratutto biologiche,
devono dare il loro importantissimo contributo mostrando che l’uomo è parte della natura e che di
conseguenza ha degli obblighi cogenti nei confronti degli altri esseri viventi e della natura tutta. In
questo ambito la filosofia ambientale si propone come disciplina di sintesi intesa a individuare nuovi
modelli di vita per una umanità più in armonia con ciò che la circonda.
Alle idee straordinarie e innovatrici della prima parte del XX secolo, quali il principio di conservazione
e l’etica della terra, si sono andati sommando altri concetti che, nel loro complesso,
della natura
formano una nuova branca della filosofia: la filosofia ambientale. Dovendo descriverla in poche parole
potremmo dire che la filosofia ambientale raccoglie in sé i pensieri, le idee, i concetti che l’uomo
elabora nel suo rapportarsi con ciò che lo circonda. Essa guida, quindi, il nostro comportamento e
determina le nostre scelte in campo ambientale. Le posizioni filosofiche ambientali spaziano in un
continuum di idee che vanno da un antropocentrismo rigido a un biocentrismo altrettanto radicale.
Tra i concetti più moderni e recenti possiamo accennare allo “sviluppo sostenibile” definito come lo
sviluppo che soddisfa le esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future
di soddisfare le loro proprie esigenze, citato nei rapporti annuali «Our Common Future» della
Commissione Mondiale sull’Ambiente e sullo Sviluppo.
Il concetto di sviluppo sostenibile, nell’ambito della classificazione delle idee filosofiche ambientali,
rimane ancorato a un antropocentrismo moderato. Al riguardo i biocentristi lo ritengono insufficiente;
infatti, credono che l’uomo non possa fare della natura ciò che vuole, autocelebrandosi unico giudice e
decisore delle sorti della Terra. In altre parole mentre per gli antropocentristi il valore è legato all’uomo
in quanto unico valutatore (per cui hanno valore intrinseco solo gli esseri umani e quegli oggetti -vivi o
a cui l’uomo dà valore) per i biocentristi la natura ha un valore che esiste indipendentemente
meno-
dall’uomo.
Tra le varie proposte di stampo biocentrico, merita una menzione particolare il «rispetto per la natura»
del filosofo americano Paul W. Taylor. La ragione principale di ciò nasce dal fatto che Taylor integra
in maniera moderna e brillante le conoscenze in campo scientifico e quelle in campo filosofico,
mostrando quanto sia importante e determinante lo scambio costante e costruttivo di tutte le discipline.
Il «rispetto per la natura»
Taylor elabora un’etica biocentrica che lui chiama «del rispetto»; l’etica del rispetto ha una struttura
che può suddividersi in tre elementi base: un sistema di principi, un atteggiamento morale supremo e
un gruppo di regole.
Il sistema di principi, che Taylor chiama «concezione biocentrica della natura», che si basa sulle leggi
scientifiche che l’ecologia ha messo in luce, non può considerarsi un compendio di scienze ecologiche.
biocentrica è un’opinione filosofica del mondo e deve rimanere distinta dalle teorie
La prospettiva
scientifiche e dai sistemi esplicativi. Entrando nel dettaglio la «prospettiva biocentrica della natura»,
asserisce che:
1) gli uomini sono membri della comunità vivente allo stesso modo in cui lo sono i non-uomini;
2) i sistemi naturali della Terra, nella loro totalità, sono composti da una rete complessa di elementi
interconnessi, dove il sano funzionamento biologico di ogni essere dipende dal sano funzionamento
degli altri;
3) ogni individuo viene concepito come un centro teleologico di vita, cioè insegue il proprio bene nella
sua propria maniera;
4) il concetto che l’uomo sia superiore alle altre specie non ha fondamento e deve essere rigettato in
quanto deviazione irrazionale in nostro favore. 19
Riguardo al primo punto, Taylor non nega le differenze fra uomini e non-uomini, tuttavia riconosce che
la nostra origine è comune agli altri esseri e che sottostiamo alle stesse leggi naturali; inoltre, e questo è
un argomento di novità, riconosce che siamo i nuovi arrivati. Tante altre specie abitano il pianeta da
molto più tempo di noi. E ancora, non è detto che dureremo più a lungo di altri.
La nostra presenza non è assolutamente necessaria. Svariate specie ed ecosistemi starebbero certamente
meglio senza la nostra presenza. Nel mondo ci sarebbe meno inquinamento, più spazio, più varietà.
Insomma la nostra dipartita sarebbe salutata con entusiasmo dal mondo naturale.
biocentrica della natura» c’è poco da
Per quanto concerne il secondo punto della «prospettiva
aggiungere, è sufficiente imparare la grande lezione fornita dall’ecologia. Non c’è nulla di filosofico
nel riconoscere che esiste una complessa rete di relazioni tra gli organismi viventi.
Riguardo invece il terzo punto, «ogni individuo viene concepito come un centro teleologico di vita»
(cioè ogni organismo tende verso un proprio fine da realizzare), Taylor avanza la sua proposta. E’
ormai innegabile, asserisce, che ciascun individuo sia un essere unico e irripetibile, ce lo dicono la
genetica e le scienze comportamentali: ogni organismo diventa qualcosa di unico e insostituibile, che
lotta per preservare e per realizzare se stesso.L’ultimo punto della prospettiva biocentrica della natura,
la negazione della superiorità umana, trova risposta direttamente dai primi tre punti. Se ci chiediamo:
«In che modo ci riteniamo superiori?», oppure, «Facciamo cose che altri non fanno?» possiamo
rispondere con certezza che ogni singolo essere, ogni gruppo di esseri, ha il suo proprio modo di vivere
e, per quel che lo riguarda, fa cose che altri individui, o altri gruppi, non fanno. Gli organismi, per il
solo fatto di trovarsi sulla Terra, dimostrano di essere adatti ad occupare il posto che occupano. Noi,
forse, potremmo vantarci di avere qualità che non si trovano fra i membri delle altre specie, tuttavia
queste qualità hanno valore solo per noi uomini. A ben vedere, tutte le ragioni per cui ci riteniamo
superiori partono dalla nostra prospettiva.
Se la nostra società occidentale è arrivata a negare le differenze fra gli uomini in quanto non esistono
prove scientifiche a sostegno, perché allora continuiamo a voler discriminare gli altri organismi quando
la nostra base biologica, il DNA, è la stessa? Certo, sono diversi i geni. E allora? Per quale ragione,
dice Taylor, un diverso arrangiamento genetico dovrebbe essere un marchio di valore superiore? In
definitiva, in mancanza di qualsiasi buona ragione per rivendicarla, la superiorità umana può apparire
semplicemente l’espressione irrazionale di un pregiudizio che favorisce una specie su milioni di altre.
D’altro canto rifiutare la superiorità umana permette di evidenziare la sua controparte positiva: la
dottrina dell’imparzialità delle specie che apre la porta all’etica del rispetto.
Ecco allora che ci chiediamo: cosa cambia in noi se decidiamo di abbracciare l’etica del rispetto? La
risposta viene da dentro. Innanzitutto si riordina profondamente il nostro universo morale e, così
facendo, cambia il nostro atteggiamento nei confronti della natura. Il nostro punto di vista umano
diventa secondario e lascia spazio al nostro agire per il bene della natura, perchè abbiamo degli
obblighi morali nei confronti della “natura” in quanto comunità biotica della Terra che concorre a
mantenere vivi ed integri gli ecosistemi.
Conclusioni