Sergione
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Concetti Chiave

  • Le costellazioni storicamente servivano per orientarsi, mentre oggi si usano modelli matematici simili a quelli terrestri per identificare la posizione degli astri.
  • Le coordinate equatoriali e altazimutali sono fondamentali per determinare la posizione degli astri rispetto alla Terra e a un osservatore.
  • La magnitudine delle stelle varia in base alla luminosità apparente e assoluta, con strumenti moderni che rilevano stelle fino a magnitudine 30.
  • Le galassie si classificano in diversi tipi, come a spirale e ellittiche, raggruppandosi in ammassi e superammassi che possono raggiungere centinaia di megaparsec.
  • La teoria del Big Bang descrive l'origine dell'universo, con la sua espansione continua sostenuta da prove osservabili come la radiazione di fondo.
Stelle
Le costellazioni e la sfera celeste
Sin dall’antichità, i grandi popoli dell’Asia minore raggrupparono le stelle visibili ad occhio nudo in costellazioni, assegnandovi nomi conformemente all’immagine che suggerivano, ma nei giorni nostri le costellazioni non hanno più alcun significato, ma vengono utilizzate solo per orientarsi tra le numerose stelle in modo approssimato.
Oggi per delineare la posizione di un astro si utilizza come sistema di riferimento un modello matematico analogo a quello utilizzato sulla terra per individuare la posizione di una città.
La sfera celeste:
Immaginiamo una sfera cava al cui interno vi sia posizionata centralmente la terra puntiforme, per la quale passa una retta leggermente inclinata detta asse terrestre (da un polo all’altro della terra) che, una volta prolungata incontrerà la sfera celeste in due punti, il polo nord celeste ed il polo sud celeste, assumendo il nome di asse del mondo.
Per determinare la posizione di un astro ci avvaliamo dei paralleli e dei meridiani:
per determinare il parallelo fondamentale, detto equatore celeste, si taglia la sfera celeste con un piano perpendicolare all’asse del mondo e passante per il centro, a seguire per determinare gli altri paralleli è necessario tagliare la sfera con tanti altri piani paralleli all’equatore celeste, che andranno via via rimpicciolendosi sino ad arrivare ai due poli celesti dove si ridurranno a due punti.
per quanto riguarda i meridiani, invece, si interseca la sfera celeste con dei piani che contengano l’asse del mondo e che passino per i due poli, ma, essendo, quindi, tutti uguali per tracciare il meridiano fondamentale si considera l’orbita che compie la terra ruotando intorno al sole, detta eclittica, la si proietta sulla sfera , così questa intersecherà l’equatore celeste individuando due punti, il punto γ situato nella costellazione dell’ariete (indica la posizione del sole durante l’equinozio di primavera, il 21 Marzo), per il quale passa il meridiano fondamentale, ed il punto δ situato nella costellazione della bilancia (indica la posizione del sole durante l’equinozio d’autunno) per il quale passa l’antimeridiano.
Ma, per conoscere la posizione esatta dei corpi celesti, dopo aver stabilito tutti i punti di riferimento necessari, abbiamo bisogno delle coordinate, le cosiddette coordinate equatoriali:
La declinazione celeste: la distanza angolare tra l’astro considerato ed il piano dell’equatore celeste, si valuta dai meridiani e si misura in gradi, primi e secondi.
L’ascensione retta: la distanza angolare tra l’astro considerato ed il piano del meridiano fondamentale, si valuta dai paralleli e si misura in ore, minuti e secondi.
Possiamo determinare anche la posizione di un astro immaginando che all’interno della sfera celeste vi sia posto un osservato, pertanto cambiano i punti di riferimento:
innanzitutto immaginiamo che passi una retta per l’osservatore che prolungata incontrerà la sfera nello zenit al di sopra dell’osservatore (verso il quale l’osservatore è capace di vedere), e nel nadir al di sotto dell’osservatore (verso il quale l’osservatore non è in grado di vedere), in seguito tagliamo la sfera celeste con un piano perpendicolare all’asse per l’osservatore, determinando il cosiddetto orizzonte celeste che intersecherà l’equatore celeste determinando due punti cardinali, est ed ovest, ed il meridiano celeste determinando gli altri due, il nord ed il sud.
Così per determinare la posizione esatta degli astri in funzione di un osservatore necessitiamo di nuove coordinate, le coordinate altazimutali:
L’altezza di un astro: la distanza angolare tra l’astro considerato e l’orizzonte celeste.
L’alzimut: detto angolo orizzontale, è l’angolo compreso tra la direzione del sud ed il piede della perpendicolare condotto dalla stella sul piano dell’orizzonte.

Le distanze astronomiche
Per esplorare le enormi distanze tra i corpi celesti, in astronomia si utilizzano tre specifiche unità di misura:
- L’unità astronomica: corrisponde alla distanza media tra la terra ed il sole che, è di circa 149.600.000 km e si utilizza generalmente entro i limiti del sistemi solare;
- L’anno luce: la distanza percorsa in anno dalla radiazione luminosa che viaggia alla velocità di 300.000 km/s.
- Il parsec (parallasse secondo): la distanza dalla quale un osservatore posto su un astro vedrebbe il semiasse maggiore dell’orbita terrestre, perpendicolarmente, sotto l’angolo di un secondo.

Il metodo della parallasse
Il metodo della parallasse ci permette di determinare la distanza di un astro dalla terra.
Il metodo sfrutta lo spostamento apparente degli astri poiché, se osserviamo un oggetto attraverso due differenti visuali, sembrerà che l’oggetto si sia spostato, ma si tratta di uno spostamento apparente, pertanto determinare la distanza di un astro dalla terra consideriamo l’asse maggiore dell’orbita terrestre, osservando l’astro ad una distanza di sei mesi tra un’osservazione e l’altra e tracciando le visuali, otterremo un triangolo, la cui base sarà l’asse maggiore dell’orbita terrestre ed i cateti saranno le visuali, conoscendone la base, consequenzialmente ne conosciamo gli angoli alla base, e tramite formule trigonometriche saremo in grado di ricavare l’angolo al vertice e quindi la distanza dell’astro.
- Magnitudine delle stelle:
Una delle caratteristiche principali delle stelle è la loro luminosità, infatti nel passato, due scienziati, Ipparco di Nicea e Claudio Tolomeo suddivisero le stelle in sei classi in base alla loro luminosità, di queste classi alla prima appartenevano le stelle più luminose, e all’ultima appartenevano le stelle meno luminose, con una differenza di luminosità tra le classi di 2,5 volte.
Ma, con l’avanzare del tempo e le innovazioni scientifiche, sono state scoperte numerose stelle ancor più luminose di quelle già appartenenti alla prima classe che, possono essere di magnitudine zero o di magnitudine negativa (oggi le ultime misure dimostrano che le stelle più deboli, visibili ad occhio nudo sono di magnitudine 6,5, invece le moderne apparecchiature elettroniche arrivano a percepire immagini di stelle che raggiungono magnitudine 30), infatti oggi parliamo di magnitudine, che può essere:
Magnitudine apparente o relativa (m): valuta la luminosità di un astro senza considerarne la distanza effettiva (valuta appunto la luminosità apparente o relativa delle stelle); tale magnitudine è misurabile solo tramite particolari telescopi, al cui interno possiedono dei fotometri fotoelettrici che, captano la radiazione luminosa, la tramutano in energia elettrica, la amplificano e la studiano (è necessario trasformare la radiazione luminosa in energia elettrica, per poterla amplificare, poiché, essendo la radiazione luminosa a noi pervenuta talmente infinitesimale che sarebbe impossibile da studiare).
Magnitudine assoluta: valuta la luminosità delle stelle poste tutto su uno stesso sfondo, ad una distanza standard di 10 parsec. La magnitudine assoluta è possibile ricavarla dalla magnitudine apparente tramite una formula matematica:

M= m + 5 – 5 log d

Magnitudine assoluta= magnitudine apparente + 5 – 5 logaritmo della distanza in parsec.

Sistemi di stelle
Nel 1700 l’astronomo inglese John Goodricke (1764-1786), osservando le stelle si accorse che, la stella Algol in particolare splendeva meno ogni 2 giorni e 21 ore, poiché si trattava di due stelle aventi il baricentro in comune e che pertanto si eclissavano e vicenda ad intervalli regolari.
Oggi giorno conosciamo decine di migliaia di sistemi di stelle:
Sistemi multipli: sistemi costituiti da tre o più stelle.
Sistemi binari variabili o ad eclissi: sistemi costituiti da stelle con un baricentro comune che, si occultano a vicenda ad intervalli regolari (di questo tipo di stelle ne fa parte Algol).
Sistemi binari visibili: sistemi di stelle in cui sono ben distinguibili entrambe le stelle.
Sistemi binari spettroscopici: sistemi di stelle che se osservate al telescopio mostrano una sola stella, ma non appena analizzati i loro spettri, rileviamo l’esistenza di due stelle distinte.

Colori, temperature e spettri stellari
Siamo in grado di determinare il colore, la temperatura e la composizione chimica delle stelle, mediante analisi spettroscopiche ottenute tramite lo spettroscopio, in quanto ogni raggio luminoso da origine ad uno spettro (costituito da tutti i colori dell’iride, dal rosso al blu-violetto).
Esistono tre differenti tipi di spettro:
Spettro continuo: se portassimo ad incandescenza una lampadina, questa emetterà una radiazione luminosa, la quale darà origine ad uno spettro costituito da tutti i colori dell’iride, detto pertanto spettro continuo, quindi, senza interruzioni (questo spettro però non è tipico delle stelle in quanto loro sono costituite per lo più da gas).
Spettro di emissione discontinuo: se portassimo ad incandescenza un aeriforme a bassa pressione, la radiazione luminosa emessa darà origine ad uno spettro di sfondo scuro in cui saranno ben evidenti righe colorate che variano posizione in funzione alla composizione chimica della stella.
Spettro di assorbimento discontinuo: se portassimo ad incandescenza un aeriforme ad alta pressione, la cui radiazione luminosa attraversa uno strato di gas a bassa pressione, questa darà origine ad uno spettro costituito da tutti i colori dell’iride in cui sono ben distinguibili delle righe nere, dette righe di Fraunhofer.
L’analisi spettroscopica ci ha permesso di catalogare le stelle in sette classi spettrali:
O: stelle molto grandi, di colore azzurro, di temperatura superficiale maggiore di 30.000 k.
B-A: stelle di colore bianco, la cui temperatura superficiale si aggira attorno ai 20.000-30.000 K.
F: stelle di colore bianco, la cui temperatura superficiale si aggira attorno ai 15.000.10.000 k.
G: stelle di colore giallo, tra le quali il Sole, la cui temperatura superficiale si aggira attorno ai 6.000-7.000 k.
K-M: stelle di colore rosso, in generale stelle più fredde, la cui temperatura si aggira attorno ai 5.000-3.000 k.

L’effetto Doppler
L’effetto Doppler è utilizzato per studiare il movimento degli astri.
Questo metodo utilizzato analogamente nell’acustica, indica se un astro è in allontanamento o in avvicinamento alla terra, queste rilevazioni sono possibili tramite l’analisi spettroscopica, poiché la lunghezza d’onda rappresentata dalle righe di Fraunhofer visibili negli spettri, tanto più sono vicine al rosso, tanto più la lunghezza d’onda è maggiore, quindi l’astro è in allontanamento, al contrario, tanto più sono vicine al blu, tanto più la lunghezza d’onda è minore, quindi l’astro è in avvicinamento.
Gli ultimi esami hanno rilevato che le stelle si stanno allontanando sempre più velocemente (legge di Hubble), pertanto l’universo è in continua espansione sin dal “Big bang”, questo fenomeno di espansione è detto red shift.

Le nebulose o materia interstellare
Le stelle sono separate da immensi spazi nei quali sono diffuse grandi quantità di polveri finissime e gas, questa materia interstellare con un aspetto simile a nebbia viene pertanto detto nebulosa.
Esistono vari tipi di nebulose:
Nebulose oscure: ammassi scuri perché privi di luce che, si stagliano come ombre su uno sfondo luminoso di stelle.
Nebulose di riflessione: ammassi debolmente luminosi perché attraversati dalla luce di stelle molto luminose o molto vicine ad esse.
Nebulose ad emissione: ammassi essenzialmente gassosi dotati di una tenue luce propria per un fenomeno di fluorescenza, provocato nei gas da radiazioni ultraviolette provenienti da qualche stella vicina.

La fornace nucleare del sole e delle altre stelle
Il Sole è in un costante equilibrio, detto ‹equilibrio meccanico›, giacché alla forza gravitazionale esercitata dal sole stesso su se stesso, si oppone la pressione esercitata dai gas negli strati più interni del sole, in modo che la stella (Sole) non collassi.
Il Sole emette una radiazione luminosa propria, dovuta alle assidue reazioni termonucleari che avvengono negli strati più interni del Sole.
La reazione basilare è detta catena protone-protone che consiste nella fusione di due nuclei d’idrogeno (parliamo di nuclei perché a quella temperatura di 15.000.000 k ed a quella pressione non esistono legami tra gli elettroni ed il nucleo, quindi non esistono atomi).
Questa reazione che si avvia ad una temperatura di 15.000.000 k è detta autoalimentata, perché per produrre un atomo d’elio occorrono due nuclei d’idrogeno che al termine della reazione saranno rilasciati dando origine a nuove reazioni (catena protone-protone).
Questa reazione mostra però “un’imperfezione”, poiché l’atomo di elio che si viene a formare, risulta costituito da minor massa dei due nuclei d’idrogeno, ma proprio come afferma la legge di conservazione della massa di Lavoisier, secondo la quale “in una reazione, la massa dei reagenti è uguale alla massa dei prodotti”, la massa non si può consumare ma, si converte in energia, come dimostra la legge di relatività di Einstein ‹E= m c c› (E= energia, m= massa, c= velocità della luce nel vuoto)
Questa reazione consiste nella fusione di due nuclei d’idrogeno che daranno origine ad un deuterio (nucleo di idrogeno più pesante caratterizzato da un numero maggiore di neutroni), un positrone (anti-elettrone) ed un neutrino, nella seconda fase della reazione la fusione tra il deuterio ed un nucleo di idrogeno da origine ad un nucleo di elio leggero ed un fotone, infine, nell’ultima fase, la fusione tra due nuclei di elio, darà origine ad un atomo di elio, ad un fotone e ad altri due nuclei di idrogeno, necessari perché si riavvii la reazione.

Il diagramma H-R
Nel 1410 contemporaneamente ed indipendentemente l’uno dall’altro, due scienziati Hertzsprung e Russel, idearono un diagramma che cataloga le stelle in funzione alla loro temperatura e luminosità.
Il diagramma H-R mostra un’istantanea dell’universo, in cui le stelle sono collocate ponendo in ascissa la loro temperatura ed in ordinata la loro luminosità.
Nel diagramma le stelle si distribuiscono maggiormente in una fascia alla quale appartiene il Sole, detta sequenza principale, le altre stelle si raccolgono in gruppi che occupano settori specifici del diagramma:
Le giganti rosse: le stelle disposte in alto a destra del diagramma, con luminosità più alta e temperatura più bassa.
Le nane bianche: le stelle disposte in basso a sinistra del diagramma, con temperatura più alta e luminosità più bassa.

La nascita e l’evoluzione delle stelle
Le fucine delle stelle sono le nebulose, dove nascono sotto forma di Globuli di Bok, piccoli addensamenti di polveri e gas che possono essere considerati come i nuclei primitivi delle stelle, questi sottoposti ad una forza esterna (per esempio all’onda d’urto provocata dall’esplosione di una stella vicina), possono innescare all’interno dei moti turbolenti che frammentano i globuli in ammassi più piccoli che, soggetti all’attrazione gravitazionale esercitata dalle nebulose, si riaggregano aumentando la loro energia cinetica e di conseguenza la temperatura, trasformandosi in protostelle.
A questo punto, se la protostella non possiede una massa iniziale tale da poter raggiungere la temperatura di 15.000.000 k, non è in grado di avviare le reazioni termonucleari, pertanto il corpo si raffredda diventando una cosiddetta ‹stella mancata›, o, nana bruna, o, nana nera.
Se, invece, la protostella ha massa sufficiente e necessaria a raggiungere la temperatura di 15.000.000 k, in essa si avvieranno le reazioni termonucleari (catena protone-protone) e il corpo si tramuterà in stella, raggiungendo una fase di equilibrio, e rimanendo tale sin quando la stella non avrà terminato tutte le “scorte” d’idrogeno, in tal caso la stella si riscalderà progressivamente sino a raggiungere una nuova fase di equilibrio, alla temperatura di 100.000.000 k, temperatura necessaria per fondere l’elio in carbonio.
Data l’elevatissima temperatura, l’involucro gassosso esterno della stella si espanderà enormemente, causando una diltazione della superficie, la quale si raffredderà e la stella prenderà il nome di gigante rossa.
Una volta raggiunta la fase di gigante rossa, le stelle andranno incontro a destini differenti, in funzione alla loro massa iniziale:

Se, la massa iniziale della stella è inferiore a quella del Sole:
durante la prima fase la stella perde gli strati esterni costituiti da gas, così rimasto solo il nucleo che, non avendo una temperatura occorrente per sfruttare il carbonio come combustibile, continuerà il suo ciclo vitale divenendo una nana bianca che, si spegnerà gradualmente in una nana nera.

Se, la massa iniziale è uguale o poco superiore (tra 0,8 e 8 volte) a quella del Sole:
la stella espellerà lo strato gassoso attraverso un esplosione talmente violenta dando origine ad una radiazione luminosa intensissima, questo fenomeno è detto esplosione della nova ( detta nova poiché gli antichi a causa dell’esplosione ritenevano si fosse formata una nuova stella ), così come viene chiamata la stella (nova). I gas liberatisi dalla stella, si disporranno attorno ad essa e formare una nebulosa, detta nebulosa planetaria (dalla nebulosa planetaria possono nascere nuove stella, generate dai globuli di Bok). Il nucleo adesso si tramuterà dapprima in una bianca che spegnendosi diventerà una nana nera.

Se, la massa iniziale della stella supera di una decina di volte quella del Sole:
La stella è costituita da un’enorme quantità di gas periferici, pertanto espellendoli, genererà un’esplosione con luminosità maggiore milioni di volte quella della nova, quindi tale fenomeno si dirà esplosione della supernova, il nome che assumerà la stella (supernova).
In questo caso, rimasto solo il nucleo posto a pressioni elevatissime, ritrova un’opportuna fase di equilibrio, dovuta dalla fusione di protoni ed elettroni che danno origini ai neutroni, infatti questa stella viene detta stella di neutroni o pulsar, poiché per contrastare la forza gravitazionale è costretta a ruotare velocissimamente, emettendo solo radiazioni che noi percepiamo ad intervalli regolari.

Se, la massa supera decine (massimo 50 volte) di volte quella del Sole:
La stella dopo aver attraversato la fase della supernova, la forza gravitazionale è così intensa che anziché generare una pulsar, darà origine ad un grande buco nero. Il buco nero è un oggetto celeste del quale conosciamo ben poco, a causa del suo capo gravitazionale elevatissimo che curva sia tempo sia spazio. Del buco nero sappiamo che al suo interno non vi è ne spazio né tempo, è che vi è un limite entro il quale non può più esercitare la sua forza, detto orizzonte degli eventi.

Le galassie
La maggior parte dei corpi celesti (stelle, pianeti, nebulose, ecc.) si concentrano in regioni di spazio a formare le galassie.
Le galassie più comuni sono le galassie a spirale che, possono essere galassie a spirale e galassia a spirale sbarrata:
le galassie a spirale: sono costituite da un nucleo centrale, detto nucleo galattico, dal quale si dipartono lunghi bracci a spirale.
le galassie a spirale sbarrata: sono costituite da un nucleo galattico attraversato da una sbarra nella quale sono concentrati la maggior parte dei corpi e dalla quale si dipartono le spire.
Esistono altri tipi di galassie:
le galassie ellittiche: sono costituite dalle stelle più anziane, pertanto si trovano nelle zone più periferiche del nostro universo.
le galassie ovali: sono costituite dalle stelle più giovani, infatti, queste occupano le zone più centrali dell’universo.
le galassie globulari: galassie di forma sferica.
le galassie irregolari: galassie con forma distorta a causa della forza gravitazionale, come nel caso della galassia peculiare.
Le galassie si raggruppano in ammassi e superammassi di galassie che, possono estendersi per centinaia di megaparsec.

Le radiogalassie e i Quasar
Dei particolari tipi di galassie sono le cosiddette radiogalassie o Seifert (lo scienziato che le scoprì), poiché non inviano radiazioni luminose ma, solo onde radio, dunque possono essere rilevate esclusivamente tramite radio telescopi.
Tuttavia esistono oggetti ancora più lontani e meno conosciuti detti Quasar (quasi stella radiosource), i quali distano miliardi di anni luce. Si pensa siano gli oggetti più antichi dell’universo e dall’esistenza di essi definiamo l’età dell’universo. Data la loro distanza dalla terra conosciamo ben poco di questi corpi , poiché per osservarli occorrono lenti più grandi di quelle già esistenti, ma, purtroppo lenti più grandi di 6 o 6,5 metri non vanno incontro a problemi di diffrazione (le immagini verrebbero sfocate nei bordi della lente). Dei quasar sappiamo che la grandezza di un singolo quasar corrisponde ad un diametro di almeno una decina di galassia e che la loro luminosità è maggiore di quella del Sole.

La legge di Hubble
Nel 1929, l’astronomo e astrofisico statunitense Hedwin Powell Hubble, osservando gli spettri di alcune decine di galassie, si accorse di un sistematico spostamento delle linee di Fraunhofer verso il rosso (redshift), questo stava ad indicare una continua espansione dell’universo.
In seguito, dopo aver condotto numerose altre osservazioni lo scienziato, concluse affermando che lo spostamento delle galassie è funzionale alla loro distanza dalla terra, in altre parole più è la distanza delle galassie dalla terra, tanto più esse veloci si spostano.
Il rapporto tra la velocità di allontanamento delle galassie e la loro distanza dalla terra è costante e viene indicato con Hₒ, una grandezza nota come costante di Hubble.
La formulazione matematica è la seguente:

[math]{V \over d} = H_0[/math]

dove v indica la velocità di allontanamento (in km/s) e d la distanza in Mpc (megaparsec).
•Tuttavia però, tale costante mostra un “difetto” , poiché non è sempre costante, ma, varia tra gli 80 km/s • Mgp e i 50 km/s • Mgp (la maggior parte degli oggetti hanno una costante che si avvicina agli 80 km/s • Mgp).

L’universo stazionario
Nel 1948 degli scienziati formularono l’ipotesi dell’universo stazionario, considerando un fondamento della fisica tradizionale, il cosiddetto “principio cosmologico perfetto”, secondo il quale, l’universo fu immutato nel tempo e nelle sue caratteristiche.
Questa ipotesi era, però in contrasto con quanto affermava Hubble, in altre parole, che l’universo era in continua espansione, pertanto degli scienziati tentarono di risolvere tale problema, affermando che per mantenere la densità media dell’universo, costante (all’aumentare del volume, diminuisce la densità), fosse necessario che si formasse un atomo di idrogeno (H) per ogni metro cubo di spazio, per ogni miliardo di anni, ma ciò non è possibile, poiché la materia non si può creare dal nulla; pertanto tale ipotesi non è accettata.

Il Big bang e l’Universo inflazionario
Quasi in contemporanea con l’ipotesi dell’universo stazionario, lo scienziato George Gamow, ideò/formulò l’ipotesi dell’universo inflazionario.
Tale ipotesi sostiene l’idea che la nascita dell’universo fu determinata da un’imponente esplosione di energia contenuta in uno spazio infinitesimale detto uovo cosmico, il quale aveva densità infinita ed era costituito esclusivamente da energia.
All’inizio del tempo, nell’istante zero (ancora non vi erano ne spazio né tempo, perché nacquero solo in seguito all’esplosione), l’uovo cosmico si è squarciato con un’esplosione immane, dando origine all’universo ad una velocità elevatissima in un tempo brevissimo, determinando un’enorme inflazione (inflatio significa rigonfiamento) appunto, un’enorme espansione.
Durante l’espansione, la temperatura scese rapidamente fin quasi lo zero assoluto, in tali condizioni nacquero le prime particelle subatomiche come, elettroni, quark e positroni (anti-elettroni), un istante dopo i quark diedero vita ai protoni ed ai neutroni.
La situazione rimase stabile finché dopo i primi tre minuti dall’esplosione, la temperatura si abbassò, così i protoni, i neutroni e gli elettroni si poterono aggregare, formando i primi atomi degli elementi più leggeri, idrogeno, elio e litio.
Ma, per lungo tempo l’Universo rimase un’impenetrabile nube di radiazioni e di gas ionizzato; solo quando, dopo 300.000 anni, la temperatura scese a 3.000 k, gli elettroni furono catturati dai nuclei con i quali si aggregarono sino a formare un gas neutro (non più ionizzato dalle radiazioni).
Tale ipotesi fu suffragata dapprima nel 1965, da due scienziati, Arno Penzias e Robert Wilson, i quali stavano lavorando sulle antenne della compagnia di telecomunicazioni americana Bell Telephone company, avvertirono un’interferenza, così dopo aver effettuato delle rilevazioni, si accorsero della presenza di una radiazione alla temperatura di circa 2.726 k e considerata come l’eco del Big bang, detta radiazione fossile o radiazione di fondo.
In un secondo tempo, nel 1992 un team di scienziati misurò la radiazione di fondo, grazie al satellite COBE (Cosmic Background Explorer), notandone delle disuniformità, che permettono di spiegare il perché l’universo non sia distribuito in modo eterogeneo.

In seguito alla teoria del Big bang, gli scienziati hanno tentato di definire il destino del nostro universo, in funzione alla sua densità critica, parliamo di densità critica (valore standard) poiché non possiamo studiare la densità effettiva di questo, giacché il 90% della materia esistente è la cosiddetta materia oscura:

Se la densità media è inferiore alla densità critica: la forza gravitazionale non sarebbe abbastanza forte da bloccare l’espansione dell’universo, il quale continuerebbe ad espandersi, finché non sarà terminato tutto il combustibile rimasto ed i corpi avranno concluso il loro ciclo vitale, lasciando un cosmo ridotto ad un immenso cimitero buio.

Se la densità media è uguale alla densità critica: la forza gravitazionale sarebbe in grado solo di rallentare l’espansione dell’universo che, anche in questo caso continuerebbe ad espandersi, sino a diventare un enorme buco nero, quando i corpi avranno terminato il loro ciclo vitale.

Se la densità media è superiore alla densità critica: la forza gravitazionale, riuscirebbe a frenare l’espansione dell’universo, allorché le galassie arresterebbero la loro fuga ed invertendo il loro movimento, per riaggregarsi, probabilmente in un nuovo uovo cosmico.

Domande da interrogazione

  1. Qual è il significato delle costellazioni oggi?
  2. Oggi le costellazioni non hanno più un significato pratico, ma vengono utilizzate per orientarsi tra le numerose stelle in modo approssimato.

  3. Come si determina la posizione di un astro sulla sfera celeste?
  4. La posizione di un astro si determina utilizzando le coordinate equatoriali, che includono la declinazione celeste e l'ascensione retta, basate su paralleli e meridiani della sfera celeste.

  5. Quali sono le unità di misura utilizzate in astronomia per le distanze?
  6. In astronomia si utilizzano l'unità astronomica, l'anno luce e il parsec per misurare le distanze tra i corpi celesti.

  7. Come si classificano le stelle in base alla loro luminosità?
  8. Le stelle si classificano in base alla loro luminosità in magnitudine apparente e magnitudine assoluta, con la magnitudine apparente che valuta la luminosità senza considerare la distanza effettiva.

  9. Cosa descrive il diagramma H-R?
  10. Il diagramma H-R cataloga le stelle in funzione della loro temperatura e luminosità, mostrando la distribuzione delle stelle in diverse fasce come la sequenza principale, le giganti rosse e le nane bianche.

Domande e risposte