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Poi, nulla.

 Poi, ancora nulla.

 Poi, sempre nulla.

 Poi vengono i cafoni.

 E si può dire ch’è finito.

Il nome Fontamara racchiude in sé già un destino di sventure e

sofferenze. Quasi tutti i nomi dei personaggi del romanzo non sono

casuali: Don Circostanza, infatti si adegua alle diverse situazioni tenendo

prima la parte dei contadini, quindi quella degli agiati cittadini, cercando

sempre un tornaconto personale; Don Abbacchio il prete, richiama il

verbo “abbacchiare”: egli, infatti, non farà altro che deprimere i poveri

abitanti della Marsica, ignorando persino il suicidio di Teofilo, sacrestano

della chiesa di Fontamara; Don Carlo Magna è il ricco proprietario

terriero; l'Impresario, il podestà abile a speculare su alcuni terreni

acquistati da don Carlo Magna a poco prezzo e sui quali farà deviare

l'acqua del ruscello di Fontamara riducendo alla miseria i cafoni;

Innocenzo La Legge, il messo incaricato di portare i nuovi ordinamenti

dalla città.

Berardo Viola, protagonista maschile del romanzo, è l’eroe del paese,

violento ma altruista è il primo a sacrificarsi tra i cafoni per il bene della

collettività: i cafoni infatti erano stati raggirati di continuo ed ogni appello

ai notabili del paese risultava inutile poiché questi difendevano sempre

gli interessi del ricco podestà, si ritrovavano così sempre più poveri ma

ognuno non aveva pensato che al proprio appezzamento di terra, a se

stesso. Attraverso il suo personaggio Silone sembra sottolineare il

bisogno che qualcuno muova all’azione, ponga fine alla totale

indifferenza dei “cafoni”, sempre più sfruttati e tenuti nell’ignoranza dal

nuovo regime che li induce lavorare in modo duro ed estenuante.

I cafoni non avevano mai rappresentato una vera minaccia per i gerarchi

della potente città, da cui erano sempre stati osteggiati grazie alla

cultura ed all’ingegno ma, nel momento in cui provano anche questi ad

avvicinarsi al mondo scritto, sentiti come una forte minaccia vengono

rapidamente fatti scomparire.

Fontamara e la questione meridionale

Da Fontamara viene un ricco contributo documentario per la conoscenza

del meridione italiano. Silone riesce a cogliere la fatica e la miseria dei

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contadini del Sud, le attività agricole nel variare delle stagioni vengono

illustrate con minuzia e competenza. Nelle sue pagine non c'è soltanto

una descrizione realistica, finalmente senza retorica, Silone analizza

criticamente, dalla parte del Sud e dei cafoni, tutto uno scorcio di storia

italiana: l'annessione al regno sabaudo è avvenuta con le modalità della

conquista coloniale, mentre sono rimasti intoccati il latifondo e i rapporti

sociali che esso determina. I governi post-unitari non hanno soddisfatto

la fame di terra dei contadini: infatti non si è praticato l'esproprio,

neppure parziale, dei grandi possidenti nè sono state assegnate ai cafoni

le terre confiscate agli ordini religiosi, oggetto, invece di una vendita

all'asta che ha favorito solo i detentori di capitale liquido.

Nel 1929, l'anno in cui si svolgono le vicende di Fontamara, non

diversamente dal periodo borbonico, la sopravvivenza del cafone

dipende dal suo minifondo, in cui pratica una stentata agricoltura di

sussistenza, e dipende dal lavoro a giornata, precario e mal pagato, sulle

terre dei latifondisti. E alla miseria dei cafoni si collegano strettamente

ignoranza, vulnerabilità agli imbrogli e ai soprusi, dipendenza dai notabili

per ogni contatto con il mondo evoluto e complicato della città. Il regime

fascista legalizza il sopruso, emana provvedimenti che peggiorano la

situazione dei cafoni, come le leggi sull'emigrazione e la riduzione dei

salari, ma non rappresenta nulla di realmente nuovo: Silone individua

infatti una sostanziale continuità, almeno per quanto riguarda la politica

meridionale, fra il fascismo e i governi liberali del periodo post-unitario,

esprimendo così una recisa condanna anche nei confronti di questi ultimi.

Ignazio Silone

Ignazio Silone è lo pseudonimo di Secondino Tranquilli, nato in un piccolo

borgo rurale in provincia dell’Aquila agli inizi del ‘900. Ben presto, un

terremoto pone Silone di fronte ad episodi raccapriccianti come la morte

di alcuni familiari che gli insegna che i rapporti sociali sono spesso falsi e

sleali, e lui, disgustato dai soprusi, dalla violenza, dall’ipocrisia,

combatterà tutta la vita per aiutare i poveri e si schiererà al loro fianco in

molte occasioni. Questo il motivo della militanza tra i rivoluzionari, del

suo prendere posizione contro la vecchia società e il sistema politico che

l’

rappresenta. Inizia così a scrivere, già molto giovane, degli articoli per

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”Avanti!”, poi a Roma entra a far parte della gioventù socialista

e si oppone già da subito al fascismo. E’ tra i fondatori del PCI e

redattore di vari giornali ma per via di persecuzioni fasciste viene

costretto a vivere da clandestino e a occuparsi dei suoi giornali di

nascosto. Dopo l’approvazione delle leggi in difesa del regime, vengono

sciolti tutti i partiti e viene abolita la libertà di stampa. E qui c’è un suo

distacco dal partito per l’opposizione alla politica di Stalin o

meglio per l’incapacità di difendere lealmente i propri principi,

senza la necessaria “eliminazione fisica degli avversari”.

In questo clima di crisi politica fugge in Svizzera. Qui, accanto a

un’intensa attività culturale con la pubblicazione di alcuni giornali, svolge

anche un’importante attività letteraria, con la pubblicazione a Zurigo

di Fontamara, in tedesco, nel 1933 (il romanzo sarà

completamente ignorato in patria per almeno un ventennio).

Intanto lo scrittore viene internato dai fascisti a Davos poi a

”Il seme sotto la neve”

Baden, qui pubblica e dopo qualche anno rientra

in Italia dove aderisce al Partito Socialista e continua la sua attività come

giornalista mantenendo i suoi principi, opponendosi a qualunque

ingiustizia o abuso di potere fino alla morte avvenuta nel 1978, dopo una

lunga serie di malattie.

Silone appartiene alla corrente dei neorealisti e Fontamara

rappresenta in pieno le caratteristiche del movimento.

Dopo la fine del fascismo e la caduta della monarchia si iniziano ad

abbandonare i vecchi modelli artistici e letterari perché c’era il bisogno

di uscire dai vecchi schemi, di abbandonare quegli idoli e quei miti

ormai caduti per rappresentare attraverso l’arte una nuova realtà,

quella del popolo. Il cinema neorealista

Il Neorealismo è, senza alcun dubbio, il

movimento italiano per eccellenza che ha

riscosso maggiori consensi e fama in ogni

parte del mondo, soprattutto per quanto

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riguarda il cinema. Oggi, a distanza di sessant'anni, è difficile apprezzare

al meglio questo genere di film aderente alla realtà d'allora. Ogni film si

caratterizzava per la propria storia, mentre la costante era

rappresentata dal contesto storico. Nel complesso si possono

ulteriormente isolare tre aspetti: morale, politico ed estetico. Fu la

reazione morale alle infamie della guerra che spinse i registi a

insistere sui valori essenziali dell'esistenza e della convivenza

sociale. Inoltre era necessario dare una risposta sul piano politico agli

errori commessi dal fascismo utilizzando un linguaggio nuovo,

che riuscisse ad esprimere volontà di mutamento. Per Neorealismo

non si deve pensare ad una scuola di pensiero o ad un movimento

culturale, ma ad un fenomeno di vasto respiro che coinvolse sia la

letteratura sia le arti figurative.

Nei precedenti anni trenta, il regime fascista aveva investito risorse

nel cinema, soprattutto come strumento di propaganda: aveva

promosso la realizzazione di teatri e stabilimenti di produzione a

Cinecittà (Roma) e a Tirrenia (Pisa). I film italiani erano essenzialmente di

genere avventuroso, sentimentale, oppure venivano proposti i motivi

dell'avanspettacolo. Il fascismo era teso ad infondere un senso di

serenità attraverso un cinema semplice. Un vero cinema fascista non

esistette proprio per la mancata carica ideologica, differenziandosi così

dal cinema nazista e sovietico, nei quali non comparve alcuna forma di

critica politica; al contrario, vennero enfatizzati alcuni punti come le

conquiste del regime, il senso della solidarietà nazionale, la difesa delle

tradizioni... Il modello del cinema italiano degli anni trenta era più vicino

a quello degli Stati Uniti, dove i gravi problemi economici avevano

orientato i produttori a proporre film dalle trame rassicuranti.

Successivamente il cinema italiano propose storie ambientate

nel conflitto, molto spesso interpretate da attori non

professionisti che rappresentavano i volti di tutta la popolazione

coinvolta. In quel periodo il cinema italiano visse una fase di

ripensamento critico della sua funzione. Le innovazioni che si verificarono

furono l'abbandono degli studi di posa a favore delle riprese in esterni e

l'adozione di uno stile di tipo documentaristico, ispirandosi alla vita

quotidiana. I cineasti si sentirono dibattuti tra due sentimenti opposti:

offrire un diversivo alle preoccupazioni quotidiane e far riflettere sulla

società italiana che stava cambiando.

Gli autori del Neorealismo diedero luogo a film diversi. Rossellini

preferì una lettura drammatica della società attraversata dalla

guerra; De Sica mise in luce la povertà e la solitudine; Zavattini

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diede libero sfogo alla fantasia; Visconti esaltò le grandi

rappresentazioni; Zampa si concentrò sulle disgrazie e sui difetti

della gente comune.

Questo genere di film venne trascurato preferendo quelli di genere

leggero e la produzione statunitense che ritornava in Italia dopo la

guerra. Paisà, Sciuscià, Ladri di biciclette, Germania anno zero, Terra

trema, furono film che passarono nell'indifferenza poiché il pubblico

cercava divertimento estraniandosi dai problemi della vita quotidiana,

anche a causa del governo italiano che non aiutò nè favorì questo tipo di

pellicole temendo che l'immagine dell'Italia risultasse troppo negativa.

In ogni film di quest'epoca vi erano presenti indistintamente

argomenti come l'emigrazione clandestina, l'emarginazione, il

banditismo, il

fallimento ideale della

Resistenza, la

delinquenza. Oltre ad un

generale scarso

entusiasmo, anche la

borghesia benestante non

vedeva di buon occhio quel

genere cinematografico,

così come la sinistra per

l'eccesso d'indiscrezione

verso i difetti della

nazione. Più volte

intervenne la censura per vietare la visione di quei film ritenuto lesivi per

il buon nome dell'Italia.

Il Neorealismo risultò più noto all'estero che in Italia dove,

appunto, il pubblico premiò i film più rispondenti alla necessità

d'evasione, in particolar modo si assistette al boom del genere

comico. Roma città

Nel 1946, alla prima edizione del Festival di Cannes, “

aperta” di Federico Rossellini conobbe un successo

internazionale senza precedenti, segnando l'inizio di una nuova

epoca. Roma città aperta prende spunto da fatti di cronaca relativi al

tragico periodo in cui Roma, caduto il fascismo, in attesa dell'arrivo delle

truppe americane, fu teatro dello scontro tra le forze della Resistenza e la

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determinazione dell'esercito tedesco. Il film

presenta le vicende intrecciate di gente

comune. Tra queste traversie, personaggi di

spicco sono Manfredi, un intellettuale

comunista e capo partigiano e un prete di

quartiere che, pur da diverse posizioni

ideologiche, affrontano un comune destino di

morte. Alcune scene del film divennero

celebri come ad esempio quella di Pina, la

popolana interpretata da Anna Magnani, che

viene fucilata dai colpi di mitra dei soldati

tedeschi mentre insegue la camionetta dove

suo marito, Francesco, è stato portato dopo

un rastrellamento. Altre scene eloquenti

sono quelle relative alle torture subite da

Manfredi, interpretato da Marcello Pagliero, o alla fucilazione di Don

Pietro. Questo film era finalizzato a sottolineare la forza delle

reazioni morali di fronte alla disumanità di una tragedia che non

risparmiò nessuno. 10

LA PITTURA NEOREALISTA

L’ arte neorealista fu la tendenza artistica affermatasi in Italia a

partire dal 1948. Promossa da un gruppo di artisti in precedenza

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