Concetti Chiave
- Ugo Foscolo è nato a Zante, isola del mar Ionio, nel 1778 e ha vissuto una vita densa di eventi storici e personali, tra cui l'esilio e varie vicissitudini amorose e familiari.
- Foscolo ha vissuto il dramma spirituale della transizione tra Illuminismo e Romanticismo, cercando di comprendere l'esistenza umana attraverso la "religione delle illusioni".
- Le opere di Foscolo, come "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" e "I Sepolcri", esplorano temi di libertà, amore, morte e immaginazione, riflettendo anche le sue esperienze personali e politiche.
- Foscolo ha lavorato intensamente anche come traduttore, contribuendo a rendere accessibili opere classiche e moderne, esprimendo una visione ironica e distaccata della vita attraverso il personaggio di Didimo Chierico.
- La sua poetica è caratterizzata da un profondo attaccamento alla bellezza classica e da una ricerca incessante di ideali supremi, utilizzando la poesia come mezzo per sfidare la morte e celebrare l'eternità delle virtù umane.
1) La vita;
2) L'animo e le ideologie;
3) L'Epistolario;
4) Le ultime lettere di Jacopo Ortis;
5) Le odi;
6) I sonetti;
7) I sepolcri;
8) Estetica e poetica;
9) Le grazie;
10) Foscolo, traduttore e Didimo chierico.
Indice
Infanzia e formazione di Foscolo
Foscolo nacque a Zante (Zacinto) nel 1778, un’isola nel mar Ionio appartenente alla repubblica veneta. In essa vide sempre l’immagine della bellezza e dell’armonia classiche.
Il suo vero nome era Niccolò, ma egli preferì, forse per crearsi l’immagine di un personaggio cupo, essere chiamato Ugo.
Il padre, Andrea, era un medico veneto, mentre la madre, Diamantina Spathis, era greca (e questo influì sull’amore di Foscolo per i classici).
Presto la famiglia si trasferisce in Dalmazia, dove il padre muore.
Prosegue perciò gli studi classici e si dedica alle prime opere letterarie e alle traduzioni.
In seguito Foscolo viene introdotto nei salotti intellettuali, poiché dotato di una personalità carismatica. E’ qui che conosce il letterato Ippolito Pindemonte.
Delusioni politiche e amori
La discesa in Italia di Napoleone gli dà grandi speranze, che saranno deluse, tant’è vero che il Foscolo conoscerà l’esilio.
In quel periodo, comunque, si arruola nella Repubblica Cispadana e lavora per creare un nuovo stato.
Ma quando, col trattato di Campoformio, Venezia viene ceduta all’Austria, il suo sogno di trovare in Napoleone un liberatore dell’Italia si infrange, al punto che, preso dalla disperazione, si narra in un aneddoto che Foscolo abbia addirittura tentato di uccidersi.
In seguito, si reca a Milano, dove collabora con vari periodici. Conosce il Monti, e presto pubblica le Ultime lettere di Jacopo Ortis.
Sempre in questo periodo prende parte ad alcune imprese militari.
Dopo Marengo, si reca in Toscana e si innamora di Isabella Roncioni.
A Milano si innamora invece di Antonietta Fagnani Arese.
Diversi anni più tardi lo colpisce una grave tragedia: suo fratello muore suicida.
Poco tempo dopo, dunque, si trasferisce in Francia, dove si innamora stavolta di Fanny Hamilton, dalla quale ha una figlia, Mary, spesso chiamata nelle sue poesie Floriana.
In questo periodo Foscolo si dedica alla traduzione di Sterne.
Torna in Italia e dedica i Sepolcri al suo amico Pindemonte.
Lavora all’università di Pavia, e lì subirà diverse polemiche letterarie e censure poiché le sue opere sono antinapoleoniche.
Negli anni seguenti vive a Firenze, dove lavora alle Grazie.
Si innamora della contessa d’Albany, moglie di Alfieri.
Esilio e vita in Inghilterra
Quando, in seguito alla sconfitta di Napoleone, Venezia rimane agli Austriaci, Foscolo decide di fuggire in esilio, peregrinando per l’Europa.
In Inghilterra vive tra le miserie e l’amarezza, aggravate da una salute malferma. Qui emergono la sua dedizione al lavoro e la dignità della vita, secondo i suoi ideali.
Le sue condizioni economiche vanno frattanto peggiorando, eppure il suo studio degli autori si fa più intenso.
Muore nel 1827. Il suo corpo verrà portato a Firenze, in Santa Croce.
Contraddizioni e ricerca spirituale
La vita di Foscolo fu senza dubbio una vita “romantica” sotto tutti i punti di vista, vissuta oltre tutto con piena adesione agli eventi politici e sociali di quegli anni travagliati.
Possiamo dire, in effetti, che Foscolo rispecchia in sé il dramma spirituale della generazione a cavallo tra l’Illuminismo e il Romanticismo.
Fu una personalità contraddittoria la sua, tra razionalità ed irrazionalità, euforismo e passione, malinconia e desideri di suicidio, ricerca disperata di libertà e giustizia. Come egli stesso definì il suo cuore in un sonetto: “Ricco di vizi e di virtù”.
Perno del suo pensiero fu la ricerca dell’origine e del motivo della nostra esistenza. Perduta, infatti, la certezza verso gli antichi valori, Foscolo segue diverse filosofie dell’epoca, finché non si convince che la vita sia un ciclo perenne di nascita e di morte che non possiamo fermare e le cui cause ultime non possiamo capire.
Dio, anima, finalità ed immortalità diventano dunque un mistero indecifrabile: è come se errassimo senza scopo cercando felicità irraggiungibili, per poi arrivare al nulla eterno. Ecco il perché del suo carattere angoscioso.
Ad un certo momento, però, Foscolo sente come un desiderio di ribellarsi a tutto questo e di seguire gli ideali di verità, bellezza, giustizia e patria, gli unici in grado di dare un senso alla nostra vita: nonostante il cervello ci dica che sono illusioni, il cuore non si rassegna mai a cercarli.
Nasce allora quella che viene definita la religione delle illusioni, che è sfida eroica contro un mondo meccanicistico.
La poesia è quindi espressione non solo di tali ideali, ma anche dell’ansia di trovarli, ed arma contro la morte, poiché i suoi versi sono immortali.
Questa tensione tra finito ed infinito è tipica, del resto, della cultura romantica.
Per quanto riguarda lo stile delle sue opere, possiamo dire che se le condizioni aristocratiche di Alfieri gli permisero di non preoccuparsi del pubblico a cui scriveva, Foscolo dovette invece vivere del suo scrivere, anche se cercò sempre di sottrarlo alla commercializzazione.
L’epistolario di Foscolo permette di capire il suo mutamento psicologico negli anni, e la sua costante ricerca di sicurezze.
Il loro tono è vario: è presente tristezza, umorismo, dolcezza e vi sono narrati anche i riposi del cuore e della fantasia nelle gioie dell’amicizia e dell'ardore amoroso.
Molte altre lettere, invece, mostrano la sua generosità d'animo e l’incrollabile fede nei suoi ideali.
L’esilio è infine la conclusione di una vita che, pur con errori e colpe, fu protesa sempre verso i valori più alti dell'animo.
Le ultime lettere di Jacopo Ortis
Le ultime lettere di Jacopo Ortis è un romanzo epistolare, cioè composto dalle lettere che Foscolo immagina siano state scritte da un giovane suicida negli ultimi tempi della sua vita ad un suo amico, Lorenzo Alderani.
Questi le pubblica aggiungendo qua e là alcune descrizioni o fatti che Jacopo, poiché morto, non avrebbe potuto scrivere, come ad esempio la sua morte.
Lorenzo Alderani rappresenta un po’ un alter ego di Jacopo, e per questo il romanzo ricorda molto il modello di Sterne.
Temi e stile del romanzo
Tema centrale sono le vicende, i pensieri, i sogni di Jacopo Ortis.
Per questo il romanzo, più che avere una vera trama, è piuttosto un dibattersi dell’anima del protagonista che, visti crollare tutti i suoi ideali, giunge al rifiuto dell’esistenza.
Con la morte di Jacopo muore in Foscolo il “mito della giovinezza”, lasciando spazio a quello della morte e della tomba.
Jacopo, rifugiatosi nei Colli Euganei in seguito al trattato di Campoformio, conosce Teresa e se ne innamora, riamato.
Ma il padre di lei l’ha già destinata al ricco Odoardo, e quindi Jacopo sa che il suo amore è senza speranza.
Tuttavia non può rinunciare ai suoi sentimenti per Teresa, che sente come un ultimo richiamo alla vita. Per tentare di cancellarli, compie allora diversi viaggi in Italia.
A Milano conosce per esempio il Parini, con cui medita sulla situazione della patria, mentre a Firenze, a Santa Croce, ripensa alle tombe dei grandi italiani.
Ritorna infine ai Colli Euganei, e qui ritrova Teresa già sposata. La incontra per l’ultima volta strappandole un bacio.
Quindi si pugnala al cuore.
Molti hanno visto un’influenza alfieriana in questo romanzo: Jacopo è l’uomo libero di Alfieri, che lotta contro la tirannide, specie quella della vita, destinata al dolore e alla morte.
Il suicidio del giovane è infatti un atto di ribellione verso la meschinità della vita, è l’affermazione disperata dell’uomo verso la libertà.
Inoltre vi è l’ideale della patria, ma l’eroe di Foscolo esce dalla solitudine e lotta per la comunità (e in questo si vede una differenza sostanziale con il Werther di Goethe).
Le ultime lettere di Jacopo Ortis sono una perfetta biografia del Foscolo (Teresa ad esempio non è altri che Teresa Pickler, moglie del Monti): vi confluiscono i suoi amori infelici e le sue esperienze politiche, nonché il crollo dei suoi ideali religiosi, giustificazione suprema della vita.
Appaiono anche tutti i miti foscoliani: la bellezza serenatrice (soprattutto quella di Teresa, creatura angelica che contiene in sé la promessa impossibile di felicità), l’amore, l’eroismo, la natura emblema dell’armonia divina.
La lingua usata è discontinua: si nota il linguaggio di una fantasia ancora immatura che si compiace di tonalità estreme ed esasperate.
Alla poesia spetterebbe il compito di purificare l’animo umano dalle passioni, di armonizzarle almeno, ma vediamo subito che Foscolo non riesce in questo tentativo.
Ma è in effetti proprio questo suo linguaggio fresco a rendere meglio l’intimità fra scrittore e lettore.
Stralci del romanzo sono ormai divenuti celeberrimi.
Tra essi ricordiamo:
- il preludio;
- l'incontro con Teresa;
- l'amore per Teresa;
- Napoleone e i patrioti;
- la natura;
- l'addio alla vita;
- la lettera da Ventimiglia.
Le Odi e i Sonetti
Le Odi di Foscolo sono la serena esaltazione della bellezza , sempre minacciata e sempre risorgente, confortatrice dell’angosciosa vita dell’uomo.
E’ l’apparire dell’armonia universale, immutabile ed opposta ai vorticosi cambiamenti del nostro mondo.
In essa il poeta vede un modo per liberarsi dai limiti della materia e mezzo per attingere all’universale.
E’ questo il suo sogno, un sogno non più idilliaco della fantasia, ma sublimazione di una drammatica verità umana.
L’attaccamento del Foscolo ai classici, di chiara derivazione neoclassica, sono espressione composta dello splendore, e danno sì un tono raffinato ed elegante alla poesia, ma non sempre profondo.
Il modo di poetare di Foscolo è, come egli stesso lo definiva, “passione divorante pacatamente mediata”. Essa è esternatrice dei più alti valori umani.
Tra le odi più famose di Foscolo ricordiamo:
- All'amica risanata;
- A Luigia Pallavicini caduta da cavallo.
Furono composti nel 1802 e sono dodici (anche se gli ultimi quattro furono aggiunti in seguito).
I primi otto sembrano un diario poetico con fitte influenze di Petrarca, classiche e di Alfieri.
Gli ultimi quattro sono senz’altro i suoi capolavori. In essi il poeta ci sembra rivolto alla meditazione e alla contemplazione di sentimenti ed ideali universali.
Appaiono i grandi miti foscoliani: la bellezza serenatrice, il sepolcro e l’affetto dei vivi (unico modo per vivere oltre la morte), l’esilio e la poesia eternatrice della virtù.
Lo stile è ormai perfetto, composto, ma profondo.
Tra i suoi sonetti più famosi ricordiamo:
- A Zacinto;
- Alla sera;
- In morte del fratello Giovanni.
I Sepolcri
Introduzione
Il carme del Sepolcri è sicuramente l’opera più famosa di Foscolo.
L’ispirazione per l’opera nasce nel 1806, quando il Trattato di Saint-Cloud, che prevedeva la sepoltura dei morti in specifiche zone extra-urbane per ragioni igieniche, venne estesa anche in Italia.
In tal modo si escludeva dunque la sepoltura in chiese o luoghi urbani.
E’ in seguito a questo che Foscolo scrive allora I Sepolcri, dedicato a Ippolito Pindemonte.
Nell’opera, oltre alle tematiche, Foscolo riprende da Parini e Alfieri anche la metrica, formata da endecasillabi sciolti.
Per Foscolo, se la civiltà consiste nella trasmissione del sapere, la tomba ne è invece il simbolo: è attraverso il ricordo dei defunti che si prosegue il rapporto con essi.
Questo è vero anche sul piano storico: i defunti di una nazione ne costituiscono l’identità.
Inoltre l’essere ricordati concede al defunto la vita eterna.
Lo stile è solenne ed incisivo, e non mancano quei toni colloquiali tipici dello stile epistolare, né quelli sublimi.
Tale stile è adatto a risvegliare, nell’Italia imbarbarita, le antiche virtù civili, dei quali sono emblema le tombe di Santa Croce.
I Sepolcri furono composti tra l’estate e l’autunno del 1806, sebbene la data esatta sia incerta.
Furono scritti in risposta all’opera “I cimiteri” di Pindemonte, sebbene già da tempo Foscolo meditasse uno scritto simile, come dimostra la lettera scritta alla Albrizzi.
Probabilmente sia Ippolito che la Albrizzi si erano lamentati in presenza di Foscolo della legislazione francese in merito alla sepoltura dei morti (Trattato di Saint-Cloud). Foscolo, che inizialmente si era dichiarato indifferente alla questione, aveva poi avuto modo di pensarci e di sviluppare le sue idee in merito.
In quest’opera troviamo una concezione letteraria molto diversa da quella espressa nello Jacopo Ortis, così come nelle Odi o nei Sonetti.
E’ già iniziato il passaggio del Foscolo dal periodo passionale al periodo mediato.
Una delle prime novità di quest’opera è l’assenza del motivo patriottico - risorgimentale, sebbene il carme sia comunque attuale e punti sul profondo significato della storia e della civiltà.
La questione principale dell’opera è conciliare la visione materialistica della vita (propria dell’Illuminismo) con quella religiosa.
Foscolo si chiede quale sia il senso della morte e quale sia il rapporto tra morti e superstiti. Si deve rinnegare tale valore o sostenere la morte ed i suoi riti? Ecco dunque l’argomento dei Sepolcri.
Questo carme è innovativo per l’intento dimostrativo tramite esempi, e per il suo costante rapporto tra passato e presente.
Struttura e significato dei Sepolcri
Scritto in endecasillabi sciolti, è divisibile in quattro parti:
1) Utilità delle tombe: per i materialisti esse sono inutili e non possono ripagare i morti per la perdita della vita. Tuttavia esse servono anche a mantenere vivo il ricordo del defunto nei vivi, il che è quasi un modo per poter vivere ancora. La morte non ci rende però tutti uguali: i cattivi, ad esempio, non saranno ricordati, perciò rendere anonime le iscrizioni sulle tombe è ingiusto e non tiene conto del merito (E’ una vergogna per esempio che un uomo come il Parini non abbia avuto una sepoltura adeguata e giaccia in una fossa comune, mescolato magari alle ossa di un ladro o di un assassino).
2) Ai vari culti dei morti e il senso della civiltà: la civiltà è connessa alla cura dei morti. Molti aspetti ha questa cura: c’è quella della tradizione cattolico - medievale, che presenta la morte in modo angoscioso e terrificante, o quella classica, rasserenatrice. Anche in Inghilterra il mondo dei morti è rappresentato serenamente, con cimiteri simili a giardini, con l’illusione quasi di poter ancora parlare con loro, come accadde per esempio quando alcune fanciulle si riunirono in preghiera per Nelson. La decadenza italiana, invece, fa invece sì che molti siano già sepolti dall’opportunismo.
3) Le tombe esemplari dei grandi: Santa Croce ed il riscatto futuro dell'Italia. E’ per questo che lo stesso Alfieri vi si recava, ed ora anche lui giace a Santa croce. Lo stesso amor patrio spinse i Greci a Maratona a sacrificare le loro vite per difendere la propria patria. E la memoria di quel sacrificio è ancora viva.
4) Il valore morale della morte: secondo la leggenda, il mare avrebbe portato le armi di Achille, che Ulisse aveva ottenuto con l’inganno, sulla tomba di Aiace, che proprio a motivo di quelle armi si era suicidato. La morte è quindi una ricompensa dalle ingiustizie della vita. Anche la poesia ha un ruolo fondamentale in questo, perché celebra gli uomini e rende immortali le loro imprese. La città di Troia, per esempio, ormai distrutta dai Greci, sopravvive nel ricordo grazie ad Omero. Egli, sebbene greco, ha saputo rendere giustizia ai Troiani, come Ettore, modello di virtù e lealtà.
Il tema dei Sepolcri non è nuovo: fu trattato anche da molti poeti inglesi pre - romantici, ma la differenza consiste nel fatto che Foscolo non lo affronta da un punto di vista religioso, ma civile.
Foscolo imposta la sua opera in modo da trattare tutti i temi che lo hanno sempre interessato: il materialismo, la civiltà, la funzione della poesia, la condizione storica dell’Italia, ecc.
La visione dei Sepolcri è senza dubbio materialistica, ce se ne accorge sin dall’inizio.
Alla base del materialismo di Foscolo sta la tradizione illuminista, ma anche il modello di Lucrezio.
Difatti più volte, su sua imitazione, Foscolo sosterrà che: “Il non esservi altro mondo dopo questo toglie ogni principio alla religione, alla quale sogliono fuggire i mortali nelle loro disavventure”.
Comunque, pur negando il valore religioso delle tombe, egli elabora una sorta di religiosità laica: le tombe sono segno di civiltà.
Grazie ai valori che il sepolcro pone è possibile vincere la morte.
Sotto molti punti di vista le teorie di Foscolo ricordano quelle di Vico, che vedeva la storia come un cammino delle civiltà verso la perfezione.
L’esempio patriottico suscitato dalle tombe degli antichi, invece, anticipa lo spirito romantico - risorgimentale.
Spesso poi, nel corso dell’opera, Foscolo si chiude in una sorta di individualismo, e dal destino italiano passa a considerare il proprio.
L’amore che il Foscolo nutrì per la poesia si esprime anche nella sua assidua ricerca a coglierne e definirne l’essenza.
La sua concezione della poesia riflette quella che egli ha della vita nella sua visione drammatica e costantemente tesa a ricercare i valori più alti dell’esistenza: che tutte le cose prima o poi raggiungono il “nulla eterno” e l’uomo non può conoscere né il perché né l’essenza dell’esistenza dell’uomo.
Solo il sentimento, o, come lo chiama lui, il “forte sentire”, e le “illusioni” possono permetterci di uscire da questa visione materialistica.
Vivere è sentire, ma nessun sentimento, per quanto intenso, può appagare la nostra ansia di vita: ecco perché siamo infelici.
Compito della poesia è intensificare la nostra vita, arricchendola di immagini, e pacificare lo spirito umano. Diffusore di tutto questo è il poeta.
A questo poemetto Foscolo lavorò per molti anni, senza però portarlo mai a compimento, sì che esso è rimasto una raccolta di liriche, alcune delle quali bellissime, prive di collegamento organico.
Fu iniziato tra il 1812 e il 1813, quando l’autore si trovava nella villa di Bellosguardo, a Firenze. Foscolo vi lavorò poi fino alla morte, correggendo alcune parti ed aggiungendone altre.
Le Grazie sono divinità intermedie tra cielo e terra, simbolo della bellezza e dell’armonia universali, in quanto figlie di Venere.
Tale armonia esse cercano di portare anche nel mondo, suscitando nel cuore degli uomini gli affetti più nobili mediante le belle arti.
- 1° inno: mentre gli uomini vivono ancora allo stato bestiale, arrivano Venere e le Grazie, che trasmettono la bellezza nei loro occhi. Nascono allora le arti e si forma la civiltà.
- 2° inno: si sta svolgendo un rito alle Grazie da parte di tre bellissime sacerdotesse. Esse rappresentano la poesia, la musica e la danza.
- 3° inno: dedicato a Pallade, dea della virtù, che si reca ad Atlantide, simbolo del mondo superiore della poesia, per far tessere un velo che protegga le Grazie dalle belve e dalle passioni umane.
Le Grazie sono un’opera bellissima, anche se manca il tono travolgente e drammatico del passaggio dalla vita alla morte, dalla disperazione alla speranza, dei Sepolcri.
In essa si condensa il culto di Foscolo per la bellezza e lo slancio dell’anima verso la perfezione, nonché il desiderio di sottrarre le cose più alte e nobili alla morte.
Vi si celebra dunque l’ “arcana armonia melodia pittrice”, sfumata nel sogno e nella nostalgia, colta non nel concreto, ma nel ritmo di un verso, come una sorta di danza che parla alla nostra anima ed evoca il fascino ineffabile dell’armonia e della grazia.
Foscolo traduttore e Didimo Chierico
Oltre che autore di opere in prosa e poesia, Foscolo fu anche un abile traduttore di testi classici e non.
Tradusse infatti l’Iliade, frammenti di Lucrezio e “La chioma di Berenice” del poeta greco Callimaco.
Per Foscolo tradurre significa “penetrare nello spirito dell’autore e riprodurlo nella propria lingua”.
Tuttavia la sua traduzione più ricordata è sicuramente quella dell’opera “A sentimental journey through France and Italy” di Laurence Sterne, datata 1805, che lo indusse alla personificazione di Didimo chierico, a cui attribuì la traduzione dell’opera e le varie annotazioni.
In appendice scrisse anche la fantasiosa Notizia intorno a Didimo Chierico, che fornisce un eccentrico ritratto di questo personaggio. Esso ricorda Yorick, protagonista del racconto di Sterne, il buffone di Amleto che qui diventa simbolo di ironia.
In tale descrizione prevale il paradosso: Didimo Chierico è una sorta di alter ego di Foscolo, un intellettuale che vive appartato e in solitudine, ma pronto allo scherzo.
Ha un passato passionale, da cui si è staccato senza rinnegarlo a causa della sfiducia nella realizzazione dei suoi ideali, anch’essi comunque soggetti alla relatività. Didimo Chierico è in altre parole uno scettico.
Ben presto, infatti, le amarezze della gioventù hanno fatto sì che Foscolo abbia abbandonato il suo atteggiamento giovanile, basato sull’eroismo, e ne abbia assunto un altro disincantato, ironico, distaccato e spesso cinico.
All’idealismo si sostituisce dunque il gusto della prassi, e alla visione tragica quella comica.
Anche per quanto riguarda la politica egli ha avuto modo di riflettere ed ha capito che Napoleone non faceva altro che alimentare l’illusione delle nazioni di avere una guida: senza popolo la rivoluzione non si fa e Napoleone era il “fattore aggregante”.
La traduzione di Sterne è, solo in parte, responsabile di questo mutamento.
Infatti Foscolo, leggendolo, si accorge che egli fa largo uso dell’ironia, e che non ha mai momenti acuti di intolleranza.
Questo lo porta a rivedere tutta la sua vita.
Ma non rinnega la prima parte della propria esistenza: il passato è sempre importantissimo, ma è ormai solo “calore di fiamma lontana”.
Si passa quindi dal Il momento passionale, chiamato così in relazione soprattutto al suo impegno politico, termina nel 1805 circa. In quella fase Foscolo agisce con il cuore detta, e passa dalla passione alla disperazione.
Il momento mediato è invece “mediato dalla ragione”.
Domande da interrogazione
- Qual è l'origine e la formazione di Ugo Foscolo?
- Quali furono le delusioni politiche di Foscolo?
- Come si riflette la vita di Foscolo nel romanzo "Le ultime lettere di Jacopo Ortis"?
- Qual è il significato dei "Sepolcri" di Foscolo?
- In che modo Foscolo si dedicò alla traduzione e chi era Didimo Chierico?
Ugo Foscolo nacque a Zante nel 1778, un'isola del mar Ionio appartenente alla repubblica veneta. Il suo vero nome era Niccolò, ma preferì essere chiamato Ugo. La sua formazione fu influenzata dalla cultura classica, grazie anche alle origini greche della madre.
Foscolo nutriva grandi speranze nella discesa di Napoleone in Italia, ma queste furono deluse quando Venezia fu ceduta all'Austria con il trattato di Campoformio. Questo evento infranse il suo sogno di un'Italia liberata, portandolo a un periodo di esilio.
"Le ultime lettere di Jacopo Ortis" è un romanzo epistolare che riflette le esperienze personali di Foscolo, inclusi i suoi amori infelici e le delusioni politiche. Il protagonista, Jacopo, rappresenta un alter ego di Foscolo, lottando contro la tirannia della vita e cercando la libertà.
"I Sepolcri" è un'opera che esplora il significato delle tombe come simbolo di civiltà e memoria storica. Foscolo sostiene che le tombe mantengono vivo il ricordo dei defunti, conferendo loro una sorta di immortalità e contribuendo all'identità di una nazione.
Foscolo fu un abile traduttore di testi classici, tra cui l'Iliade e opere di Lucrezio. La sua traduzione più nota è quella di "A sentimental journey" di Sterne, che lo portò a creare il personaggio di Didimo Chierico, un alter ego ironico e scettico che riflette il cambiamento di Foscolo verso un atteggiamento più distaccato e cinico.