Concetti Chiave
- Il contrasto in Svevo è ambiguo e irrisolto, spesso paragonato al complesso di Edipo, senza la ribellione comune in altri autori come Kafka.
- Zeno percepisce il padre come un giudice critico, alimentando il suo egocentrismo e autocommiserazione, con sensi di colpa e giustificazioni non richieste.
- Gli eventi tragici sono rielaborati da un inconscio ipertrofico, spingendo Zeno a piangere più per sé stesso che per il padre morente.
- Il gesto del padre sul letto di morte è ambiguo: potrebbe essere un atto inconsulto o una punizione, riflettendo profonde radici psicanalitiche.
- Zeno idealizza la figura paterna, sublimando gli attriti passati per alleviare l'angoscia, trasformando il padre in un uomo debole e buono.
Indice
Il contrasto ambiguo di Svevo
Non dobbiamo pensare però che questo contrasto sia assimilabile a quello, davvero aspro e insanabile, comune a molti altri scrittori, contemporanei o precedenti (si pensi a
Leopardi o a Kafka). In Svevo, infatti, il dissidio conserva qualcosa di ambiguo, di irrisolto: potrebbe essere quello che Freud ha chiamato "complesso di Edipo", vale a dire, come già accennato, il desiderio inconscio del bambino di sbarazzarsi della figura di suo padre per non avere rivali nell'ottenere l'amore della madre.
D'altro canto, Zeno non ha certo la natura del ribelle che reclama libertà e autonomia, mai negategli dal padre, ma soltanto la consapevolezza di essere un debole e un incapace.Zeno e la figura paterna
Ciò che gli rende ostile la figura paterna è, in fondo, la stessa ragione per cui diffida di chiunque: lo considera giudice del proprio operato, un avversario sempre pronto a scrutarlo e colpevolizzarlo. In altri termini, nella contrapposizione generazionale vediamo anche che affiorano il consueto egocentrismo di Zeno e quella sua tendenza all'autocommiserazione che lo porta semplicemente a nutrire, in ogni circostanza, sensi di colpa, aggressività latenti, autoaccuse e giustificazioni che sono vere e proprie scuse non richieste.
L'autocommiserazione di Zeno
Ogni vicenda a maggior ragione quelle tragiche viene dunque rielaborata da un inconscio ipertrofico che gli fa ingigantire i fatti della vita in un'ottica esclusivamente autoreferenziale. Per questo il suo pianto è più per sé stesso, destinato a rimanere solo, che per il padre, destinato a morire: Guardavo nell'avvenire indagando per trovare perché e per chi avrei potuto continuare i miei sforzi che avrebbero portato a migliorarmi. Piansi molto, ma piuttosto principalmente su me stesso e sulla mia persona rispetto che sul disgraziato che correva senza pace per la sua camera (rr. 22-25).
Il gesto del padre morente
Allo stesso modo si può leggere la grande quantità di rimproveri e assoluzioni che il protagonista regala a sé stesso dopo la scena terribile (r. 28): mentre il figlio tenta di sollevarlo, con l'aiuto dell'infermiere, il padre sente la morte arrivare e alza, nell'ultimo spasmo dell'agonia, la mano alto alto (r. 49) lasciandola poi ricadere sul volto di Zeno. Di che cosa si è trattato? Di uno schiaffo? O di un movimento inconsulto? Nella prima ipotesi l'atto equivarrebbe a una punizione (r. 52): ma per quale colpa? E anche nel caso che si trattasse di un'azione irriflessa, la psicanalisi freudiana avverte che dietro ad atti apparentemente "gratuiti" si possono celare ragioni che affondano le radici nell'inconscio del soggetto che le compie. Anche in questo caso, dunque, potrebbe darsi che il padre avesse inconsciamente qualcosa da imputare al figlio; o, almeno, quest'ultimo potrebbe crederlo.
L'interpretazione di Zeno
La prima spiegazione che Zeno dà a sé stesso cioè che il padre si sentisse da lui impedito nei movimenti e che dunque fosse arrabbiato per questo (Potevo anche essere stato vittima di un atto provocato da un tentativo di facilitarsi la respirazione!, rr. 69-71) è soltanto un'ipotesi rassicurante, che però non elimina, a un livello più profondo, i suoi pressanti interrogativi. Del resto, come sempre, l'attenzione del narratore è tutta puntata, più che sul gesto in sé e sulle sue motivazioni, sulle reazioni psicologiche di Zeno a quell'evento.
E subito dopo il narratore (cioè lo stesso Zeno, che rievoca i fatti diversi anni più tardi) aggiunge: Era una bugia (r. 57). È vero, infatti, che il medico aveva prescritto il riposo assoluto nel letto, ma è anche vero che Zeno ha interpretato quella richiesta in maniera forse troppo energica. Dietro l'alibi del dovere filiale (Ero deciso: avrei costretto mio padre di restare almeno per mezz'ora nel riposo voluto dal medico. Non era questo il mio dovere?, rr. 36-38) sembra celarsi un'altra motivazione: un'inconscia volontà del figlio di dominare e controllare il padre, mettendo in atto un'inversione di ruoli rispetto a quelli interpretati fino a quel momento, oppure addirittura di privare il padre dell'aria necessaria per poter respirare.
La reazione di Zeno
È a questo punto che scatta la reazione tipica di chi cerca di scacciare l'angoscia attraverso un'opera tutt'altro che innocente di idealizzazione: secondo quello che nella terminologia psicanalitica viene definito "processo di rimozione", Zeno è portato a sublimare la figura paterna, cancellando contrasti e ambiguità e confezionando il ritratto trasfigurato di un uomo debole e buono (r. 82), alla cui superiorità il figlio ora si inchina, in un estremo e affettuoso ma naturalmente menzognero recupero della bontà, come sognando di tornare alla condizione di sottomessa ubbidienza (Divenni buono, buono e il ricordo di mio padre s'accompagnò a me, divenendo sempre più dolce, rr. 84-85).
Domande da interrogazione
- Qual è il contrasto ambiguo descritto da Svevo nel rapporto tra Zeno e suo padre?
- Come si manifesta l'autocommiserazione di Zeno nei confronti della figura paterna?
- Qual è il significato del gesto del padre morente secondo Zeno?
- Come interpreta Zeno il gesto del padre e quali sono le sue reazioni psicologiche?
- In che modo Zeno cerca di affrontare l'angoscia legata al rapporto con il padre?
Il contrasto ambiguo in Svevo riguarda il complesso di Edipo, dove Zeno non è un ribelle ma si sente debole e incapace, vedendo il padre come un giudice e avversario.
L'autocommiserazione di Zeno si manifesta attraverso un egocentrismo che lo porta a piangere più per sé stesso che per il padre, nutrendo sensi di colpa e autoaccuse.
Il gesto del padre morente, che alza la mano e la lascia ricadere sul volto di Zeno, è interpretato da Zeno come un possibile schiaffo o movimento inconsulto, riflettendo un conflitto inconscio.
Zeno interpreta il gesto come un possibile atto di rabbia del padre, ma riconosce che è una bugia rassicurante, mentre le sue reazioni psicologiche si concentrano sull'angoscia e il desiderio di controllo.
Zeno affronta l'angoscia sublimando la figura paterna, idealizzandola e cancellando contrasti, creando un'immagine di bontà e sottomissione menzognera.