Concetti Chiave
- I poeti della corte di Federico II usavano una lingua siciliana illustre, arricchita da latinismi e termini provenzali.
- I testi siciliani furono toscanizzati dai copisti, modificando le rime per adattarle all'orecchio toscano.
- Le rime siciliane furono spesso trasformate, perdendo il carattere di rime perfette, ma mantenendo alcune consonanze.
- Nella toscanizzazione, le terminazioni in -i si accostavano a -e chiusa, e quelle in -u a -o chiusa.
- Le modifiche toscane sono evidenti in quasi tutte le liriche siciliane, tranne in "Pir meu cori alligrari" di Stefano Protonotaro.
Indice
Linguaggio poetico alla corte di Federico II
La base linguistica dei poeti che operavano alla corte di Federico II di Svevia era, ovviamente, la lingua siciliana illustre (una lingua colta, aulica e, a volt,e anche un po’ artificiosa) che però veniva sottoposta ad un lavoro di affinamento, utilizzando anche latinismi o termini derivati dalla lirica provenzale.
In tale situazione, vidiri (= vedere), rimava con serviri (= servire) e vui (= voi) con fui (= fui), gire (= andare) con gaudire (= godere). La conservazione dei testi siciliani fu garantita dai copisti toscani i quali, però, nel loro lavoro di copia, intervennero sui testi siciliani originali, toscanizzandoli, soprattutto operando modifiche sulla parte finale delle rime che all’orecchio di un toscano sembravano fuori luogo. Fu così che alcune rime restarono, ma altre furono trasformate e persero il loro carattere di rima perfetta. Nell’esempio sopra citata, gire non subì trasformazioni perché il termine esisteva anche nel toscano, ma gaudire, pur continuando a far rima con gire, fu trasformato in gaudere. Il pronome personale vui fu trasformato in voi, ma continuò a rimare con fui perché tale voce verbale era presente anche in Toscana. In pratica si trattava di rime sbagliate ed i poeti toscani del XII e XIII secolo, non conoscendo l’origine del fenomeno, pensarono che si trattasse delle forme poetiche originarie e come tali, iniziarono ad imitarle anche se si trattavano di rime imperfette.Trasformazioni linguistiche e toscanizzazione
In sintesi, venivano riconosciuti come sicilianismi i termini uscenti in –u (es. statu, usatu, quandu) o i suffissi in –uri o –iri (amaduri, taciri). La toscanizzazione della lingua siciliana, tecnicamente,comporta le seguenti trasformazioni a livello di rima: -i fa rima con -e chiusa, -u fa rima con -o chiusa, attestate anche nella Commedia.
Esempi di rime siciliane e toscane
Tutte le liriche della scuola siciliana ci sono state tramandate con queste modifiche, eccetto una, Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro, di cui, esclusivamente, a titolo esemplificativo riporto solo la prima strofa,
Pir meu cori alligrari,
chi multu longiamenti
senza alligranza e joi d’amuri è statu,
mi ritornu in cantari,
ca forsi levimenti
da dimuranza turniria in usatu
di lu troppu taciri;
e quandu l’omu ha rasuni di diri,
ben di’cantari e mustrari alligranza,
ca senza dimustranza
joi siria sempri di pocu valuri:
dunca ben di’ cantar onni amaduri
Nella laude tratta dal Laudario di Cortona, di autore sconosciuto, abbiamo un chiaro esempio di rime siciliane:
Ogne gente con tremore
Viver sempre con gran terrore
Emperciò che son securi…..
In questi versi la –u- diventa –o- e securi fa rima con tremore e terrore.
Domande da interrogazione
- Qual era la base linguistica dei poeti alla corte di Federico II?
- Come avveniva la toscanizzazione dei testi siciliani?
- Qual è un esempio di rima siciliana non toscanizzata?
- Come venivano percepite le rime siciliane dai poeti toscani?
La base linguistica era la lingua siciliana illustre, arricchita da latinismi e termini provenzali.
I copisti toscani modificavano i testi siciliani, soprattutto le rime, adattandole al suono toscano, trasformando ad esempio -u in -o e -i in -e.
L'unico esempio è "Pir meu cori alligrari" di Stefano Protonotaro, che è stato tramandato senza modifiche toscane.
I poeti toscani del XII e XIII secolo, non conoscendo l'origine delle rime siciliane, le imitavano pensando fossero forme poetiche originarie, anche se erano rime imperfette.