refranco
Habilis
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Indice

  1. Il valore dell’esperienza
  2. Parafrasi
  3. Un ritratto dell’autore
  4. Oltre l’ottimismo rinascimentale
  5. Affermazioni sintetiche e concrete

Il valore dell’esperienza

Leggiamo alcuni Ricordi, indicati con il numero che li contraddistingue secondo la redazione definitiva del 1530

Parafrasi

6. È [un] grande errore parlare delle cose del mondo senza fare distinzioni e in senso generale (assolutamente) e, per così dire, secondo uno schema (per regola); perché quasi tutte presentano differenze ed eccezioni dovute alla varietà delle circostanze [in cui esse si presentano], le quali [circostanze] non si possono fissare in un solo modo (fermare … misura); e tali differenze ed eccezioni non si trovano scritte nei libri, ma è necessario che le indichi (insegni) la discrezione.

30. Chi considera [le cose] in modo sensato non può negare che la sorte ha molto potere (potestà) nelle cose umane, perché si vede che in ogni momento (a ognora) [le cose umane] ricevono forti mutamenti (grandissimi moti) da eventi casuali (accidenti fortuiti), e [si vede] che non è in potere degli uomini né prevedere [tali eventi causali] né evitarli (schifargli): e benché la prudenza (lo accorgimento) e la premura (sollecitudine) degli uomini possano regolare molte cose, tuttavia (nondimeno) non sono sufficienti, ma all’uomo serve (gli bisogna) anche (ancora) la fortuna favorevole.
35. Quanto è distante l’esperienza (la pratica) dalla teoria (teorica)! Quanti sono [coloro] che capiscono (intendono) bene le cose e che [poi] o non se ne ricordano più o non sanno metterle in pratica (in atto)! E a quelli che si comportano così, la comprensione teorica (intelligenza) risulta inutile, perché è come tenere un tesoro in un forziere (arca) avendo l’obbligo di non poterlo mai estrarre (trarlo fuora).
110. Quanto si ingannano coloro che per ogni affermazione (a ogni parola) fanno riferimento ai (allegano e) Romani! [Per citarli a proposito] occorrerebbe avere [a che fare con] uno Stato costituito (città condizionata) com’era [il] loro, e poi basarsi (governarsi) su quel modello (essemplo): il quale [modello], per chi presenta caratteristiche diverse (qualità disproporzionate), è tanto diverso, quanto sarebbe [assurdo] pretendere che un asino facesse la corsa di un cavallo.
125. I filosofi, i teologi e tutti quelli che esaminano (scrutano) le realtà soprannaturali o invisibili (che non si veggono), dicono mille cose assurde (pazzie): perché di fatto (in effetto) gli uomini sono avvolti dal buio e una simile indagine (indagazione) è servita e serve più a tenere in esercizio il pensiero (gli ingegni) che a trovare la verità.
140. Chi parlò di “popolo” parlò, in verità, di un essere bestiale (animale pazzo), pieno di mille difetti (errori), di mille assurdità (confusione), privo di finezza di giudizio (sanza gusto), privo di capacità di scelta (sanza deletto), incostante (sanza stabilità).
187. Sappiate che chi governa a casaccio si ritrova alla fine perduto. La cosa giusta (diritta) è pensare, esaminare, considerare bene ogni cosa, anche (etiam) la più piccola (minima); e anche vivendo così si portano avanti bene le cose con fatica: figuratevi come vanno [le cose] a chi si lascia trasportare dal flusso della corrente (dal corso della acqua)

Un ritratto dell’autore

Da questi Ricordi emerge un ritratto completo di Guicciardini. Vi ritroviamo: l’individuo disincantato e scettico, contrario ai ragionamenti troppo ambiziosi di filosofi e teologi (infatti, scrive, «gli uomini sono al buio delle cose», 125); lo storico, che non crede alle verità generali («È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente», 6); il politico, che riconduce spesso il discorso sull’arte del governo (187); l’intellettuale aristocratico, che volutamente prende le distanze dal popolo (140).

Oltre l’ottimismo rinascimentale

Il brano rivela anche una visione amara e pessimistica: le teorie generali sono infondate; senza la fortuna non si può ottenere nulla; filosofi e teologi pretendono di conoscere la verità, ma invece non vedono nulla. La cultura medievale è lasciata del tutto alle spalle, ma anche la fiducia rinascimentale sembra ormai lontana da questi Ricordi, quasi interamente distrutta dalle recenti guerre d’Italia. Diciamo quasi perché in realtà, nel ricordo 187, brilla ancora una scintilla dell’orgoglio razionale del Rinascimento. Bisogna «pensare, essaminare, considerare bene ogni cosa», scrive Guicciardini; dunque la ragione non è inutile, per quanto la fortuna abbia un potere di gran lunga maggiore.

Affermazioni sintetiche e concrete

Il testo è molto interessante anche sul piano dello stile. Guicciardini ricorre al genere dell’aforisma, al pensiero breve e sentenzioso, che afferma verità di carattere generale, ma senza dimostrarle. Così avviene nel ricordo 140, il più sintetico. In altri casi, invece, l’autore aggiunge un «perché», utile a precisare e a illustrare meglio (ma sempre brevemente) l’affermazione precedente. Significativo è anche il ricorso a immagini di vita quotidiana, che rendono il discorso più concreto e realistico: si consideri ad esempio l’immagine dell’«asino» che non può fare «el corso di uno cavallo» (110), o quella del fiume che scorre impetuoso e libero (187). Guicciardini non cerca teorie generali, si limita all’esperienza: da questa trae i riferimenti e le immagini che gli servono.

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