Concetti Chiave
- Il poema "Passero solitario" di Leopardi esplora la solitudine e la riflessione personale, paragonando il protagonista al passero solitario che preferisce il canto e l'isolamento.
- La canzone, pubblicata nel 1835, funge da mediatore tra la perdita delle illusioni delle canzoni e il ricordo degli idilli, esprimendo il pentimento per una vita sprecata.
- Leopardi utilizza una struttura logico-tematica rigorosa suddivisa in tre strofe, che descrivono il passero, il confronto con l'io poetico, e infine le differenze tra i due.
- Il linguaggio usato varia dalle descrizioni indefinite e armoniose delle prime strofe a termini più aspri e riflessivi nell'ultima, sottolineando il cambiamento di tono.
- Il tramonto rappresenta metaforicamente la vecchiaia, mettendo in crisi l'identificazione iniziale tra il passero e l'io poetico, che alla fine si pente della sua solitudine.
Indice
Il Passero Solitario
D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Riflessioni sulla Gioventù
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Festa e Solitudine
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.
Pubblicazione e Temi
Questa canzone appartiene ai Canti ma non si conosce l'esatta data della sua composizione, si è ipotizzato però dal 1831 al 1836 circa. Gli studiosi sono però concordi nell'affermare che venne pubblicata per la prima volta nel 1835 in undicesima posizione, poco prima degli idilli. Le canzoni sono infatti caratterizzate dalla perdita delle illusioni mentre gli idilli si concentrano sul ricordo, questa canzone sembra mediare tra i due in quanto il protagonista io poetico si pente di aver ricordato e sperato inutilmente e quindi si rende conto di aver sprecato la propria vita. Per quanto riguarda gli idilli si riscontra un continuo ricorso ai termini tipici della poetica leopardiana dell'indefinito: antica, erra, libero ciel, lontano, per lo sereno, un suon che squilla. Nell'ultima strofa però il linguaggio cambia radicalmente con parole da una struttura fonica aspra come vecchiezza, impetro, noioso oppure anche tetro.
Struttura e Confronto
Il passero solitario presenta una rigorosa struttura logico-tematica che coincide ovviamente con le tre strofe: la prima si sofferma sulla condizione del piccolo volatile, che si discosta dai suoi compagni in quanto predilige il canto e la solitudine. La seconda invece tratta del confronto tra il passero solitario e l'io poetico, entrambi infatti hanno la tendenza ad emanciparsi nella propria solitudine, Leopardi ricorda infatti quando nei giorni di festa prediligeva l'isolamento al divertimento comunitario. La terza e l'ultima invece evidenzia una differenza tra l'io poetico e il passero in quanto quest'ultimo appare dettato dalla natura e quindi non se ne può pentire mentre l'io poetico è consapevole che nella sua vecchiaia rimpiangerà questo atteggiamento. Il paragone tra i due si evidenzia in particolare nei versi diciassette e diciotto quando Leopardi scrive "Oimè quanto somiglia | al tuo costume il mio!", e la prima parola mostra un'implicita e desolata riflessione. Tuttavia il paragone si fa sempre più evidente fino ad arrivare ad una vera e propria identificazione che si nota anche a livello lessicale: il "passero solitario" del secondo verso viene corrisposto al "solingo augelin" del quarantacinquesimo oppure "trapassi dell'anno e di tua vita il più bel fiore" al quindicesimo verso corrisponde al ventiseiesimo "passo del viver mio la primavera". Questo processo di identificazione viene però messo in crisi dalla collocazione temporale della vicenda al tramonto, il quale rappresenta metaforicamente la vecchiaia.
Domande da interrogazione
- Qual è il tema principale de "Il Passero Solitario"?
- Come viene rappresentata la gioventù nel testo?
- Qual è la struttura del poema "Il Passero Solitario"?
- Quando è stata pubblicata per la prima volta la canzone "Il Passero Solitario"?
- Quali sono le differenze linguistiche tra le strofe del poema?
Il tema principale è la solitudine e il confronto tra il passero solitario e l'io poetico, entrambi caratterizzati da un'emancipazione nella solitudine.
La gioventù è rappresentata come un periodo di festa e allegria, ma anche di riflessione e solitudine per l'io poetico, che si distacca dalla comunità.
Il poema è diviso in tre strofe, ognuna con un focus diverso: la condizione del passero, il confronto con l'io poetico, e la riflessione sulla vecchiaia e il rimpianto.
La canzone è stata pubblicata per la prima volta nel 1835, in undicesima posizione tra i Canti.
Le prime strofe utilizzano termini tipici della poetica leopardiana dell'indefinito, mentre l'ultima strofa adotta un linguaggio più aspro e concreto, riflettendo il tema della vecchiaia e del rimpianto.