refranco
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Habilis
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Indice

  1. Nedda e le compagne
  2. Un destino di esclusione, solitudine e sfruttamento
  3. Le novità nella forma
  4. Il mondo della Sicilia contadina
  5. Uno stile vicino agli umili

Nedda e le compagne

In questo breve passo della novella, Nedda, dopo aver confessato al prete di essere rimasta incinta pur non essendo sposata, subisce l’emarginazione da parte della comunità del paese.

Un destino di esclusione, solitudine e sfruttamento

Il breve testo offre uno scorcio del mondo popolare siciliano, prima grande novità di Nedda. L’autore è molto attento a delineare i rapporti sociali: la protagonista viene emarginata dalle sue amiche perché dopo la confessione e la mancata comunione si è sparsa la voce del peccato commesso con Janu, condannato dalla morale del tempo. Nessuno le rivolge più la parola: esclusione e solitudine sono il destino a cui va incontro Nedda. Da queste poche righe emerge anche la tematica economica, che sarà sempre cara al Verga verista: i datori di lavoro di Nedda la pagano di meno, approfittando della sua debole posizione sociale. Alla solitudine si aggiunge lo sfruttamento.

Le novità nella forma

Per quanto riguarda la narrazione, osserviamo uno sforzo di essenzialità: dal racconto non emerge infatti alcun giudizio esplicito; a parlare sono i fatti. Infine, a livello stilistico, l’espressione «pensavano a chissà che peccatacci, e le volgevano le spalle inorridite» (rr. 9-10) anticipa la tecnica verghiana del narratore popolare: la forma peggiorativa «peccatacci» sembra infatti scaturire non dell’autore, ma direttamente dal giudizio delle compaesane.

Il mondo della Sicilia contadina

Una svolta decisiva nella carriera letteraria di Verga avviene nel giugno 1874, con l’uscita su una rivista milanese della novella Nedda, un’opera completamente nuova a partire dall’ambientazione. Si presenta infatti come un «bozzetto siciliano», cioè un breve racconto che raffigura in modo vivido e realistico il mondo della Sicilia contadina: la vicenda è infatti ambientata in un piccolo centro del catanese (una realtà dove Verga abitualmente ritorna per le vacanze estive), in un contesto di miseria e ignoranza, cristallizzato nelle sue tradizioni secolari e immutabili, come la rassegnazione dei suoi abitanti. Mentre i precedenti romanzi mettevano in scena amori impossibili, nobili passioni e desideri artistici, in Nedda i bisogni si riducono ai più essenziali: ciò che conta è riuscire a sopravvivere, anche in condizioni difficilissime.

Uno stile vicino agli umili

Protagonista del racconto è Bastianedda o Nedda, un’umile raccoglitrice di olive detta «la varannisa» perché viene dal borgo di Viagrande (in dialetto “Varanni”). La donna lascia il lavoro e, con i pochi soldi della paga settimanale, torna a casa dalla madre gravemente malata e prossima alla morte. Durante il viaggio s’innamora del giovane Janu e rimane incinta. Anche Janu, però, si ammala di malaria; debole com’è, cade da un ulivo e muore. Nedda rimane sola con la sua bambina, nata rachitica e destinata a morire dopo breve tempo. La novità di Nedda riguarda anche lo stile, perché Verga cerca di aderire linguisticamente al mondo da lui raccontato, imitando alcuni elementi della sintassi parlata e del dialetto siciliano: per esempio, «A te non ti fanno nulla tre o quattro soldi, non ti fanno». Per la prima volta l’autore abbandona l’eleganza della letteratura mondana per calarsi nel modo di pensare e di esprimersi di un personaggio umile. Almeno in parte, è un tentativo riuscito, anche se talvolta qualche commento compassionevole tradisce il giudizio dell’autore: la conquista della completa oggettività avverrà solo con i successivi capolavori veristi.

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