L’inizio dei Malavoglia
Di solito i romanzi ottocenteschi iniziavano con la descrizione del luogo e dell’epoca in cui era ambientata la vicenda; e poi, gradualmente, mettevano in scena i personaggi uno dopo l’altro. Verga non fa così.
I meccanismi del narratore popolare
L’inizio dei
Malavoglia costituisce una grande novità sul piano letterario. Esso scaturisce dalla voce del narratore popolare, che conosce già la storia e non deve spiegarla, perché sta parlando – così sembra – a un qualche altro abitante dello stesso paese, a qualcuno cioè che sa tutto come lui. Questo ascoltatore, per esempio, conosce la geografia del luogo (Ognina, Aci Trezza, Aci Castello sono tutti borghi vicino a Catania); ha ben presente, forse per averla percorsa più volte, la «strada vecchia di Trezza» (rr. 1-2); e sa chi sono i personaggi di cui si parla (padron ’Ntoni, zio Cola, padron Fortunato Cipolla). Ascoltatore e voce narrante, inoltre, condividono i medesimi riferimenti culturali e la medesima mentalità. Per esempio, dei Toscano non viene fornita una vera descrizione o caratterizzazione, di loro viene detto solo il ruolo che occupano all’interno della comunità di villaggio: sono cioè dei pescatori e hanno un’abitazione di proprietà («avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole», rr. 7-8). Coerente con l’intento di fedeltà al vero,
Verga lascia che l’intero racconto scaturisca dal narratore popolare: soltanto nel corso del romanzo, e con fatica, il lettore potrà ricostruire i riferimenti che la voce narrante conosce e sfrutta fin dall’inizio.
Una lingua vicina al popolo
A volte la voce narrante commette errori di sintassi che in un romanzo tradizionale sarebbero inaccettabili: per esempio, nella seconda frase dice «li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua». Il «che» rompe la regolarità sintattica e crea un anacoluto: presupporrebbe infatti un verbo reggente (“si sapeva”, “era noto” ecc.), ma Verga rifiuta l’uso di queste forme per rendere il discorso più immediato e vicino al modo di parlare dei pescatori di Aci Trezza. In queste prime righe notiamo, infine, come Verga rinunci a utilizzare il dialetto siciliano, che sarebbe stata la scelta più radicale di fedeltà al vero. Egli vuole raggiungere un pubblico ampio e per farlo deve impiegare l’italiano, anche se le pagine del romanzo sono cosparse di “sapore locale”: al dialetto siciliano rimandano infatti il modo di pensare dei personaggi, la costruzione dei loro discorsi, le frasi proverbiali («Per menare il remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro», rr. 15-16) e spesso anche la sintassi.
L’«artificio della regressione»
Verga riduce il più possibile la distanza che lo separa dai personaggi: fa sue le loro parole e le confonde con le proprie. Questo procedimento è stato definito dal critico Guido Baldi «artificio della regressione»: l’autore cioè “regredisce” culturalmente al livello dei parlanti e, rinunciando alla sua superiorità, esprime un punto di vista più basso e umile. Tuttavia, si tratta di una rinuncia solo apparente: infatti Verga si nasconde soltanto dietro i suoi personaggi; anche se non si vede, rimane presente nel racconto.