Pillaus
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Versione originale in latino


'Numquam apud vos verba feci aut pro vobis sollicitior aut pro me securior. Nam mihi exitium parari libens audio mortemque in tot malis [hostium] ut finem miseriarum expecto: vestri me pudet miseretque, adversus quos non proelium et acies parantur; id enim fas armorum et ius hostium est: bellum cum populo Romano vestris se manibus gesturum Classicus sperat imperiumque et sacramentum Galliarum ostentat. Adeo nos, si fortuna in praesens virtusque deseruit, etiam vetera exempla deficiunt, quotiens Romanae legiones perire praeoptaverint ne loco pellerentur? Socii saepe nostri excindi urbis suas seque cum coniugibus ac liberis cremari pertulerunt, neque aliud pretium exitus quam fides famaque.
Tolerant cum maxime inopiam obsidiumque apud Vetera legiones nec terrore aut promissis demoventur: nobis super arma et viros et egregia castrorum munimenta frumentum et commeatus quamvis longo bello pares. Pecunia nuper etiam donativo suffecit, quod sive a Vespasiano sive a Vitellio datum interpretari mavultis, ab imperatore certe Romano accepistis. Tot bellorum victores, apud Geldubam, apud Vetera, fuso totiens hoste, si pavetis aciem, indignum id quidem, sed est vallum murique et trahendi artes, donec e proximis provinciis auxilia exercitusque concurrant. Sane ego displiceam: sunt alii legati, tribuni, centurio denique aut miles. Ne hoc prodigium toto terrarum orbe vulgetur, vobis satellitibus Civilem et Classicum Italiam invasuros. An, si ad moenia urbis Germani Gallique duxerint, arma patriae inferetis? Horret animus tanti flagitii imagine. Tutorine Treviro agentur excubiae? Signum belli Batavus dabit, et Germanorum catervas supplebitis? Quis deinde sceleris exitus, cum Romanae legiones contra derexerint? Transfugae e transfugis et proditores e proditoribus inter recens et vetus sacramentum invisi deis errabitis? Te, Iuppiter optime maxime, quem per octingentos viginti annos tot triumphis coluimus, te, Quirine Romanae parens urbis, precor venerorque ut, si vobis non fuit cordi me duce haec castra incorrupta et intemerata servari, at certe pollui foedarique a Tutore et Classico ne sinatis, militibus Romanis aut innocentiam detis aut maturam et sine noxa paenitentiam.'

Traduzione all'italiano


”Mai mi sono rivolto a voi in uno stato d’animo più ansioso per voi e più tranquillo per me. È infatti un piacere apprendere che preparate la mia rovina, perché, in mezzo a tanti mali, aspetto la morte come liberazione da ogni miseria. Ma provo vergogna e pietà per voi: non vi aspetta una battaglia in campo aperto, cosa conforme alle leggi della guerra e al diritto del nemico; Classico spera invece di far la guerra al popolo romano con le vostre braccia e vi abbaglia con l’impero delle Gallie, per le quali vi chiede di giurare. Se fortuna e valore in questo momento ci abbandonano, non ci sono forse antichi esempi a ricordarci quante volte le legioni romane abbiano preferito morire invece che cedere? I nostri alleati hanno spesso accettato di vedere la distruzione delle loro città e si son fatti bruciare con le mogli e i figli e la fedeltà dimostrata e la gloria conseguente furono l’unico compenso del sacrificio. Proprio adesso a Castra Vetera le legioni sopportano fame e assedio e non li piegano né minacce né promesse; noi abbiamo armi, uomini, le solite difese del campo e in più frumento e viveri sufficienti per una guerra anche lunghissima. Il denaro, poco fa, è bastato anche per il donativo e, che vi piaccia pensare di averlo avuto da Vespasiano o da Vitellio, l’avete comunque ricevuto da un imperatore romano. Se voi, vincitori di tante guerre, voi che avete tante volte disperso a Gelduba e a Castra Vetera il nemico, avete paura dello scontro aperto, questo non vi fa onore; ma esiste un trinceramento, esistono muri e possibilità di trascinare una guerra fino all’arrivo degli aiuti di altri eserciti dalle province vicine. Sono io che non vi piaccio? Ci sono altri legati, altri tribuni e centurioni e perfino soldati. Ma non si diffonda per il mondo la mostruosa notizia di voi sgherri al servizio di Civile e di Classico per invadere l’Italia. E se Germani e Galli vi condurranno alle porte di Roma, brandirete le armi contro la patria? Il mio animo arretra spaventato all’idea di un simile crimine. E monterete la guardia a Tutore, a un Treviro? Un Batavo darà il segnale di battaglia e voi colmerete i vuoti delle orde germaniche? E quando marceranno contro di voi le legioni romane, che conclusione avrà il vostro delitto? Disertori di chi ha disertato e traditori di chi ha tradito, andrete errando, maledetti dagli dèi, tra il nuovo e il vecchio giuramento? Te, Giove Ottimo Massimo, che per ottocentoventi anni abbiamo onorato in tanti trionfi; te, Quirino, padre della città di Roma, io invoco e supplico: se non avete voluto serbare questo campo puro e incontaminato sotto il mio comando, almeno non permettete che sia insozzato e profanato da un Tutore e da un Classico; concedete ai soldati romani di non macchiarsi di questa colpa o, senza danno, di pentirsene in tempo”.

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