Pillaus
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Versione originale in latino


Quomodo extorqueant, non quomodo petant honores, quaerunt; et ita maxima sunt adepturi, ut nihil ne pro minimis quidem debeant; et occasionibus potius quam virtute petere honores malunt. Est aliquis, qui se inspici, aestimari fastidiat, qui certos sibi uni honores inter dimicantes competitores aequum censeat esse, qui se arbitrio vestro eximat, qui vestra necessaria suffragia pro voluntariis et serva pro liberis faciat. Omitto Licinium Sextiumque, quorum annos in perpetua potestate tamquam regum in Capitolio numeratis: quis est hodie in civitate tam humilis cui non via ad consulatum facilior per istius legis occasionem quam nobis ac liberis nostris fiat, si quidem nos ne cum volueritis quidem creare interdum poteritis, istos etiam si nolueritis necesse sit? De indignitate satis dictum est -etenim dignitas ad homines pertinet - : quid de religionibus atque auspiciis - quae propria deorum immortalium contemptio atque iniuria est - loquar? Auspiciis hanc urbem conditam esse, auspiciis bello ac pace domi militiaeque omnia geri, quis est qui ignoret? Penes quos igitur sunt auspicia more maiorum? Nempe penes patres; nam plebeius quidem magistratus nullus auspicato creatur; nobis adeo propria sunt auspicia, ut non solum quos populus creat patricios magistratus non aliter quam auspicato creet sed nos quoque ipsi sine suffragio populi auspicato interregem prodamus et privatim auspicia habeamus, quae isti ne in magistratibus quidem habent.
Quid igitur aliud quam tollit ex civitate auspicia qui plebeios consules creando a patribus, qui soli ea habere possunt, aufert? Eludant nunc licet religiones: "quid enim est, si pulli non pascentur, si ex cavea tardius exierint, si occecinerit avis?" parva sunt haec; sed parva ista non contemnendo maiores vestri maximam hanc rem fecerunt; nunc nos, tamquam iam nihil pace deorum opus sit, omnes caerimonias polluimus. Volgo ergo pontifices, augures, sacrificuli reges creentur; cuilibet apicem Dialem, dummodo homo sit imponamus; tradamus ancilia, penetralia, deos deorumque curam, quibus nefas est; non leges auspicato ferantur, non magistratus creentur; nec centuriatis nec curiatis comitiis patres auctores fiant; Sextius et Licinius tamquam Romulus ac Tatius in urbe Romana regnent, quia pecunias alienas, quia agros dono dant. Tanta dulcedo est ex alienis fortunis praedandi, nec in mentem venit altera lege solitudines vastas in agris fieri pellendo finibus dominos, altera fidem abrogari cum qua omnis humana societas tollitur? Omnium rerum causa vobis antiquandas censeo istas rogationes. Quod faxitis deos velim fortunare.'

Traduzione all'italiano


Cercano il modo non di ottenere, ma di estorcere le cariche. Così si sforzano di raggiungere le più alte in maniera tale da non avere il benché minimo dovere di riconoscenza per le minori. Preferiscono cioè inseguire le cariche basandosi sulle circostanze piuttosto che sui valori effettivi. C'è qualcuno che prova fastidio a essere tenuto sotto controllo e a subire una qualche valutazione, che ritiene giusto il fatto di essere il solo ad avere la sicurezza dell'elezione fra i vari in lizza per le cariche, che si sottrae al vostro giudizio, o ancora che rende il vostro voto da facoltativo a obbligatorio, trasformandolo da libero in servile. Non parlo di Licinio e di Sestio, i cui anni di continuo potere voi già contate come quelli dei re sul Campidoglio. Chi c'è oggi di così bassa condizione tra i cittadini al quale questa legge non conceda di accedere al consolato in maniera più agevole di quanto non offra a noi e ai nostri figli, se davvero non potrete eleggerci anche quando lo vorrete, mentre queste persone sarete costretti ad eleggerle anche se non lo desidererete? Dell'indegna bassezza di questa cosa si è detto abbastanza. Ma agli uomini si addice la dignità: che cosa dovrei dire dei riti religiosi e degli auspici, disprezzando i quali si offendono e si oltraggiano gli dèi immortali? Chi mai ignora che questa città è stata fondata in base a degli auspici e che in base a degli auspici si è sempre presa ogni decisione, in guerra e in pace, in patria e sul suolo di battaglia? Ebbene? A chi spettano gli auspici in base alla tradizione dei nostri padri? Ai patrizi, evidentemente. Infatti nessun magistrato plebeo viene eletto dopo aver preso gli auspici. E gli auspici ci appartengono in maniera così esclusiva che non solo i magistrati patrizi eletti dal popolo possono essere eletti solo dopo aver preso gli auspici, ma siamo sempre noi che, pur senza il voto del popolo, nominiamo l'interré in base agli auspici e anche in qualità di privati cittadini abbiamo il diritto di trarre gli auspici, dal quale costoro sono invece esclusi addirittura nella loro veste di magistrati. Di conseguenza, chi pretende di eleggere dei consoli plebei privando così degli auspici i patrizi che sono gli unici ad avere il diritto di trarli, che altro fa se non privarne l'intero paese? Se lo vogliono, adesso possono farsi beffe degli scrupoli religiosi e dire: "Che cosa importa se i polli non mangiano, se escono più lentamente dal pollaio o se un uccello emette un verso di malaugurio?". Ma queste sono cose da poco: eppure, è proprio perché i vostri antenati non hanno disprezzato cose da poco come queste se sono riusciti a fare grande questo paese. E ora noi, come se non avessimo più bisogno del favore degli dèi, stiamo profanando tutte le cerimonie. Allora lasciamo pure che pontefici, àuguri e re dei sacrifici vengano eletti a casaccio. Mettiamo pure sulla testa del primo venuto il copricapo del flamine Diale, purché si tratti di un uomo, affidiamo pure gli scudi sacri, i santuari, gli dèi e il loro culto a coloro cui non è lecito affidare tutto ciò. Lasciamo che le leggi vengano approvate e i magistrati eletti senza prima trarre gli auspici, e che tanto i comizi centuriati quanto quelli curiati non abbiano l'approvazione dei senatori. Lasciamo che Sestio e Licinio regnino a Roma come Romolo e Tazio, visto che vogliono regalare il denaro e le proprietà altrui. È dunque così forte la voglia di razziare i patrimoni degli altri? Non viene loro in mente che una delle leggi presentate, cacciando i padroni dalle terre di loro proprietà, creerà vasti deserti nelle campagne, e che l'altra eliminerà la fiducia nella parola data e insieme ad essa ogni possibile rapporto tra gli esseri umani? Per tutti questi motivi ritengo sia vostro dovere respingere queste proposte. E possano gli dèi rendere propizio ciò che farete."

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