Pillaus
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Versione originale in latino


Insequenti anno, A. Manlio P. Cornelio T. Et L. Quinctiis Capitolinis L. Papirio Cursore [iterum C. Sergio] iterum tribunis consulari potestate, grave bellum foris, gravior domi seditio exorta, bellum ab Volscis adiuncta Latinorum atque Hernicorum defectione, seditio, unde minime timeri potuit, a patriciae gentis viro et inclitae famae, M. Manlio Capitolino. Qui nimius animi cum alios principes sperneret, uni invideret eximio simul honoribus atque virtutibus, M.
Furio, aegre ferebat solum eum in magistratibus, solum apud exercitus esse; tantum iam eminere ut iisdem auspiciis creatos non pro collegis sed pro ministris habeat; cum interim, si quis vere aestimare velit, a M. Furio reciperari patria ex obsidione hostium non potuerit, nisi a se prius Capitolium atque arx servata esset; et ille inter aurum accipiendum et in spem pacis solutis animis Gallos adgressus sit, ipse armatos capientesque arcem depulerit; illius gloriae pars virilis apud omnes milites sit qui simul vicerint: suae victoriae neminem omnium mortalium socium esse. His opinionibus inflato animo, ad hoc vitio quoque ingenii vehemens et impotens, postquam inter patres non quantum aequum censebat excellere suas opes animadvertit, primus omnium ex patribus popularis factus cum plebeiis magistratibus consilia communicare; criminando patres, alliciendo ad se plebem iam aura non consilio ferri famaeque magnae malle quam bonae esse. Et non contentus agrariis legibus, quae materia semper tribunis plebi seditionum fuisset, fidem moliri coepit: acriores quippe aeris alieni stimulos esse, qui non egestatem modo atque ignominiam minentur sed nervo ac vinculis corpus liberum territent. Et erat aeris alieni magna vis re damnosissima etiam divitibus, aedificando, contracta. Bellum itaque Volscum, grave per se, oneratum Latinorum atque Hernicorum defectione, in speciem causae iactatum ut maior potestas quaereretur; sed nova consilia Manli magis compulere senatum ad dictatorem creandum. Creatus A. Cornelius Cossus magistrum equitum dixit T. Quinctium Capitolinum.

Traduzione all'italiano


L'anno successivo, quando cioè erano tribuni militari con potere consolare Aulo Manlio, Publio Cornelio, Tito e Lucio Quinzio Capitolino, Lucio Papirio Cursore e Gneo Sergio (entrambi alla loro seconda esperienza), ci furono all'esterno una guerra di una certa gravità e in patria dei disordini ben più gravi. Alla guerra scatenata dai Volsci si aggiunse la defezione di Latini ed Ernici; mentre i disordini scoppiarono là dove meno lo si sarebbe previsto, e il responsabile fu Marco Manlio Capitolino, un patrizio che godeva di larga rinomanza. Pieno di superbia, disprezzava il resto dei capi e ne invidiava uno solo, Marco Furio, insigne per onori e meriti. Egli non riusciva a tollerare che Camillo avesse raggiunto tanto tra i magistrati quanto presso gli eserciti un tale grado di assoluta preminenza da considerare al rango di servitori e non di colleghi quelli che erano stati eletti sotto i suoi stessi auspici, quando - se uno avesse considerato la questione in maniera obiettiva - Marco Furio non avrebbe mai potuto strappare la patria dall'assedio nemico, se lui, Manlio, non avesse prima salvato il Campidoglio e la rocca. Mentre Camillo aveva attaccato i Galli nel momento in cui ricevevano l'oro e non stavano in guardia, pensando alla pace, lui invece li aveva respinti quando armi in pugno erano sul punto di impossessarsi della rocca. Buona parte della gloria di Camillo apparteneva ai soldati che avevano conquistato la vittoria insieme a lui, mentre tutti sapevano che Manlio non doveva dividere con nessun essere mortale la propria vittoria. Imbaldanzito da queste idee ed essendo anche impetuoso e violento di carattere, quando si rese conto di non riuscire a emergere tra i senatori come egli riteneva di meritare, fu il primo tra tutti i patrizi a passare dalla parte del popolo e ad accordarsi coi magistrati plebei. Lanciando accuse ai senatori e cercando di attirarsi il favore della plebe, non si lasciava più guidare dal raziocinio ma dall'umore incostante della massa, e preferiva che la sua fama fosse grande piuttosto che buona. E non contento delle leggi agrarie che ai tribuni della plebe avevano sempre fornito materia per scatenare disordini, cominciò un attacco sul pubblico credito: a suo dire i debiti erano un tormento ben più fastidioso perché facevano rischiare non soltanto la povertà e il disonore, ma terrorizzavano gli uomini di condizione libera col pensiero della frusta e delle catene. E infatti c'era stato un grande accumulo di debiti contratti con le opere di ricostruzione, che anche ai ricchi avevano procurato enorme danno. E così la guerra contro i Volsci, già di per sé preoccupante ma resa ancora più preoccupante dalla defezione di Latini ed Ernici, venne utilizzata allo scopo di ottenere maggiore potere. Ma soprattutto le rivoluzionarie idee di Manlio furono la causa principale della nomina, voluta dal senato, di un dittatore. Venne scelto per l'incarico Aulo Cornelio Cosso, il quale nominò maestro di cavalleria Tito Quinzio Capitolino.

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