Mika
di Mika
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Versione originale in latino


Quae ab condita urbe Roma ad captam eandem Romani sub regibus primum, consulibus deinde ac dictatoribus decemvirisque ac tribunis consularibus gessere, foris bella, domi seditiones, quinque libris exposui, res cum vetustate nimia obscuras velut quae magno ex intervallo loci vix cernuntur, tum quid rarae per eadem tempora litterae fuere, una custodia fidelis memoriae rerum gestarum, et quod, etiam si quae in commentariis pontificum aliisque publicis privatisque erant monumentis, incensa urbe pleraeque interiere.
Clariora deinceps certioraque ab secunda origine velut ab stirpibus laetius feraciusque renatae urbis gesta domi militiaeque exponentur. Ceterum primo quo adminiculo erecta erat eodem innixa M. Furio principe stetit, neque eum abdicare se dictatura nisi anno circumacto passi sunt. Comitia in insequentem annum tribunos habere quorum in magistratu capta urbs esset, non placuit; res ad interregnum rediit. Cum civitas in opere ac labore assiduo reficiendae urbis teneretur, interim Q. Fabio, simul primum magistratu abiit, ab Cn. Marcio tribuno plebis dicta dies est, quod legatus in Gallos - ad quos missus erat orator - contra ius gentium pugnasset; cui iudicio eum mors, adeo opportuna ut voluntariam magna pars crederet, subtraxit. Interregnum initum: P. Cornelius Scipio interrex et post eum M. Furius Camillus [iterum]. Is tribunos militum consulari potestate creat L. Valerium Publicolam iterum L. Verginium P. Cornelium A. Manlium L. Aemilium L. Postumium. Hi ex interregno cum extemplo magistratum inissent, nulla de re prius quam de religionibus senatum consuluere. In primis foedera ac leges - erant autem eae duodecim tabulae et quaedam regiae leges - conquiri, quae comparerent, iusserunt; alia ex eis edita etiam in volgus: quae autem ad sacra pertinebant a pontificibus maxime ut religione obstrictos haberent multitudinis animos suppressa. Tum de diebus religiosis agitari coeptum, diemque a. D. XU Kal. Sextiles, duplici clade insignem, quo die ad Cremeram Fabii caesi, quo deinde ad Alliam cum exitio urbis foede pugnatum, a posteriore clade Alliensem appellarunt, + insignemque rei nullius publice privatimque agendae + fecerunt. Quidam, quod postridie Idus Quintiles non litasset Sulpicius tribunus militum neque inventa pace deum post diem tertium obiectus hosti exercitus Romanus esset, etiam postridie Idus rebus divinis supersederi iussum, inde, ut postridie Kalendas quoque ac Nonas eadem religio esset, traditum putant.

Traduzione all'italiano


Ho esposto in cinque libri le guerre all'esterno e le rivolte all'interno che i Romani fecero dalla fondazione di Roma alla presa della stessa città, dapprima sotto i re, poi sotto i consoli, i dittatori, i decemviri e i tribuni consolari. Gli eventi sono oscuri tanto per l'eccessiva antichità, allo stesso modo di quegli oggetti che a stento si distinguono per la grande distanza, quanto perché in quei tempi le testimonianze scritte, uniche custodi fedeli della storia, erano scarse e brevi, e perché, anche se alcune notizie erano nei commentari dei pontefici e in altri documenti di carattere pubblico e privato, la città fu incendiata e la maggior parte andò perduta. Verranno esposti i successivi avvenimenti più chiari e sicuri in pace e in guerra dalla seconda fondazione, come se da nuove radici la città fosse rimasta con più letizia e ricchezza. Ora Roma si resse in un primo tempo su quello stesso supporto che le aveva permesso di rialzare la testa, e cioè su Marco Furio, il suo cittadino più in vista, cui la gente non permise di abdicare dalla dittatura se non allo scadere dell'anno. Il fatto che presiedessero le elezioni per l'anno successivo quei tribuni sotto la cui magistratura la città era stata presa non sembrò cosa molto saggia: si tornò così all'interregno. Mentre la cittadinanza era occupata nelle incessanti e faticose opere di ricostruzione della città, Quinto Fabio, non appena uscito di carica, venne citato in giudizio dal tribuno della plebe Gneo Marcio con l'accusa di aver violato il diritto delle genti per aver combattuto contro i Galli ai quali era stato inviato in qualità di ambasciatore; la morte gli fece evitare però il processo e fu così tempestiva da far pensare alla maggior parte della gente che si fosse trattato di suicidio. L'interregno cominciò: interrè fu Publio Cornelio Scipione e dopo di lui Marco Furio Camillo. Questi nominò tribuni militari con potere consolare Lucio Valerio Publicola (per la seconda volta), Lucio Verginio, Publio Cornelio, Aulo Manlio, Lucio Emilio e Lucio Postumio. Entrati in carica immediatamente dopo l'interregno, essi diedero la precedenza assoluta alla discussione in senato delle questioni di natura religiosa. Uno dei primi provvedimenti presi fu quello di ordinare la raccolta dei trattati e delle leggi (quelle, cioè, delle dodici tavole e alcune leggi di età monarchica) ancora reperibili. Alcune di esse vennero rese accessibili anche al pubblico: quelle che però riguardavano la sfera cultuale furono tenute segrete dai pontefici, più che altro per soggiogare l'animo della massa con i vincoli religiosi. Poi si iniziò a discutere dei giorni nefasti. Il 18 luglio, giorno famigerato per una duplice sciagura, ossia il massacro dei Fabi presso il Cremera e il disastro militare dell'Allia con la conseguente distruzione di Roma, da quest'ultima disfatta venne chiamato Alliense e distinto dagli altri come non adatto allo svolgimento di ogni tipo di attività pubblica e privata. Ma siccome il giorno successivo alle Idi di giugno il tribuno militare Sulpicio non aveva offerto adeguati sacrifici e tre giorni dopo l'esercito romano era stato opposto al nemico senza aver ottenuto l' approvazione divina, alcuni ritengono che per questo motivo venne imposto di tralasciare i riti religiosi anche il giorno successivo alle Idi. Di lì si ritiene che divenne patrimonio tradizionale osservare lo stesso divieto anche nei giorni successivi alle Calende e alle None.

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