Versione originale in latino
Ubi in recensendis captivis cum Tusculani aliquot noscitarentur, secreti ab aliis ad tribunos adducuntur percontantibusque fassi publico consilio se militasse. Cuius tam vicini belli metu Camillus motus extemplo se Romam captivos ducturum ait, ne patres ignari sint Tusculanos ab societate descisse: castris exercituique interim, si videatur, praesit collega. Documento unus dies fuerat, ne sua consilia melioribus praeferret; nec tamen aut ipsi aut in exercitu cuiquam satis placato animo Camillus laturus culpam eius videbatur, qua data in tam praecipitem casum res publica esset; et cum in exercitu tum Romae constans omnium fama erat, cum varia fortuna in Volscis gesta res esset, adversae pugnae fugaeque in L. Furio culpam, secundae decus omne penes M. Furium esse. Introductis in senatum captivis cum bello persequendos Tusculanos patres censuissent Camilloque id bellum mandassent, adiutorem sibi ad eam rem unum petit, permissoque ut ex collegis optaret quem vellet contra spem omnium L. Furium optavit; qua moderatione animi cum collegae levavit infamiam tum sibi gloriam ingentem peperit. Nec fuit cum Tusculanis bellum: pace constanti vim Romanam arcuerunt quam armis non poterant. Intrantibus fines Romanis non demigratum ex propinquis itineri locis, non cultus agrorum intermissus; patentibus portis urbis togati obviam frequentes imperatoribus processere; commeatus exercitui comiter in castra ex urbe et ex agris devehitur. Camillus castris ante portas positis, eademne forma pacis quae in agris ostentaretur etiam intra moenia esset scire cupiens, ingressus urbem ubi patentes ianuas et tabernis apertis proposita omnia in medio vidit intentosque opifices suo quemque operi et ludos litterarum strepere discentium vocibus ac repletas semitas inter volgus aliud puerorum et mulierum huc atque illuc euntium qua quemque suorum usuum causae ferrent, nihil usquam non pavidis modo sed ne mirantibus quidem simile, circumspiciebat omnia, inquirens oculis ubinam bellum fuisset; adeo nec amotae rei usquam nec oblatae ad tempus vestigium ullum erat sed ita omnia constanti tranquilla pace ut eo vix fama belli perlata videri posset.
Traduzione all'italiano
Durante la rassegna alcuni prigionieri vennero riconosciuti come Tuscolani: furono separati dagli altri e condotti di fronte ai tribuni, alle cui domande risposero di aver preso parte a quella guerra a séguito di una deliberazione pubblica. Preoccupato da una guerra con una popolazione così vicina, Camillo dichiarò che avrebbe immediatamente portato i prigionieri a Roma, affinché i senatori venissero informati che i Tuscolani avevano rotto l'alleanza. Nel frattempo il collega, se non aveva nulla in contrario, assumesse il comando dell'accampamento e dell'esercito. Un solo giorno era bastato per insegnare a Lucio Furio a non anteporre la propria decisione a progetti più assennati. Tuttavia né lui né nessun altro all'interno dell'esercito supponeva che Camillo gli avrebbe tranquillamente lasciato passare l'errore per cui il paese si era trovato in una situazione tanto disperata. E non solo nell'esercito, ma anche a Roma tutti erano d'accordo nell'affermare che, nella varia fortuna dell'azione contro i Volsci, la colpa dell'insuccesso momentaneo e della fuga era di Lucio Furio, mentre l'intero merito per la vittoria toccava a Camillo. Ma quando i prigionieri vennero introdotti in senato e i senatori, dopo aver deciso di punire i Tuscolani con la guerra, ne affidarono il comando a Camillo, questi chiese di poter avere un collaboratore per quell'impresa, ed essendogli stato concesso di scegliere il collega che preferiva, contro le previsioni di tutti egli optò per Lucio Furio. E se con questo gesto di moderazione Camillo cancellò il disonore del collega, nel contempo procurò a se stesso grande gloria. Ma coi Tuscolani non si arrivò alla guerra: grazie a una condotta stabilmente pacifica, essi evitarono la violenza dei Romani a cui non avrebbero potuto resistere con le armi. Quando i Romani fecero ingresso nel loro territorio, essi non fuggirono dalle zone vicine alla direzione di marcia, non interruppero i lavori nei campi, e lasciando aperte le porte della città, andarono incontro ai comandanti in gran folla e vestiti in abiti civili. Dalla città e dalle campagne vennero generosamente portati nell'accampamento viveri per l'esercito. Posto il campo di fronte alle porte, Camillo, desiderando sapere se anche all'interno delle mura appariva la stessa aria di pace che si ostentava nelle campagne, entrò in città. Lì vide le porte delle case spalancate, le botteghe aperte, con tutta la mercanzia bene in vista, gli artigiani impegnati ciascuno nel proprio lavoro, le scuole che risuonavano per le voci degli scolari, le strade piene di gente con donne e bambini mescolati tra la folla e diretti là dove i rispettivi impegni li chiamavano, il tutto senza avvertire da nessuna parte non solo alcun segno di paura ma nemmeno di stupore. Camillo si guardava intorno con attenzione, cercando di scoprire le tracce tangibili di una guerra imminente. Ma non c'era alcun segno di cose spostate o preparate per l'occasione. Anzi tutto era così immerso in una quiete pacifica e costante, che sembrava impossibile vi fosse anche solo arrivata una qualche notizia della guerra.