Mika
di Mika
(885 punti)
7' di lettura

Versione originale in latino


Nec diu licuit quietis consilia erigendae ex tam gravi casu rei publicae secum agitare. Hinc Volsci, veteres hostes, ad exstinguendum nomen Romanum arma ceperant: hinc Etruriae principum ex omnibus populis coniurationem de bello ad fanum Voltumnae factam mercatores adferebant. Novus quoque terror accesserat defectione Latinorum Hernicorumque, qui post pugnam ad lacum Regillum factam per annos prope centum nunquam ambigua fide in amicitia populi Romani fuerant.
Itaque cum tanti undique terrores circumstarent appareretque omnibus non odio solum apud hostes sed contemptu etiam inter socios nomen Romanum laborare, placuit eiusdem auspiciis defendi rem publicam cuius reciperata esset dictatoremque dici M. Furium Camillum. Is dictator C. Servilium Ahalam magistrum equitum dixit; iustitioque indicto dilectum iuniorum habuit ita ut seniores quoque, quibus aliquid roboris superesset, in verba sua iuratos centuriaret. Exercitum conscriptum armatumque trifariam divisit: partem unam in agro Veiente Etruriae opposuit, alteram ante urbem castra locare iussit; tribuni militum his A. Manlius, illis quia adversus Etruscos mittebantur L. Aemilius praepositus; tertiam partem ipse ad Volscos duxit nec procul a Lanuvio - ad Mecium is locus dicitur - castra oppugnare est adortus. Quibus ab contemptu, quod prope omnem deletam a Gallis Romanam iuventutem crederent, ad bellum profectis tantum Camillus auditus imperator terroris intulerat ut vallo se ipsi, vallum congestis arboribus saepirent, ne qua intrare ad munimenta hostis posset. Quod ubi animadvertit Camillus, ignem in obiectam saepem coici iussit; et forte erat vis magna venti versa in hostem; itaque non aperuit solum incendio viam sed flammis in castra tendentibus vapore etiam ac fumo crepituque viridis materiae flagrantis ita consternavit hostes, ut minor moles superantibus vallum militibus munitum in castra Volscorum Romanis fuerit quam transcendentibus saepem incendio absumptam fuerat. Fusis hostibus caesisque cum castra impetu cepisset dictator, praedam militi dedit, quo minus speratam minime largitore duce, eo militi gratiorem. Persecutus deinde fugientes cum omnem Volscum agrum depopulatus esset, ad deditionem Volscos septuagesimo demum anno subegit. Victor ex Volscis in Aequos transiit et ipsos bellum molientes; exercitum eorum ad Bolas oppressit, nec castra modo sed urbem etiam adgressus impetu primo cepit.

Traduzione all'italiano


Ma ai Romani non venne concesso di riflettere a lungo con serenità sui progetti di ricostruzione del paese dopo un disastro tanto grave. Da un lato i Volsci, vecchi nemici, avevano preso le armi per estinguere il nome di Roma: dall'altro i mercanti riferivano di una congiura dei capi dell'Etruria ardita tra tutti i popoli presso il tempio di Voltumna. Anche un nuovo terrore si era agginto con la defezione dei Latini e degli Erni, che dopo la battaglia del lago Regillo per quasi cento anni erano stati in amicizia con il popolo Romano con una fedeltà sempre costante. Poiché da ogni parte circondavano tanti terrori e sembrava opportuno a tutti indebolire il nome di Roma non solo con l'odio presso i nemici ma anche con il disprezzo tra gli alleati, si decise di difendere lo stato con gli ordini di chi l'aveva anche salvato e di nominare dittatore Marco Furio Camillo. Questi, nella sua veste di dittatore, scelse come proprio maestro di cavalleria Gaio Servilio Aala e, dopo aver proclamato la sospensione dell'attività giudiziaria, organizzò una leva militare di giovani, facendo in modo però di distribuire in centurie, dopo un giuramento di obbedienza, anche i veterani dotati di un certo vigore fisico. Dopo aver così arruolato ed armato l'esercito, lo suddivise in tre parti. La prima, la stanziò nel territorio di Veio col compito di fronteggiare gli Etruschi. Alla seconda diede ordine di accamparsi di fronte a Roma, e ne affidò il comando al tribuno militare Aulo Manlio, mentre pose a capo delle truppe inviate contro gli Etruschi Lucio Emilio. La terza parte dell'esercitò la guidò lui in persona contro i Volsci e poco distante da Lanuvio - in un punto che si chiama Mecio - ne attaccò l'accampamento. I Volsci, che si erano buttati nella guerra spinti dal disprezzo e dalla convinzione che quasi tutta la gioventù romana fosse stata distrutta dai Galli, non appena seppero che il comandante era Camillo, si spaventarono a tal punto da proteggere se stessi con una palizzata e la palizzata con una barriera di tronchi d'albero, in maniera che il nemico non potesse penetrare da nessuna parte all'interno dei loro dispositivi di difesa. Quando Camillo se ne rese conto, ordinò ai suoi uomini di dar fuoco allo sbarramento di tronchi. Si era levato, per caso, un forte vento in direzione dei nemici, ed esso non solo aprì la strada all'incendio, ma spingendo verso le tende le fiamme miste al vapore, al fumo e al crepitio del legno verde che bruciava spaventò a tal punto i nemici che i soldati romani trovarono minore difficoltà nel superare la trincea fortificata dei Volsci di quanta non ne avessero avuta nell'attraversare la barriera divorata dal fuoco. Sbaragliati e fatti a pezzi i nemici, dopo aver assaltato vittoriosamente l'accampamento, il dittatore concesse il bottino ai soldati, cosa che risultò tanto più gradita alle truppe quanto meno attesa giunse, vista la scarsa abitudine del comandante a tali largizioni. Quindi, dopo aver dato la caccia ai fuggitivi devastando nel contempo l'intera campagna volsca, Camillo costrinse finalmente i Volsci alla resa dopo settant'anni di guerra. Vittorioso sui Volsci, Camillo si rivolse contro gli Equi che erano ugualmente impegnati in preparativi di guerra. Piombò a sorpresa sul loro esercito nei pressi di Bola e al primo assalto ne catturò non solo l'accampamento ma anche la città.

Domande e risposte