Versione originale in latino
Haec culti neglectique numinis tanta monumenta in rebus humanis cernentes ecquid sentitis, Quirites, quantum vixdum e naufragiis prioris culpae cladisque emergentes paremus nefas? Urbem auspicato inauguratoque conditam habemus; nullus locus in ea non religionum deorumque est plenus; sacrificiis sollemnibus non dies magis stati quam loca sunt in quibus fiant. Hos omnes deos publicos privatosque, Quirites, deserturi estis? Quam par vestrum factum [ei] est quod in obsidione nuper in egregio adulescente, C. Fabio, non minore hostium admiratione quam vestra conspectum est, cum inter Gallica tela degressus ex arce sollemne Fabiae gentis in colle Quirinali obiit? An gentilicia sacra ne in bello quidem intermitti, publica sacra et Romanos deos etiam in pace deseri placet, et pontifices flaminesque neglegentiores publicarum religionum esse quam privatus in sollemni gentis fuerit? Forsitan aliquis dicat aut Veiis ea nos facturos aut huc inde missuros sacerdotes nostros qui faciant; quorum neutrum fieri salvis caerimoniis potest. Et ne omnia generatim sacra omnesque percenseam deos, in Iovis epulo num alibi quam in Capitolio pulvinar suscipi potest? Quid de aeternis Vestae ignibus signoque quod imperii pignus custodia eius templi tenetur loquar? Quid de ancilibus vestris, Mars Gradive tuque, Quirine pater? Haec omnia in profano deseri placet sacra, aequalia urbi, quaedam vetustiora origine urbis? Et videte quid inter nos ac maiores intersit. Illi sacra quaedam in monte Albano Laviniique nobis facienda tradiderunt. An ex hostium urbibus Romam ad nos transferri sacra religiosum fuit, hinc sine piaculo in hostium urbem Veios transferemus? Recordamini, agite dum, quotiens sacra instaurentur, quia aliquid ex patrio ritu neglegentia casuve praetermissum est. Modo quae res post prodigium Albani lacus nisi instauratio sacrorum auspiciorumque renovatio adfectae Veienti bello rei publicae remedio fuit? At etiam, tamquam veterum religionum memores, et peregrinos deos transtulimus Romam et instituimus novos. Iuno regina transvecta a Veiis nuper in Aventino quam insigni ob excellens matronarum studium celebrique dedicata est die". Aio Locutio templum propter caelestem vocem exauditam in Nova via iussimus fieri; Capitolinos ludos sollemnibus aliis addidimus collegiumque ad id novum auctore senatu condidimus; quid horum opus fuit suscipi, si una cum Gallis urbem Romanam relicturi fuimus, si non voluntate mansimus in Capitolio per tot menses obsidionis, sed ab hostibus metu retenti sumus? De sacris loquimur et de templis; quid tandem de sacerdotibus? Nonne in mentem venit quantum piaculi committatur? Vestalibus nempe una illa sedes est, ex qua eas nihil unquam praeterquam urbs capta movit; flamini Diali noctem unam manere extra urbem nefas est. Hos Veientes pro Romanis facturi estis sacerdotes, et Vestales tuae te deserent, Vesta, et flamen peregre habitando in singulas noctes tantum sibi reique publicae piaculi contrahet? Quid alia quae auspicato agimus omnia fere intra pomerium, cui oblivioni aut neglegentiae damus? Comitia curiata, quae rem militarem continent, comitia centuriata, quibus consules tribunosque militares creatis, ubi auspicato, nisi ubi adsolent, fieri possunt? Veiosne haec transferemus? An comitiorum causa populus tanto incommodo in desertam hanc ab dis hominibusque urbem conveniet?
Traduzione all'italiano
Vedendo queste testimonianze di quanto valga nelle cose umane seguire la divinità o trascurarla, non cominciate, o Quiriti, a intuire che empietà ci avviamo a commettere pur essendo appena scampati dal naufragio di una sconfitta che è la conseguenza della nostra colpa? Abbiamo una città fondata secondo i dovuti auspici ed augùri. In essa non vi è un solo angolo che non sia permeato dall'idea di religione e dalla presenza divina. Per i sacrifici solenni sono fissi non meno dei giorni i luoghi nei quali devono essere offerti. Avete dunque, o Quiriti, intenzione di abbandonare tutte queste divinità tanto dello stato quanto delle famiglie? Come può esserci una qualche somiglianza tra la vostra condotta e quella del nobile giovane di nome Gaio Fabio che durante il recente assedio è stata ammirata non meno dai nemici che da voi, quando scendendo dalla cittadella tra le armi dei Galli si recò a compiere il rito prescritto alla famiglia Fabia sul colle Quirinale? Siete disposti a non trascurare gli atti di culto gentilizi nemmeno in tempo di guerra, e a abbandonare quelli di stato e gli dèi romani anche in tempo di pace? Accettereste che i pontefici e i flamini abbiano per i culti di stato minor cura di quanta non ne abbia avuta un privato cittadino per un rito della propria famiglia? Qualcuno potrebbe forse dire che questi culti li praticheremo a Veio oppure che di là invieremo qui a Roma dei nostri sacerdoti col compito di praticarli. Nessuna delle due soluzioni rispetta il rituale. E senza enumerare le singole cerimonie e divinità, sarebbe possibile che durante il banchetto in onore di Giove il lettisternio venga allestito in un altro punto al di fuori del Campidoglio? Che dire poi del fuoco eterno di Vesta o della statua conservata all'interno del suo tempio come pegno del nostro potere? Che dire dei vostri scudi sacri, o Marte Gradivo, o tu, padre Quirino? Sareste dunque disposti ad abbandonare su suolo non consacrato tutti questi oggetti che sono coevi alla città e che in alcuni casi ri sultano ancora più antichi della sua stessa origine? Considerate quale sia la differenza tra noi e i nostri antenati: essi ci hanno tramandato alcuni riti da compiere sul monte Albano e a Lavinio. Ma se essi considerarono sacrilego trasferire dei riti da città straniere qui da noi a Roma, sarà mai possibile trasferirli di qui in una città nemica, senza che se ne debba pagare le conseguenze? Cercate, ve ne prego, di ricordare quante volte si sono rinnovate le cerimonie perché qualcosa del rito dei padri, vuoi per incuria o vuoi per fattori accidentali, era stato omesso. Poco tempo fa, dopo il prodigio del lago Albano, cosa fu d'aiuto alla città travagliata dalla guerra contro Veio se non il ripristino dei riti sacri e il rinnovamento degli auspici? Ma oltre a ciò, dimostrandoci memori del passato fervore religioso, non solo abbiamo introdotto a Roma delle divinità straniere, ma ne abbiamo anche istituito delle nuove. A Giunone Regina, trasferita di recente da Veio sull'Aventino, con che grandiosa magnificenza è stato dedicato un tempio grazie alla cura zelante delle matrone! Abbiamo ordinato di costruire un tempio in onore di Aio Locuzio per la voce udita nella Via Nuova e proveniente dal cielo. Abbiamo aggiunto i Ludi Capitolini alle altre manifestazioni solenni e per volere del senato abbiamo costituito a tal fine un collegio speciale. Che bisogno c'era di introdurre queste novità, se avevamo intenzione di abbandonare Roma insieme ai Galli, e se non per nostra volontà siamo rimasti sul Campidoglio per tanti mesi d'assedio, ma perché trattenuti dai nemici con la paura? Parliamo di riti e di templi. Ma che dire dei sacerdoti? Non pensate mai al grave sacrilegio che si commetterebbe? Per le Vestali non c'è che un'unica sede, e niente le ha mai costrette ad abbandonarla se non la presa della città; per il flamine Diale è un sacrilegio trascorrere anche una sola notte fuori da Roma; e voi avete intenzione di far diventare questi sacerdoti Veienti anziché Romani? Possibile che le tue Vestali vogliano, o Vesta, abbandonarti, e che il flamine, abitando lontano da Roma, attiri notte dopo notte su se stesso e sulla repubblica una simile empietà? Che dire poi di tutti gli altri atti che di norma realizziamo quasi integralmente all'interno del pomerio dopo aver preso gli auspici? A quale sorta di oblio o di incuria li abbandoniamo? I comizi curiati che si occupano delle questioni militari, e i comizi centuriati nei quali eleggete i consoli e i tribuni militari, dove si possono tenere, in maniera conforme agli auspici, se non nei luoghi tradizionali delle sedute? Li trasferiremo a Veio? Oppure il popolo, in occasione dei comizi, si radunerà con grande disagio in questa città abbandonata dagli dèi e dagli uomini?