Pillaus
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Versione originale in latino


Inde paulatim, seu pace deum impetrata seu graviore tempore anni iam circumacto, defuncta morbis corpora salubriora esse incipere, versisque animis iam ad publicam curam, cum aliquot interregna exissent, P. Valerius Publicola tertio die quam interregnum inierat consules creat L. Lucretium Tricipitinum et T. Veturium Geminum, sive ille Vetusius fuit. Ante diem tertium idus Sextiles consulatum ineunt, iam satis valida civitate ut non solum arcere bellum sed ultro etiam inferre posset.
Igitur nuntiantibus Hernicis in fines suos transcendisse hostes impigre promissum auxilium. Duo consulares exercitus scripti. Veturius missus in Volscos ad bellum ultro inferendum: Tricipitinus populationibus arcendis sociorum agro oppositus non ultra quam in Hernicos procedit. Veturius primo proelio hostes fundit fugatque: Lucretium dum in Hernicis sedet praedonum agmen fefellit supra montes Praenestinos ductum, inde demissum in campos. Vastavere agros Praenestinum Gabinumque; ex Gabino in Tusculanos flexere colles. Urbi quoque Romae ingens praebitus terror, magis in re subita quam quod ad arcendam vim parum virium esset. Q. Fabius praeerat urbi; is armata iuventute dispositisque praesidiis tuta omnia ac tranquilla fecit. Itaque hostes praeda ex proximis locis rapta adpropinquare urbi non ausi, cum circumacto agmine redirent quanto longius ab urbe hostium abscederent eo solutiore cura, in Lucretium incidunt consulem iam ante exploratis itineribus suis instructum et ad certamen intentum. Igitur praeparatis animis repentino pavore perculsos adorti aliquanto pauciores multitudinem ingentem fundunt fugantque et compulsos in cavas valles, cum exitus haud in facili essent, circumveniunt. Ibi Volscum nomen prope deletum est. Tredecim milia quadringentos septuaginta cecidisse in acie ac fuga, mille septingentos quinquaginta vivos captos, signa viginti septem militaria relata in quibusdam annalibus invenio, ubi etsi adiectum aliquid numero sit, magna certe caedes fuit. Victor consul ingenti praeda potitus eodem in stativa rediit. Tum consules castra coniungunt, et Volsci Aequique adflictas vires suas in unum contulere. Tertia illa pugna eo anno fuit. Eadem fortuna victoriam dedit; fusis hostibus etiam castra capta.

Traduzione all'italiano


Da quel momento in poi, a poco a poco, sia per la pace ottenuta dagli dèi sia per il progressivo esaurirsi della stagione malsana, i corpi nei quali il corso della malattia si era compiuto cominciavano a tornare in salute, mentre le menti si rivolgevano ai problemi dello Stato. Dopo alcuni interregni, Publio Valerio Publicola, il terzo giorno del suo interregno, nomina consoli Lucio Lucrezio Tricipitino e Tito Veturio Gemino (o Vetusio, se questo era il suo nome). Entrano in carica tre giorni prima delle idi del mese Sestile, con il paese in condizioni di salute ormai così rassicuranti da potersi permettere non solo di allestire una difesa armata ma addirittura di lanciare delle offensive. Perciò, quando gli Ernici vennero ad annunciare che i nemici avevano varcato i loro confini, senza alcuna esitazione fu loro promesso aiuto. Una volta arruolati due eserciti consolari, Veturio fu inviato a portare la guerra nel territorio dei Volsci. Tricipitino invece, incaricato di salvaguardare quello alleato da incursioni selvagge, non si spinge più in là della terra degli Ernici. Veturio sbaraglia e mette in fuga i nemici al primo scontro. A Lucrezio sfuggì invece un contingente di predoni nemici che dalle alture di Preneste marciava in direzione delle campagne. Dopo aver devastato i terreni coltivati intorno a Preneste e Gabi, questo gruppo di guastatori piegò dalla zona di Gabi verso i colli di Tuscolo. La cosa fu motivo di grande apprensione pure a Roma, anche se più per l'imprevedibilità della mossa che per l'effettiva penuria di risorse difensive. A capo della città c'era in quel frangente Quinto Fabio: armando i giovani e disponendo presidi nei punti nevralgici, rese ogni cosa tranquilla e sicura. Così i nemici, dopo aver fatto razzie negli immediati dintorni, non osarono avvicinarsi a Roma e ripresero, sia pur con diversioni, la strada di casa. Mentre cresceva in loro un senso di sicurezza a mano a mano che aumentava la distanza da Roma, si imbatterono nel console Lucrezio che, già al corrente della direzione di marcia scelta dai nemici, li attendeva pronto a dare battaglia. Così i Romani, pur essendo in inferiorità numerica, attaccarono con giusta disposizione d'animo i nemici in preda invece a un improvviso attacco di paura. Quindi, dopo averne sbaragliato il possente schieramento e averli messi in fuga verso certe valli poco spaziose da dove era difficile sfuggire, li accerchiarono. Lì poco mancò che il nome dei Volsci venisse cancellato dalla faccia della terra. In alcuni annali ho trovato che tra fuga e battaglia ci furono 13.470 morti, che 1750 vennero catturati vivi e che le insegne conquistate ammontarono a 27. Anche se tali cifre risentono di una certa tendenza all'esagerazione, ciononostante si trattò indubbiamente di un grande massacro. Il console vincitore tornò con un enorme bottino all'accampamento. Allora i due consoli si accamparono insieme, mentre Volsci ed Equi facevano confluire in un unico esercito i propri decimati reparti. La battaglia che seguì fu la terza nel corso dell'anno. La vittoria arrivò grazie alla stessa buona sorte: dopo aver disperso i nemici, ne conquistarono anche l'accampamento.

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