Pillaus
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Versione originale in latino


T. Quinctius Capitolinus quartum et Agrippa Furius consules inde facti nec seditionem domi nec foris bellum acceperunt; sed imminebat utrumque. Iam non ultra discordia civium reprimi poterat, et tribunis et plebe incitata in patres, cum dies alicui nobilium dicta novis semper certaminibus contiones turbaret. Ad quarum primum strepitum, velut signo accepto, arma cepere Aequi ac Volsci, simul quod persuaserant iis duces, cupidi praedarum, biennio ante dilectum indictum haberi non potuisse, abnuente iam plebe imperium: eo adversus se non esse missos exercitus.
Dissolvi licentia militandi morem, nec pro communi iam patria Romam esse. Quicquid irarum simultatiumque cum externis fuerit in ipsos verti. Occaecatos lupos intestina rabie opprimendi occasionem esse. Coniunctis exercitibus Latinum primum agrum perpopulati sunt; deinde postquam ibi nemo vindex occurrebat, tum vero exsultantibus belli auctoribus ad moenia ipsa Romae populabundi regione portae Esquilinae accessere, vastationem agrorum per contumeliam urbi ostentantes. Unde postquam inulti, praedam prae se agentes, retro ad Corbionem agmine iere, Quinctius consul ad contionem populum vocavit.

Traduzione all'italiano


Vennero poi eletti consoli Tito Quinzio Capitolino, per la quarta volta, e Agrippa Furio. A costoro non toccarono né disordini interni né conflitti all'esterno, benché sia gli uni, sia gli altri incombessero. Infatti non era più possibile contenere la discordia civile, visto il risentimento nutrito da plebe e tribuni nei confronti degli aristocratici, e in considerazione del fatto che i processi a carico di questo o di quell'altro nobile provocavano sempre nuovi disordini che turbavano le assemblee. Non appena si verificarono i primi contrasti, come se fossero stati un segnale, Volsci ed Equi presero le armi; i loro comandanti, avidi di bottino, li avevano persuasi che a Roma nel biennio precedente non era stato possibile indire la leva perché la plebe rifiutava ormai ogni tipo di disciplina: per quel motivo non era stato inviato alcun esercito contro di loro. La dissolutezza aveva ormai sbriciolato ogni tradizione militare, e Roma non era più la patria comune. Tutta la rabbia e il rancore che un tempo avevano nei riguardi degli stranieri, ora li riversavano su se stessi. Quella era l'occasione per sterminare quei lupi accecati da una rabbia che li spingeva l'uno contro l'altro. Così, dopo aver unito i propri eserciti, Volsci ed Equi cominciarono col devastare le campagne latine. Poi, quando videro che nessuno accorreva in aiuto di quelle popolazioni, fra l'esultanza di quanti avevano fomentato la guerra, di razzia in razzia, arrivarono fin sotto le mura di Roma in direzione della porta Esquilina, e qui cominciarono a sbeffeggiare gli abitanti indicando loro le campagne devastate. Dopo che si furono ritirati impuniti procedendo a passo di marcia in direzione di Corbione e con il bottino bene in vista alla testa dello schieramento, il console Quinzio convocò l'assemblea del popolo.

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