Versione originale in latino
Consules rebus urbanis compositis fundatoque plebis statu, in provincias diversi abiere. Valerius adversus coniunctos iam in Algido exercitus Aequorum Volscorumque sustinuit consilio bellum; quod si extemplo rem fortunae commisisset, haud scio an, qui tum animi ab decemvirorum infelicibus auspiciis Romanis hostibusque erant, magno detrimento certamen staturum fuerit. Castris mille passuum ab hoste positis copias continebat. Hostes medium inter bina castra spatium acie instructa complebant, provocantibusque ad proelium responsum Romanus nemo reddebat. Tandem fatigati stando ac nequiquam exspectando certamen Aequi Volscique, postquam concessum propemodum de victoria credebant, pars in Hernicos, pars in Latinos praedatum abeunt; relinquitur magis castris praesidium quam satis virium ad certamen. Quod ubi consul sensit, reddit inlatum antea terrorem, instructaque acie ultro hostem lacessit. Ubi illi, conscientia quid abesset virium, detractavere pugnam, crevit extemplo Romanis animus, et pro victis habebant paventes intra vallum. Cum per totum diem stetissent intenti ad certamen, nocti cessere. Et Romani quidem pleni spei corpora curabant: haudquaquam pari hostes animo nuntios passim trepidi ad revocandos praedatores dimittunt. Recurritur ex proximis locis: ulteriores non inuenti. Ubi inluxit, egreditur castris Romanus, vallum invasurus ni copia pugnae fieret. Et postquam multa iam dies erat neque movebatur quicquam ab hoste, iubet signa inferri consul; motaque acie, indignatio Aequos et Volscos incessit, si victores exercitus vallum potius quam virtus et arma tegerent. Igitur et ipsi efflagitatum ab ducibus signum pugnae accepere. Iamque pars egressa portis erat deincepsque alii servabant ordinem, in suum quisque locum descendentes, cum consul Romanus, priusquam totis viribus fulta constaret hostium acies, intulit signa; adortusque nec omnes dum eductos nec, qui erant, satis explicatis ordinibus, prope fluctuantem turbam trepidantium huc atque illuc circumspectantiumque se ac suos, addito turbatis mentibus clamore atque impetu invadit. Rettulere primo pedem hostes; deinde cum animos collegissent et undique duces victisne cessuri essent increparent, restituitur pugna.
Traduzione all'italiano
Sistemata la situazione in città e consolidata la posizione della plebe, i consoli partirono per le rispettive destinazioni. Valerio, incaricato di fronteggiare Volsci ed Equi, che nel frattempo avevano già unito le proprie truppe sull'Algido, di proposito ritardò l'inizio delle ostilità. Se infatti avesse sùbito tentato la sorte, nel diverso stato d'animo in cui si trovavano allora i nemici e i Romani, dopo le disastrose imprese dei decemviri, non so se il combattimento non si sarebbe risolto in una grave sconfitta. Dunque, posto l'accampamento a un miglio di distanza dagli avversari, vi trattenne le truppe. I nemici si andarono più volte a schierare nello spazio di terra tra i due accampamenti, ma nessuno dei Romani raccolse le provocazioni. Alla fine, stanchi di attendere invano l'inizio delle ostilità, Equi e Volsci, credendo che i Romani avessero quasi quasi rinunziato alla vittoria, se ne andarono a razziare parte i territori latini e parte quelli degli Ernici, lasciandosi alle spalle un contingente più adatto a presidiare l'accampamento che non a sostenere lo scontro. Quando il console se ne rese conto, schierò le truppe in ordine di battaglia e prese a provocare i nemici, terrorizzandoli come prima era stato terrorizzato lui. Poiché quelli, consci di non avere forze sufficienti, evitavano di venire alle armi, súbito crebbe il coraggio nei Romani che davano già per vinti i nemici rannicchiati dentro il vallo. Dopo esser stati pronti a battersi per tutto il giorno, al calar della notte si ritirarono. E mentre da una parte i Romani, pieni di speranza, si rifocillavano, dall'altra parte, animati da tutt'altro spirito, i nemici preoccupati inviarono messaggeri in varie direzioni per richiamare quanti si erano dati alle razzie. Fu possibile far tornare chi si trovava nelle vicinanze, ma quelli che erano andati più lontano non riuscirono a raggiungerli. Alle prime luci del giorno i Romani uscirono dall'accampamento con l'intento di dare l'assalto al vallo, se non avessero avuto la possibilità di combattere. Poiché buona parte della mattinata se n'era già andata senza che i nemici avessero dato alcun segnale di volersi muovere, il console ordinò di avanzare. Quando l'esercito si mosse, Equi e Volsci provarono sdegno vedendo che la difesa dei loro eserciti vittoriosi era affidata a un vallo e non al coraggio e alle armi. Pertanto anch'essi chiesero e ottennero dai loro comandanti il segnale di dar battaglia. Parte degli uomini era già uscita dalle porte, seguita in ordine dagli altri che andavano a occupare ciascuno la propria posizione, quando il console romano, senza aspettare che lo schieramento nemico si rafforzasse completando i ranghi, si buttò all'assalto. Avendo sferrato l'attacco quando non tutti gli avversari erano ancora usciti e quelli che lo avevano già fatto non si erano ancora dispiegati lungo la linea, piombò su una massa fluttuante di disperati che correvano in tutte le direzioni e si lanciavano l'uno con l'altro occhiate piene di sconforto. Le urla e l'impeto dei Romani aggravarono poi la loro agitazione. Così, sulle prime, i nemici furono costretti a retrocedere, ma dopo, quando ripresero animo e sentirono da ogni parte i comandanti inferociti chiedere loro se avessero intenzione di cedere a dei vinti, riuscirono a ristabilire le sorti della battaglia.