Mika
di Mika
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Versione originale in latino


P. Cornelius consul, triduo fere postquam Hannibal a ripa Rhodani movit, quadrato agmine ad castra hostium venerat, nullam dimicandi moram facturus; ceterum ubi deserta munimenta nec facile se tantum praegressos adsecuturum videt, ad mare ac naves rediit, tutius faciliusque ita descendenti ab Alpibus Hannibali occursurus. Ne tamen nuda auxiliis Romanis Hispania esset, quam provinciam sortitus erat, Cn. Scipionem fratrem cum maxima parte copiarum adversus Hasdrubalem misit, non ad tuendos tantummodo veteres socios conciliandosque novos sed etiam ad pellendum Hispania Hasdrubalem.
Ipse cum admodum exiguis copiis Genuam repetit, eo qui circa Padum erat exercitu Italiam defensurus. Hannibal ab Druentia campestri maxime itinere ad Alpes cum bona pace incolentium ea loca Gallorum pervenit. Tum, quamquam fama prius, qua incerta in maius vero ferri solent, praecepta res erat, tamen ex propinquo visa montium altitudo nivesque caelo prope immixtae, tecta informia imposita rupibus, pecora iumentaque torrida frigore, homines intonsi et inculti, animalia inanimaque omnia rigentia gelu, cetera visu quam dictu foediora terrorem renovarunt. Erigentibus in primos agmen clivos apparuerunt imminentes tumulos insidentes montani, qui, si valles occultiores insedissent, coorti ad pugnam repente ingentem fugam stragemque dedissent. Hannibal consistere signa iussit; Gallisque ad visenda loca praemissis, postquam comperit transitum ea non esse, castra inter confragosa omnia praeruptaque quam extentissima potest valle locat. Tum per eosdem Gallos, haud sane multum lingua moribusque abhorrentes, cum se immiscuissent conloquiis montanorum, edoctus interdiu tantum obsideri saltum, nocte in sua quemque dilabi tecta, luce prima subiit tumulos, ut ex aperto atque interdiu vim per angustias facturus. Die deinde simulando aliud quam quod parabatur consumpto, cum eodem quo constiterant loco castra communissent, ubi primum degressos tumulis montanos laxatasque sensit custodias, pluribus ignibus quam pro numero manentium in speciem factis impedimentisque cum equite relictis et maxima parte peditum, ipse cum expeditis, acerrimo quoque viro, raptim angustias evadit iisque ipsis tumulis quos hostes tenuerant consedit.

Traduzione all'italiano


Il console P. Cornelio, quasi tre giorni dopo che Annibale si era mosso dalla riva del Rodano, era andato verso il campo dei nemici con l'esercito schierato, non disposto a fare nessun indugio al combattere. Del resto, quando vide le trincee deserte e [comprese] che egli non avrebbe raggiunto facilmente [i cartaginesi] che erano avanzati di tanto, tornò al mare e alle navi per andare incontro così più sicuramente e più facilmente ad Annibale, quando sarebbe disceso dalle Alpi. Perché tuttavia la Spagna non rimanesse sguarnita di presidi romani, la qual provincia egli aveva tratto a sorte, mandò il fratello Gn. Scipione con la maggior parte delle sue milizie contro Asdrubale, non soltanto per proteggere i vecchi alleati e per guadagnarne di nuovi, ma anche per cacciare Asdrubale dalla Spagna. Egli stesso ritornò a Genova con milizie assai scarse, disponendosi a difendere l'Italia con quell'[esercito] che stava nei dintorni del Po. Annibale giunse dalla Druenza alle Alpi con una marcia perlopiù in pianura con pieno consenso dei Galli che abitavano quei luoghi. Allora, sebbene la difficoltà fosse stata annunziata prima dalla fama, dalla quale le cose incerte sono solite essere riportate in proporzioni maggiori del vero, tuttavia l'altezza dei monti veduta da vicino e le nevi quasi confuse col cielo, le rozze capanne sovrapposte alle rupi, il bestiame e gli animali da soma rattrappiti dal freddo, gli uomini barbuti e selvaggi, tutte le cose animate e inanimate irrigidite dal gelo, tutte le altre cose più orrende a vedersi che a dirsi rinnovarono il terrore. A quelli che facevano salire l'esercito sui primi pendii apparvero i montanari che occupavano le alture sovrastanti, i quali, se avessero occupato valli più nascoste, se si fossero levati improvvisamente a combattere, avrebbero prodotto una grande fuga e strage. Annibale ordinò che le insegne si fermassero e, mandati avanti dei Galli ad esplorare i luoghi, dopo aver scoperto che non c'era il passaggio da quella parte, pose il campo in mezzo a [luoghi] interamente rocciosi e scoscesi nella valle più estesa che poté [trovare]. Allora [Annibale], informato per mezzo degli stessi Galli, non certo molto diversi [da loro] per lingua e per usanze, essendosi questi mescolati ai discorsi dei montanari sul fatto che il passo era occupato soltanto di giorno e che ognuno di notte se ne andava alle proprie case, si avvicinò alle alture sul far del giorno, come se volesse usare apertamente e di giorno la forza [per passare] attraverso le strettoie. Quindi, trascorso il giorno, fingendo un'azione diversa da quella che veniva preparata, avendo [i cartaginesi] fortificato un accampamento nel medesimo luogo nel quale si erano fermati, appena si accorse che i montanari erano andati via dalle alture e che le sentinelle erano state diradate, accesi dei fuochi per inganno in maggior quantità rispetto al numero dei soldati che rimanevano, lasciate le salmerie con la cavalleria e la maggior parte dei fanti, egli stesso uscì fuori rapidamente dalle gole con truppe armate alla leggera, essendo stato ciascun guerriero scelto fra i più valorosi, e si collocò su quelle alture stesse che i nemici avevano occupato [il giorno prima].

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