Pillaus
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Versione originale in latino


Neque enim illud verbum temere consuetudo adprobavisset, si ea res nulla esset omnino:
    "praesagibat animus frustra me ire, cum exirem domo."

Sagire enim sentire acute est; ex quo sagae anus, quia multa scire volunt, et sagaces dicti canes. Is igitur qui ante sagit quam oblata res est, dicitur praesagire, id est futura ante sentire.
Inest igitur in animis praesagatio extrinsecus iniecta atque inclusa divinitus. Ea si exarsit acrius, furor appellatur, cum a corpore animus abstractus divino instinctu concitatur:
    H, "Sed quid oculis rabere visa es derepente ardentibus?
    ubi illa paululo ante sapiens virginalis modestia?"
    C. "Mater, optumatum multo mulier melior mulierum,
    missa sum superstitiosis hariolationibus,
    meque Apollo fatis fandis dementem invitam ciet.
    Virgines vereor aequalis; patris mei meum factum pudet,
    optumi viri; mea mater, tui me miseret; mei piget.
    Optumam progeniem Priamo peperisti extra me: hoc dolet: men obesse, illos prodesse, me obstare, illos obsequi!"

O poema tenerum et moratum atque molle! Sed hoc minus ad rem; illud, quod volumus, expressum est, ut vaticinari furor vera soleat:
    "Adest, adest fax obvoluta sanguine atque incendio.
    multos annos latuit; cives, ferte opem et restinguite!"

Deus inclusus corpore humano iam, non Cassandra loquitur.
    "lamque mari magno classis cita
    texitur; exitium examen rapit;
    adveniet, fera velivolantibus
    navibus complebit manus litora."

Traduzione all'italiano


Né l'uso avrebbe consacrato a caso quella parola "presagire", se a essa non corrispondesse proprio alcuna realtà:

    "Me lo presagiva il cuore, uscendo di casa, che sarei venuto inutilmente."

Sagire, difatti, significa aver buon fiuto; donde si chiamano sagae le vecchie fattucchiere, perché pretendono di saper molto, e "sagaci" son detti i cani. Perciò chi ha la sensazione (sagit) di qualcosa prima che accada, si dice che "pre-sagisce", ossia sente in anticipo il futuro.
C'è dunque nelle anime una capacità di presagire infusa dall'esterno e penetrata per opera della divinità. Se questa capacità s'infiamma con più veemenza, si chiama "follìa profetica", quando l'anima svincolatasi dal corpo è eccitata da un impulso divino:
    (Ecuba) "Ma come mai, d'un tratto, sei apparsa in preda al furore, con gli occhi fiammeggianti? Dov'è più quella saggia, virginale modestia di poco prima?"
    (Cassandra): "Madre mia, di gran lunga la migliore donna delle nobili donne troiane, io sono assalita da deliri profetici, e Apollo mi istiga a dire, folle, contro la mia volontà, il futuro. Mi vergogno dinanzi alle fanciulle mie coetanee; ho rossore di ciò che faccio perché disonoro mio padre, uomo eccelso; di te, madre mia, ho compassione; di me stessa mi dolgo. Tu hai partorito a Priamo figli eccellenti, tranne me: è questo che mi addolora: che io sia di danno, essi di aiuto, io riottosa, essi obbedienti!"

Oh, brano di poesia dolce, espressivo, delicato! Ma esso non riguarda da vicino il nostro argomento; quello che c'interessa il poeta l'ha espresso in quest'altro passo: come la follìa, di solito, predìca il vero:
    "Eccola, eccola la torcia avvolta nel sangue e nelle fiamme! Per molti anni rimase occulta. Cittadini, recate soccorso e spegnetela!"

Non è più Cassandra che parla, ma il dio che è penetrato in un corpo umano.
    "E già nel vasto mare una flotta veloce vien costruita; essa trascina uno sciame di sciagure; arriverà, feroce, un esercito su navi volanti con le vele, riempirà le nostre spiagge."

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