Pillaus
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Versione originale in latino


Matrem facta dictaque sua exquirentem acerbius et corrigentem hactenus primo gravabatur, ut invidia identidem oneraret quasi cessurus imperio Rhodumque abiturus, mox et honore omni et potestate privavit abductaque militum et Germanorum statione contubernio quoque ac Palatio expulit; neque in divexanda quicquam pensi habuit, summissis qui et Romae morantem litibus et in secessu quiescentem per convicia et iocos terra marique praetervehentes inquietarent.
Verum minis eius ac violentia territus perdere statuit; et cum ter veneno temptasset sentiretque antidotis praemunitam, lacunaria, quae noctu super dormientem laxata machina deciderent, paravit. Hoc consilio per conscios parum celato solutilem navem, cuius vel naufragio vel camarae ruina periret, commentus est atque ita reconciliatione simulata iucundissimis litteris Baias evocavit ad sollemnia Quinquatruum simul celebranda; datoque negotio trierarchis, qui liburnicam qua advecta erat velut fortuito concursu confringerent, protraxit convivium repetentique Baulos in locum corrupti navigii machinosum illud optulit, hilare prosecutus atque in digressu papillas quoque exosculatus. Reliquum temporis cum magna trepidatione vigilavit opperiens coeptorum exitum. Sed ut diversa omnia nandoque evasisse eam comperit, inops consilii L. Agermum libertum eius salvam et incolumem cum gaudio nuntiantem, abiecto clam iuxta pugione ut percussorem sibi subornatum arripi constringique iussit, matrem occidi, quasi deprehensum crimen voluntaria morte vitasset. Adduntur his atrociora nec incertis auctoribus: ad visendum interfectae cadaver accurrisse, contrectasse membra, alia vituperasse, sitique interim oborta bibisse. Neque tamen conscientiam sceleris, quamquam et militum et senatus populique gratulationibus confirmarentur, aut statim aut umquam postea ferre potuit, , saepe confessus exagitari se materna specie verberibusque Furiarum ac taedis ardentibus. Quin et facto per Magos sacro evocare Manes et exorare temptavit. Peregrinatione quidem Graeciae et Eleusinis sacris, quorum initiatione impii et scelerati voce praeconis summoventur, interesse non ausus est. Iunxit parricido matris amitaee necem. Quam cum ex duritie alvi cubantem visitaret, et illa tractans lanuginem eius, ut assolet, iam grandis natu per blanditias forte dixisset: "Simul hac excepero, mori volo, " conversus ad proximos confestim se positurum velu irridens ait, praecepitque medicis ut largius purgarent aegram; necdum defunctae bona invasit suppresso testamento, ne quid abscederet.

Traduzione all'italiano


Stufo di vedere sua madre esercitare rigorosamente ogni controllo e ogni critica sulle sue parole e sui suoi atti, Nerone in un primo tempo si limitò a farle temere più volte di esporla all'odio pubblico, fingendo di voler deporre la carica di imperatore e di andarsene a Rodi; in seguito la privò di ogni onore e di ogni potere, le tolse la guardia di soldati e di Germani, e infine la bandì dalla sua presenza e dal Palatino; ormai non trascurò nulla per tormentarla e assoldò persone che le intentassero processi quando soggiornava a Roma, e la perseguitassero con le loro ingiurie e i loro frizzi, passando davanti alla sua casa per terra e per mare, quando vi cercava rifugio per riposarsi. Spaventato però dalle sue minacce e dalle sue violente reazioni, decise di farla morire. Per tre volte tentò di avvelenarla, ma vedendo che essa si era munita di antidoti, preparò un congegno che avrebbe dovuto far cadere su di lei il soffitto durante la notte mentre dormiva. I complici però non conservarono il segreto sul progetto e allora ideò una nave che facilmente si sfasciasse per farvela morire sia di naufragio sia per il crollo del ponte. Fingendo quindi una riconciliazione le inviò una lettera affettuosissima per invitarla a venire a celebrare con lui le feste di Minerva a Baia; dato poi ordine ai comandanti delle navi di avariare, come per un abbordaggio fortuito, l'imbarcazione liburnica con la quale era stata trasportata, protrasse il banchetto, dopo di che, per il suo ritorno a Bauli, le offrì la nave truccata al posto di quella in avaria, la accompagnò tutto contento e perfino le baciò i capezzoli al momento di lasciarla. Passò la notte sveglio in stato di agitazione, aspettando l'esito dell'impresa, ma quando seppe che tutto era andato diversamente e che Agrippina si era salvata a nuoto, non sapendo che cosa fare, quando L. Agermo, un liberto di sua madre, venne ad annunciargli, tutto felice, che sua madre era sana e salva, egli gettò di nascosto un pugnale presso di lui e con il pretesto che gli era stato mandato da Agrippina per ássassinarlo, ordinò di prendere, incatenare e mettere a morte sua madre, che sarebbe passata per suicida perché il suo crimine era stato scoperto. Autori attendibili aggiungono anche dettagli più atroci: sarebbe accorso per vedere il cadavere, avrebbe palpato le sue membra, criticato alcune parti del suo corpo, elogiato altre e di tanto in tanto, preso dalla sete, avrebbe bevuto. Tuttavia, nonostante fosse incoraggiato dalle felicitazioni dei soldati, del Senato e del popolo, non poté mai, né allora, né in seguito, far tacere i rimorsi e confessò di essere tormentato sia dal fantasma di sua madre, sia dalle fruste e dalle torce ardenti delle Furie. Tentò perfino, ricorrendo ad incantesimi, di evocare e supplicare i mani di Agrippina. Durante il suo viaggio in Grecia non osò assistere ai misteri di Eleusi perché la voce del banditore vietò agli empi e ai criminali di farsene iniziare. A questo delitto aggiunse anche l'assassinio di sua zia. Una volta che si recò a visitarla mentre era costretta a letto da una costipazione ostinata, essa, per adularlo, gli disse, accarezzando la sua barba che stava spuntando, come sono soliti fare i vecchi: "Quando l'avrò ricevuta, potrò anche morire." Nerone allora, rivolto a coloro che lo accompagnavano disse, come per scherzo, "che l'avrebbe deposta subito" e ordinò ai medici di dare alla malata un purgante energico; senza attendere che fosse morta si impossessò dei suoi beni e fece sparire il suo testamento perché niente gli sfuggisse.

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